Quella che era nata come una minaccia, col tempo si è trasformata in una promessa e poi in attesa fremente. "I'll be back", battuta pronunciata con un maldestro accento americano, è diventata lo slogan di un fenomeno cinematografico che ha attraversato il tempo senza scalfire l'anima d'acciaio di un film epocale. Terminator sta tornando per superare ancora una volta la prova degli anni che passano e soprattutto del nostro sguardo di spettatori che si è evoluto, sempre meno facile alla meraviglia e predisposto alla sorpresa. L'opera seconda di James Cameron, rivista oggi, conferma tutta l'inevitabile influenza del cinema che lo ha preceduto e, soprattutto, su quello che lo ha seguito, cercando di ricalcarne le orme.
Leggi anche: Terminator: il film cult ritorna nelle sale il 30 giugno e l'1 luglio
La sua potenza visiva, il clima di ansia profonda e i rapporti catalizzanti tra i personaggi, più forti di qualsiasi salto spazio-temporale, sono gli ingredienti alla base di un fenomeno indiscutibile. Terminator entra di diritto tra le migliori risposte cinematografiche al 1984 distopico e desolante immaginato da George Orwell nel suo celebre romanzo. Se nel libro dello scrittore inglese l'intera società era controllata da un sistema politico invasivo che si serviva della tecnologia per schiavizzare il popolo, qui si va ancora più al sodo: nessun regime, nessun partito, solo puro piacere distruttivo con le macchine che vogliono eliminare ogni traccia di esistenza umana.
Per farlo, sono pronte persino a cambiare il passato, perché l'idolo della resistenza post-nucleare, John Connor, è un nemico scomodo, da estirpare alla radice. Un problema che risponde ad un nome e un cognome ben precisi: Sarah Connor, sua madre. In questa caccia alla donna, Cameron è schietto, fulmineo, mette le cose in chiaro sin dalla prima inquadratura, dove un robot cingolato schiaccia dei teschi. Il regista chiarisce subito chi è il nemico, chi dobbiamo temere e al fianco di chi dobbiamo schierarci. Ma questa immediatezza è soltanto uno dei tanti segreti di una pellicola cult che andiamo a riscoprire attraverso altre peculiarità. L'appuntamento nelle sale italiane è per i prossimi 30 giugno e 1 luglio con una versione rimasterizzata della pellicola. Terminator "tornerà". D'altronde lo aveva promesso.
1. L'approdo di un gigante
Fulmini improvvisi che illuminano una Los Angeles notturna. Un camionista attonito non crede ai suoi occhi perché di fronte a sé si è appena manifestato un essere incredibile e possente. Lo potremmo definire un Prometeo postmoderno, una creatura degna di un ispirato Dr. Frankenstein cyberpunk che, come il mostro ideato da Mary Shelley, si rivolta contro il suo stesso inventore. Questa volta l'essere non è composto da resti umani, ma solo dalle sue sembianze, perché il suo endoscheletro è freddo metallo, spietata tecnologia. Il rivestimento umano scelto da Cameron è il volto perfetto per una macchina inarrestabile. La prima apparizione di Arnold Schwarzenegger è enfatica, già protesa verso il culto che avrebbe alimentato negli anni successivi. Nudo e con i pettorali abnormi in bella vista, il T-800 dalle fattezze austriache domina Los Angeles dall'alto ed è pronto a metterla in ginocchio pur di uccidere la sua preda. I passi decisi e le parole essenziali del predatore (alla fine le sue battute saranno poco meno di venti) danno forma ad un assassino monolitico che, grazie ad un character design vincente, è diventato uno dei personaggi più riconosciuti e riconoscibili della storia del cinema. Inizialmente scelto per interpretare Kyle Reese, Schwarzenegger era già stato Conan il barbaro, ma è con questo film che avviene la sua definitiva consacrazione. A Cameron va dato il merito di aver intravisto potenzialità iconiche nel volto inespressivo dell'attore, utilizzato in quanto pura presenza scenica, corpo esposto al servizio della macchina da presa. Un'intuizione che non ha solo indirizzato la carriera del futuro Governatore della California, ma soprattutto previsto un decennio di cinema d'azione caratterizzato dal dominio della dimensione corporea.
2. La gestione del ritmo
Prima di diventare l'assoluto re del box office, James Cameron era già riuscito a trovare la formula del perfetto intrattenimento popolare. Terminator, ispirato da un'allucinazione notturna del regista, è un action movie con una forte contaminazione fantascientifica che non disdegna la tensione tipica dei thriller; un agglomerato di generi che ha permeato il film con un ritmo vario e perfettamente bilanciato. Si passa da sequenze dalla pressante carica ansiogena, piene di tensione per il destino della nostra Sarah, ad attimi di cruda violenza, esaltata da scene d'azione trascinanti. Il tutto è stemperato da una leggera ironia, affidata alla perplessità dello psicologo, ai siparietti tra poliziotti e persino allo stesso T-800 che impara presto come ci si manda a quel paese tra esseri umani. Senza dimenticare lo stacco netto, in apertura, che mette a confronto i terribili veicoli comandati da Skynet con una banale "macchina" dei nostri tempi, ovvero un innocuo camioncino della nettezza urbana.
3. Azione totale
Raggi laser, fucili a canne mozze, ma anche tubi di ferro pronti ad essere sferrati come armi d'emergenza. Nel 1984 immaginato da Cameron nessuno è al sicuro, nemmeno in una stazione di polizia, così l'unico modo per sopravvivere è armarsi, scappare, prepararsi al peggio. Questa costante sensazione oppressiva, dove persino lo spettatore si sente braccato, si traduce in una carrellata di sequenze d'azione dove cacciatori e prede si scontrano inevitabilmente. Grazie alla sua forte natura dicotomica, che lo vede scisso in "buoni e un cattivo", Terminator può essere definito come il miglior sinonimo di "azione totale", cinema impegnato nella rappresentazione di uno scontro continuo, sottolineato da una colonna sonora martellante. La bravura di Cameron risiede nell'aver dato varietà e ampio respiro a contesti, luoghi e situazioni in cui questa azione si manifesta. Dentro ai suoi densi 108 minuti, Terminator ospita sparatorie futuristiche, inseguimenti in automobile, moto, camion, irruzioni in appartamenti e distretti di polizia. Un movimento talmente incessante ed estenuante che arriva a svestire il cyborg del suo finto rivestimento umano, costringendolo a mostrarci il vero volto del sicario di Skynet. Tutto merito di un film ibrido nei generi, ma d'azione fino all'osso.
4. Inquadrare il futuro
Lo spirito innovatore di James Cameron era già in splendida forma agli inizi degli anni Ottanta. E' davvero impressionante notare come al suo primo progetto davvero ambizioso (che conobbe non pochi intoppi produttivi prima di partire), un autore non ancora trentenne sia stato in grado di inserire delle soluzioni visive del tutto rivoluzionarie e quasi profetiche. Ci riferiamo a due particolari scelte registiche che anticipano di parecchi anni alcune rappresentazioni che verranno adottate solo anni dopo, non solo sul grande schermo, ma soprattutto nei videogiochi, un'industria che a quei tempi era ancora ad uno stadio embrionale. In Terminator Cameron gioca con il cinema e lo fa nel vero senso della parola. Destreggiando con maestria la prospettiva (quasi alla Georges Méliès), il regista gira delle scene ambientate nel futuro dove Kyle Reese si muove come fosse all'interno di un platform a scorrimento orizzontale, dove il protagonista è davanti ai nostri occhi, mentre sullo sfondo lo scenario si muove impastandosi perfettamente con il resto della scena. Ma per fare del Terminator il simbolo della disumanità, James si è spinto oltre, sino a farci vedere il mondo con i suoi occhi. La prospettiva in prima persona del T-800, rossastra e con tanto di interfaccia computerizzata (elaborata con un computer Apple II ed espressa in codice COBOL) ci catapulta all'interno della realtà virtuale e dei mondi della simulazione digitale. Sembra di essere catapultati dentro ad uno sparatutto in prima persona, con tanto di coordinate geografiche e risposte multiple. Delle trovate che ai tempi dei duetti tra Iron Man e Jarvis ci sembrano banali, ma allora era il 1984 e il futuro era già stato inquadrato.
5. Effetti poco, molto speciali
Diciamo la verità. Negli ultimi anni ci siamo talmente assuefatti al digitale che il ritorno a degli effetti cinematografici più artigianali e di conseguenza realistici, non ci dispiace affatto. Ce ne siamo accorti dopo aver visto la nuova trilogia de Lo Hobbit (troppo artefatta rispetto a Il Signore degli Anelli) e sembra essersene accorto soprattutto J.J. Abrams che con Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della Forza ha affermato di aver creato scenari e personaggi senza abusare della computer grafica. Bene, se siete amanti di questo cinema più tattile e ruvido, rivedere Terminator vi farà scendere una lacrima di nostalgia. Ci sono tante sequenze in cui Cameron si sofferma con dovizia di particolari sul corpo davvero meccanico dell'automa e, nonostante gli evidenti trucchi di scena, le operazioni chirurgiche "fai da te" del Terminator riescono a colpire il nostro sguardo, a impressionare proprio per la loro cruda verosimiglianza. Bulbi oculari fuori dalle orbite, avambracci squartati e, infine, persino un vero robot (il famoso "scheletro" metallico) creato apposta per il film; un mostro meccanico senza pietà che impressiona per i suoi movimenti innaturali in stop motion.
6. Un'eroina inconsapevole
Sorella minore di Ellen Ripley (Alien) e madre putativa di future eroine come Nikita, Beatrix (Kill Bill: Volume 1) e Katniss (Hunger Games), Sarah Connor rappresenta il fulcro narrativo di un film che non è solo immagine e tecnica, ma anche un racconto appassionante, una storia con una protagonista investita dello scomodo ruolo di salvatrice da uno sconosciuto venuto dal futuro. Il volto ingenuo e candido di Linda Hamilton (moglie del regista dal 1997 al 1999) racchiude alla perfezione il carattere inconsapevole di una ragazza comune catapultata in una vicenda molto più grande di lei. Cameriera di giorno, ragazza con poca vita sociale di notte, Sarah passa da donna vulnerabile a personaggio-chiave per le speranze umane. Una crescita agevolata dall'atteggiamento protettivo di Kyle Reese che, pur di salvarla, per lei ha attraversato il tempo e affrontato il Terminator a viso aperto. La loro breve e intensa storia d'amore sarà poi la molla necessaria per rendere Connor cosciente della sua importanza per il futuro del pianeta. Preso atto di questa investitura, Sarah mette in mostra la sua forza d'animo distruggendo il cyborg proprio con una macchina, pronunciando un'altra, indimenticabile battuta: "Sei tu terminato". Così, la scena finale sulla jeep, immortalata dalla foto che Reese porta con sé dal futuro, presenta una donna con lo sguardo cambiato, deciso, oppresso dalla responsabilità che le spetta. Perché dentro di lei scalpita il futuro, quello positivo, perché frutto di un sentimento di cui le macchine non saranno mai capaci.
7. Passaggio di testimone
Due anni prima di Terminator, la fantascienza aveva già visitato Los Angeles ed esplorato il futuro sulle ali del pessimismo. Era il 2019 e Ridley Scott girava quel capolavoro che risponde al titolo di Blade Runner. Il fatto che Cameron abbia scelto di ambientare la sua storia nella stessa città, esattamente dieci anni dopo, non è certo casuale; è la scelta consapevole di un autore cinefilo, appassionato di fantascienza. Ex camionista laureato in filosofia, Cameron ha basato la sua formazione culturale sui romanzi di Isaac Asimov e Philip K. Dick e riempito la sua fantasia autoriale guardando e riguardando capolavori come 2001: Odissea nello spazio e Guerre stellari. Tra i suoi riferimenti vanno citati anche due episodi della serie Outer limits e un racconto breve dello scrittore Harlan Ellison che, dopo aver accusato Cameron di plagio, ottenne una citazione nei titoli di coda del film. Certamente influenzato anche da Alien e Blade Runner, dei quali riprende lo spirito distopico, il tema dell'intelligenza artificiale e il concetto di cacciatore spietato, il regista ha riversato in Terminator tutto un immaginario fantascientifico, citazionista e appassionato, basato anche sulle sue precedenti esperienze di scenografo, addetto agli effetti speciali e aiuto regista in film cult come 1997: Fuga da New York. Per James, dunque, non c'era scampo: per parlare del presente doveva aggirarsi nel futuro, guardare il nostro mondo da "lontano lontano".
8. Influenzare l'immaginario
Dopo essere stato schiacciato da una pressa per metalli, di Terminator è rimasto molto più che un cumulo di detriti. Il successo commerciale di questo cult ha dato vita ad una saga capace di attraversare il tempo, tra le poche (assieme a Star Wars e Rocky) ad avere almeno un capitolo per ogni decennio a venire. Nel corso degli anni il brand ha sempre "incassato" (dollari e critiche) grazie ad un sequel (Terminator 2 - il giorno del giudizio) ancora più spettacolare, con il merito di ribaltare la percezione del personaggio di Schwarzenegger, e un terzo capitolo più sottotono dal punto di vista artistico, ma enfatizzato dall'ultimo saluto prima dell'impegno politico della "quercia austriaca". E se il tentativo di reboot avviato con Terminator Salvation è fallito, il prossimo 9 luglio speriamo tutti che Schwarzy torni a mettere le cose in chiaro con Terminator: Genisys. Oltre al proprio franchise, Terminator ha influenzato un intero immaginario audiovisivo, quello che ha esplorato la soglia tra l'action e la fantascienza. Pensiamo a Robocop, Cyborg, così come a intere saghe videoludiche come Metal Gear o Duke Nukem, il cui protagonista è un'evidente parodia dello statuario T-800.
9. Tecnologia: odi et amo
Sperimentare, inventare, sfidare. Per Cameron fare cinema significa andare oltre i limiti del visibile e del fattibile. In questa costante competizione con le possibilità della settima arte, il regista ha fatto della tecnologia una fedele compagna di vita, un'alleata indispensabile per dare vita a mondi fantastici. Basti pensare che i lunghissimi dodici anni trascorsi tra Titanic e Avatar sono stati necessari per trovare le giuste tecniche di ripresa di cui Pandora aveva bisogno. Eppure, quella che appare come ossessione tecnologica per lo strapotere dei mezzi, si traduce in film fortemente critici nei confronti delle derive del futuro. Al di là della virale rete artificiale di Skynet, matrigna spietata di automi assassini, nei film di Cameron le meraviglie tecnologiche sono sempre fonti di disastri. Nel 1912 il transatlantico Titanic era quanto di più straordinario si potesse concepire, mentre in Avatar lo sfruttamento dello unobtanium, un cristallo ferroso e perfetto combustibile, è alla base del conflitto tra esseri umani armati di robot e la pacifica comunità dei Na'vi. Insomma, per il regista la fame di progresso è fonte di fascino e timore, attrazione e rigetto, fondamentale per il suo cinema ma allo stesso tempo disgraziata per i suoi protagonisti. Seguendo questa morale contradditoria, di Terminator conserviamo una fugace ma emblematica immagine: quella di una bambina che, all'interno di un vecchio televisore senza schermo, guarda il fuoco e si scalda. Come se il futuro fosse piombato nell'età della pietra.
10. Prospettive serie
Tra gli elementi che rendono Terminator un film visionario e più che al passo con i tempi, c'è la sua propensione verso la serialità. Basato sul sempre affascinante tema del viaggio nello spazio-tempo, il secondo film di Cameron adotta una narrazione con dinamiche e caratteristiche tipiche delle serie televisive odierne. Abbiamo una continua alternanza tra racconto presente e flashforward e, soprattutto, tantissimi elementi a cui Cameron accenna, incuriosendo lo spettatore che ne vorrebbe sapere di più. John Connor viene descritto come leader della resistenza umana, ma di lui conosciamo solo il nome e la madre che lo porta in grembo. Allo stesso modo non vengono forniti dettagli sulle origini di questo sistema di intelligenza artificiale e su quanto effettivamente accaduto nel lungo lasso di tempo che separa il 1984 dal 2029. Tutte domande che, in parte, trovano risposte nei capitoli successivi e che rendono molto difficile immaginare un Cameron senza un piano ben delineato già da allora. Lo confermano una serie di scene eliminate, con qualche indizio sull'azienda ideatrice di Skynet, e soprattutto la suggestiva sequenza finale, nella quale incombono nuvole minacciose. Un benzinaio suggerisce a Sarah che "un temporale sta arrivando". Ed ecco quell'attesa spasmodica e criptica che nelle serie televisive di oggi chiamiamo "inverno".