Recensione Il diario di una tata (2007)

Il diario di una tata mescola satira sociale e commedia romantica puntando il dito su una particolare tipologia di esseri umani, i ricchi newyorkesi dei quartieri alti, e sui loro costosi vizi.

Mary Poppins 2000

A giudicare dall'incipit de Il diario di una tata, non sono solamente i giovani italiani a soffrire di crisi d'identità e a cadere nel più nero degli abissi post-laurea quando intraprendono la ricerca del proprio posto (lavorativo) nel mondo. La bella e insicura Annie Braddock si trova combattuta tra i desideri della madre single che la spinge verso la prospettiva di una brillante carriera nella new economy e il proprio caos interiore che le fa mandare all'aria il primo colloquio di lavoro. Sarà il destino a fornire ad Annie una soluzione provvisoria ai suoi tormenti: un lavoro come tata presso la tipica famiglia altoborghese dell'Upper East Side di Mahnattan, i coniugi X, alle prese con un bimbo pestifero e trascurato dai genitori, una madre impegnata a occupare il proprio tempo con shopping, ricevimenti, cene di beneficenza e sedute di terapia e un padre assente concentrato esclusivamente sul proprio lavoro e sulla conquista di amanti giovani e poco impegnative. Nonostante le difficoltà che il mestiere di tata comporta, i turni di lavoro impossibili e le rigide regole imposte da Mrs. X, Annie capirà finalmente cosa fare della propria vita e troverà anche il tempo per l'amore.

Adattamento della fortunatissima omonima chick-flick novel scritta dalle vere tate Emma McLaughlin e Nicola Kraus, Il diario di una tata mescola satira sociale e commedia romantica puntando il dito su una particolare tipologia di esseri umani, i ricchi newyorkesi dei quartieri alti, e sui loro costosi vizi. Mattatrice della pellicola è una Scarlett Johansson per l'occasione mora, ma sempre bellissima, nei panni di Annie, ragazza acqua e sapone cresciuta nel New Jersey, indecisa e un po' impacciata, ma dotata di empatia e capace di toccare il cuore delle persone che le vivono accanto. A giudicare anche dal resto del cast, la coppia di registi al timone del progetto (formata dai coniugi Shari Springer Bergman e Robert Pulcini) non si è voluta far mancare niente: a interpretare gli X sono stati chiamati Laura Linney, straordinaria nei panni della quarantenne fragile e nevrotica che cerca di colmare il vuoto di un matrimonio infelice dedicandosi ai rituali tipici delle casalinghe dell'upper class newyorkese, e un irriconoscibile Paul Giamatti, sgradevole e antipatico come non mai, che compare solamente a metà film. Comprimari di lusso Alicia Keys, migliore amica e consigliera di Annie, e Chris Evans nei panni del belloccio benestante di cui Annie si innamorerà.

Gli ingredienti per realizzare un prodotto di qualità ci sarebbero tutti, oltre al budget elevato e al cast notevole è doveroso sottolineare la cura formale del prodotto e la bella fotografia che immortala una New York piena di vita, elegante e solare. Eppure il mix non fornisce il risultato sperato. La sensazione è di trovarsi di fronte a una pellicola patinata nel look, ma dall'animo debole e loffio. Pesa il confronto con il precedente Il diavolo veste Prada, film con cui Il diario di una tata ha più di un punto in comune, dall'essere entrambi adattamenti di romanzi al femminile di successo, al condividere cast qualitativamente eccezionali (anche se la Johansson è infinitamente più espressiva della bambolina Anne Hathaway), fino al comune destino di essere entrambi presentati come blockbuster fuori concorso alla Mostra di Venezia. Ma se il film di David Frankel si faceva perdonare un finale mieloso e moralistico con il suo un ritmo travolgente e le raffiche di battute ciniche e divertenti che strappavano ben più di una risata, Il diario di una tata scorre lento, spesso noioso e il mood deprimente che avvolge la pellicola non giova certo alla resa finale del prodotto.

Il taglio antropologico imposto dai due registi rappresenta una scelta coraggiosa, un tentativo di originalità che permetta di distinguere il film dalle numerose commedie patinate sfornate da Hollywood, ma accanto ai vari tipi umani snocciolati dalla voce fuori campo della protagonista, nelle teche del museo naturale andrebbe inserita anche la sceneggiatura del film sotto la voce 'privo di verve'. La regia filologicamente corretta, ma senza personalità, contribuisce all'appiattimento generale e niente possono le continue strizzate d'occhio al modello dichiarato Mary Poppins, volo con ombrello rosso compreso. Ben lungi dal diventare un classico per famiglie, Il diario di una tata spreca un'ottima occasione e viste le interpretazioni superlative della Linney e di Paul Giamatti, in questo caso dispiace ancora di più sottolinearlo.

Movieplayer.it

3.0/5