Monster Hunter, la recensione del film: è puro cinema videogame, fatto da specialisti

La recensione di Monster Hunter: il film basato sulla serie di videogiochi, al cinema dal 17 giugno, è la nuova opera di Paul W.S Anderson e Milla Jovovich, premiata ditta che ha portato al cinema la saga di Resident Evil.

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Monster Hunter: Milla Jojovich in un primo piano

Chiamateli pure gli specialisti. Nell'avvicinarci alla recensione di Monster Hunter, il nuovo film basato sulla serie omonima di videogiochi diventata un fenomeno globale, in uscita al cinema il 17 giugno, è bene sapere con chi abbiamo a che fare. Paul W.S Anderson e Milla Jovovich, regista e protagonista del film, sono ormai una premiata ditta. Sono marito e moglie, e lavorano da anni in perfetta simbiosi. Ma, soprattutto, sono gli artefici di una delle più fortunate saghe cinematografiche tratte dal mondo dei videogame, quel Resident Evil che, dal primo film del 2002, li ha visti insieme per quattro dei sei film della serie, oltre che per una versione ipercinetica de I tre moschettieri. È chiaro, allora, perché stiamo parlando di specialisti. Paul W.S. Anderson è un appassionato di videogame, e durante la sua permanenza in Giappone si è appassionato al famoso videogame della Capcom, Monster Hunter, e ha pensato che sarebbe stato interessante ricreare quel mondo in un film per il cinema. Milla Jovovich è l'attrice che, più di ogni altra, in questi anni si è specializzata come eroina d'azione, in particolare la protagonista perfetta per il cinema videogame. Tutto questo per dirvi che, con la versione cinematografica di Monster Hunter si va sul sicuro. Nel bene, e nel male. È un film dove troviamo tutto quello che è lecito aspettarsi, ma niente di più. Il mondo primitivo, ancestrale e violento è ricostruito bene, i mostri sono credibili e minacciosi, l'azione è orchestrata alla perfezione. Ma, oltre a questo, non c'è molto altro.

Contro i mostri a poco servono le nostre armi

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Monster Hunter: un momento del film

Monster Hunter immagina che, accanto, o sotto, al mondo che conosciamo ne esista un altro, in cui gli esseri umani convivono con dei potenti e pericolosi mostri che dominano il territorio. Il Capitano Artemis (Milla Jovovich) e la sua unità (TI Harris, Meagan Good, Diego Boneta) sono in missione nel deserto quando, a causa di un'improvvisa tempesta di sabbia vengono scaraventati in questo nuovo mondo. I soldati sono preparati per ogni tipo di combattimento. Ma qui il nemico sono degli enormi e terrificanti mostri contro cui a poco servono le loro armi. Hunter (Tony Jaa), un abile arciere che abita quel mondo, invece, conosce quelle creature, e sa come combatterle. Artemis e Hunter prima diffidano uno dell'altro, poi iniziano a legare e a collaborare per sconfiggere i mostri. Incontreranno la squadra guidata dall'Ammiraglio (Ron Perlman), di cui Hunter fa parte. E, tutti insieme, proveranno a sconfiggere i pericolosi mostri. E a fare in modo che non irrompano anche nel nostro mondo... uniscono le loro capacità uniche e le loro forze per lo scontro finale.

Monster Hunter: Anderson parla della trama e svela un concept art

I personaggi sono i nostri avatar

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Monster Hunter: Milla Jovovich, Tony Jaa in una scena del film

Monster Hunter, girato da uno specialista del cinema videogame come Paul W.S. Anderson, è un film che non fa nulla per nascondere la sua provenienza dal mondo di un videogioco. In un classico videogame (non in tutti, certo) più che la storia è centrale l'azione, il movimento, l'adrenalina. Così, fin da subito, capiamo che quei personaggi in scena non hanno una vera e propria profondità, una storia, un vissuto. Non ci viene detto molto di loro e delle loro backstory, né attraverso i dialoghi, né con quei flashback che sempre più spesso vengono usati per svelare il passato, e in fondo, l'anima dei protagonisti. A dire il vero, Anderson, pur rinunciando volutamente a tutto questo, riesce a dirci qualcosa dei suoi personaggi con pochi tocchi, con degli oggetti: un anello nuziale che Artemis conserva in una scatola di metallo, che ci dice che è, o è stata, una moglie e forse una madre. E due statuine antropomorfe che Hunter porta sempre con sé, venera come degli Dei, e che capiamo essere la sua famiglia, che ha perduto. È l'essenziale per connotare i due personaggi principali, che per il resto hanno pochi dialoghi. Sono pura azione: sono i nostri avatar, quelli che, se fossimo in un gioco, muoveremmo e che sarebbero il nostro tramite per entrare in quel mondo. Senza l'interattività del gioco, sono il nostro punto di vista verso un mondo pericoloso e pieno di nemici. Ma sono essenzialmente pedine su una scacchiera che il deus ex machina Anderson muove a suo piacimento. Con il fine di creare azione, e spettacolo.

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Monster Hunter: una sequenza del film

Stiamo giocando una partita: noi contro loro

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Monster Hunter: un primo piano di Milla Jovovich in azione

Monster Hunter deve fare questo: intrattenere, tenere con il fiato in sospeso. Stiamo giocando una partita: siamo noi contro loro, umani contro mostri. E, se degli umani sappiamo poco, e in fondo ci basta sapere che devono salvarsi la pelle, dei nemici sappiamo ancora meno. Sono tanti, arrivano di continuo, senza un attimo di tregua. Sono pericolosissimi, famelici, con loro non si tratta. Bisogna solo ucciderli prima che uccidano noi. E Monster Hunter, in questo senso, fa il suo lavoro: crea continuamente azioni di combattimento, coreografie, mette in campo dei mostri spaventosi e raccapriccianti. Tutto questo è fatto bene. Ma è chiaro che, poi, nel film c'è poco altro.

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Black Diablos, Nerscylla, Rathalos

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Monster Hunter: un'immagine del film

Andiamo a conoscerli, allora, questi mostri. I primi che incontriamo sono i Black Diablos, enormi creature che si muovono sotto la sabbia ed emergono per cacciare. È come se fosse un T-Rex misto a un toro, ha delle enormi corna sul capo, è coperto di scaglie corazzate che ne fanno un guscio e ha due spine giganti come armi. Ma, nel mondo in cui capita Artemis, ci sono anche i Nerscylla: sono più piccoli, ma sono tantissimi e sono ovunque. Sono come degli enormi ragni, con artigli lunghi e affilati e un pungiglione velenoso simile a quello di uno scorpione. E depongono le uova nel corpo delle proprie prede. Andando avanti, i nostri eroi conosceranno l'essere più pericoloso: è il Rathalos, è enorme, è in tutto e per tutto un drago, protetto interamente da una corazza inscalfibile color rosso sangue e nero pece. È in grado di distruggere tutto con i suoi artigli, la sua coda, ma soprattutto con il fuoco che sputa dalla sua bocca. Come potete capire il design dei mostri è curatissimo e riuscito. E anche il lavoro di computer grafica, che non solo rende i personaggi credibili, ma anche pesanti, corporei, quando toccano il suolo o interagiscono con gli altri elementi.

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Monster Hunter: Milla Jojovich in un'immagine

Milla Jovovich, un corpo che diventa pixel

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Monster Hunter: Milla Jojovich in una scena

Se loro sono il nostro nemico, il personaggio con cui ci identifichiamo è lei, il capitano Artemis di Milla Jovovich. In un'epoca in cui il mondo dei videogiochi si avvicina sempre più a quello del cinema, con personaggi sempre più realistici, Milla Jovovich è un'attrice in carne ed ossa che potrebbe benissimo essere una creatura di pixel, creata al computer. Se un game designer dovesse disegnare un personaggio in CGI, probabilmente verrebbe come lei. Gli occhi verdi glaciali, luminosissimi, il volto spigoloso, i tratti duri ed essenziali, un sorriso perfetto, quando è il tempo di sfoderarlo, il fisico asciutto e atletico. Milla Jovovich è il perfetto esempio di un corpo che diventa pixel, diventa astratto, diventa avatar. Da quasi vent'anni, Milla Jovovich, da Resident Evil, del 2002 (o, se volete, da ancora prima, da Il quinto elemento del 1997), ha consacrato la sua carriera (che è stata anche molto altro, certo) al ruolo di eroina virtuale, in bilico tra realtà e computer, tra cinema e videogame. A 45 anni è ancora la miglior specialista del filone che unisce cinema e videogiochi. E non è poco.

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Puro cinema videogame, fiero di esserlo

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Monster Hunter: l'occhio di uno dei mostri del film

Monster Hunter allora è puro cinema videogame, non lo nasconde, ed è fiero di esserlo. La cosa ha i suoi pregi, cioè una linearità narrativa vicina a quella dei videogame - una serie di schemi, vedi i combattimenti, che si susseguono l'uno all'altro con pochissime pause - un'azione serrata e dei nemici credibili e riusciti, una protagonista perfettamente in parte. Ma ha anche i suoi difetti. Perché, se l'azione serrata non vi basta, qui non c'è molto altro. Non c'è approfondimento psicologico, ci sono pochissimi dialoghi, e questo fa sì che l'empatia con i protagonisti sia ridotta. Se i personaggi principali e i mostri sono riusciti, alcuni personaggi minori, come l'Ammiraglio di Ron Perlman e il gatto chef sono piuttosto grotteschi. Ma, si sa, anche personaggi di questo tipo possono far parte di un videogame. A volte non convince la psicologia dei personaggi: perché Artemis e Hunter non capiscono subito che sono uno la maggior risorsa dell'altro contro i mostri, e perdono tempo in lunghi combattimenti fra loro? Il rischio maggiore, con una storia così ridotta all'osso, è che un film di continui, reiterati combattimenti, alla fine, possa risultare un po' monotono. Perché il fatto è che, quando vediamo un videogame al cinema, non possiamo imbracciare un joystick e dirigere il gioco come vogliamo noi.

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Conclusioni

Nella recensione di Monster Hunter vi abbiamo parlato di un prodotto che è puro cinema videogame. Ha una linearità narrativa vicina a quella dei videogiochi, un'azione serrata e dei nemici credibili. Ma non c'è approfondimento psicologico, ci sono pochissimi dialoghi, l'empatia con i protagonisti è ridotta. E l'azione, se è continua, rischia di essere monotona.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.4/5

Perché ci piace

  • L''azione è serrata, e il ritmo è alto.
  • I mostri sono credibili e realizzati alla perfezione.
  • Milla Jovovich è la protagonista perfetta per un film tratto da un videogame.

Cosa non va

  • L'approfondimento psicologico è al minimo.
  • L'empatia con i personaggi non riesce a scattare.
  • La storia è veramente semplice, e l'azione continua rischia di essere monotona.