Maestro indiscusso del cinema degli ultimi trent'anni, "classico" d'autore, eclettico e geniale, Martin Scorsese è ormai un punto di riferimento assoluto nel panorama cinematografico mondiale. Grazie a capolavori come Taxi Driver, Toro Scatenato, Re per una notte e Quei bravi ragazzi, Scorsese è entrato di diritto nel gotha dei cineasti più importanti e talentuosi che hanno fatto la storia del cinema, ma, a differenza dei più, è ancora relativamente giovane (classe 1942) e pieno di entusiasmo per un mestiere che sembra non stancarlo mai. Quando si parla di cinema, infatti, il suo nome e la sua impronta inconfondibile emergono spesso e volentieri; tralasciando per un attimo la sua attività principale, la regia, che continua a praticare ad altissimo livello fin dal lontano 1969, anno in cui diresse il lungometraggio Chi sta bussando alla mia porta?, opera prima a basso costo con la quale Scorsese celebra un doppio esordio (oltre al proprio, quello di Harvey Keitel, attore-feticcio insieme al quasi fratello Robert De Niro) e prende le misure per quella_ Little Italy_ che conosce tanto bene e che diverrà teatro privilegiato di molte altre pellicole, l'impegno del maestro si dirama in direzioni diverse, senza però discostarsi mai più di tanto dalla settima arte. Partiamo dall'attività di attore che sembra divertire un mondo il vecchio Martin, tanto da spingerlo ad apparire in svariate pellicole non sue regalando anche inaspettati camei, come nel redfordiano Quiz Show o ne Il pap'occhio, pellicola diretta dal nostro Renzo Arbore e sequestrata per vilipendio della religione di Stato. Tra le molte apparizioni sullo schermo, che hanno permesso agli spettatori di familiarizzare con quella faccia simpatica e con gli occhietti furbi incorniciati dalle inconfondibili sopracciglia nere, la più sentita resta sicuramente quella di Sogni, film a episodi dove Akira Kurosawa regala a Scorsese il ruolo di Vincent Van Gogh, uno dei miti della giovinezza del regista, appassionato fin dall'infanzia di arti figurative. Già molti anni prima Scorsese si era ispirato ai celebri corvi neri del pittore olandese per immortalare una delle scene più toccanti e suggestive di America 1929: sterminateli senza pietà (1972), saga di emarginati negli anni della Grande Depressione. L'ultima fatica, stavolta non come attore, ma come doppiatore è rappresentata dall'imminente uscita del cartoon Dreamworks Shark Tale dove ancora una volta, al fianco di Martin, troviamo Robert De Niro insieme ad un manipolo di star hollywoodiane (Will Smith, Angelina Jolie, Renée Zellweger, Jack Black).
Cineasta a tutto tondo dunque, regista, attore, produttore, Scorsese ha svolto per un po' anche il ruolo di docente entrando come insegnante di ruolo di cinematografia alla New York University (dove fra i suoi studenti c'erano gli aspiranti registi Oliver Stone e Jonathan Kaplan), inoltre l'amore per il cinema lo ha spinto ad interessarsi della conservazione del patrimonio filmico internazionale attraverso la Film Foundation alla quale, negli anni, hanno aderito nomi illustri come Coppola, Kubrick, Lucas, Spielberg, Pollack e Woody Allen. Se non bastasse tutto ciò a confermare la nostra tesi possiamo aggiungere che parallelamente all'attività cinematografica Scorsese porta avanti da tempo quella letteraria: cineasta-cinefilo, amante del cinema classico, il regista ha dedicato numerosi scritti critici ai maestri di cui si ritiene debitore, da John Ford (la cui influenza è ampiamente evidente in Gangs of New York) a John Houston, e guarda caso, memore del percorso dei critici-registi appartenenti alla Nouvelle Vague, ha scelto di collaborare proprio con i Cahier du cinéma pubblicando una serie di saggi in cui parla con la stessa precisione dei film suoi e di altri registi, e da questi omaggi, dalle testimonianze e dalle brillanti analisi traspare un amore sconfinato per il cinema, sia di ieri che di oggi, collegando in questo modo la pratica della sua arte al ricordo delle pellicole che hanno segnato la sua vita di spettatore. Come tutti i grandissimi creatori, dunque, Martin Scorsese non separa mai la vita dalla professione: queste si ricongiungono in un moto segreto, intimo, che trova la sua espressione nei suoi film così come nei suoi articoli e nei suoi libri.
Nato da genitori di origine siciliana, Scorsese appartiene al nutrito gruppo dei cineasti italo-americani, scuderia che ha sfornato numerosi cavalli di razza: tra gli altri, tanto per intenderci, Francis Ford Coppola, Brian De Palma e più recentemente Quentin Tarantino. Il sangue italiano che scorre nelle loro vene sembra portare con sé anche i geni del talento e della cinefilia se è vero che la caratteristica comune di tutti questi autori, al di là delle differenze specifiche che li contraddistinguono, è la tendenza a rielaborare anni di patrimonio cinematografico internazionale, dopo averlo assimilato e fatto proprio, realizzando prodotti assolutamente innovativi e capaci di svecchiare i vecchi canoni del sistema. Se De Palma (negli anni '70 - '80) e Tarantino (nei '90) si impongono come geni della citazione e del cinema postmoderno, Martin Scorsese condivide con Coppola un senso di italianità talmente forte e radicato da permettere che esso emerga, in modo più o meno cosciente, all'interno delle sue pellicole, fino a cristallizzarsi in un sistema di valori e tematiche che si ripropone sistematicamente pellicola dopo pellicola. Personaggi solitari in lotta con se stessi, violenza, peccato, redenzione, solitudine, riscatto, e, sopra ogni cosa, la famiglia intesa come valore assoluto, sacrale, come unico punto di riferimento per l'individuo, sostituita a volte da un altro tipo di Famiglia che, se possibile, richiede agli antieroi scorsesiani ancora maggiore lealtà e dedizione. I film sulla mafia equivalgono per l'immagine degli italo-americani agli western per l'Ovest degli USA: fanno parte di una mitologia, non raccontano quello che succede, ma costruiscono leggende, come accade per la saga de Il padrino.
Scorsese, però, conosce a fondo il mondo di Little Italy: cresciuto infatti a New York, nelle strade che vanno da Houston Street a Chinatown e che delimitano il quartiere italiano, frequenta ladruncoli, teppisti, teddy boys e delinquenti di vario tipo, quei goodfellas, insomma, destinati a diventare gli eroi di tanti suoi lungometraggi, a partire dal primo capolavoro Mean Streets. Quel neorealismo che tanto ama e che percepisce come il periodo più prezioso della storia del cinema tanto da dedicargli un commosso omaggio col documentario Il mio viaggio in Italia (che, guarda caso, prende vita dai ricordi che Scorsese ha del padre, che lo accompagnava al cinema, e dei parenti, che si raccoglievano nel loro appartamento di Elisabeth Street per vedere in televisione i film italiani) influenza la sua poetica sopratutto nel nucleo principale della sua produzione, costituito dalle pellicole più strettamente legate alla sua italianità ed all'infanzia a Little Italy. Appartengono a questo nucleo i primi lavori, Chi sta bussando alla mia porta? e Mean Streets, quest'ultimo esplicitamente accostato dal regista stesso a I vitelloni, per poi proseguire con il capolavoro Quei bravi ragazzi, studio fenomenologico sulla mafia italo-americana con un cast da Oscar, fotografia minuziosa di comportamenti e riti familiari, differenze etniche e sottigliezze verbali, in un mondo dove la morte e la violenza appartengono alla quotidianità, per concludere poi con Casinò, canto del cigno della mafia tradizionale che sta al gangster movie come L'uomo che uccise Liberty Valance sta al western. Per completare il quadro della produzione più strettamente realista, a queste quattro pellicole si aggiungono i "racconti di strada", feroci capolavori ambientati in una New York notturna, sporca, viscida e amorale, da Taxi Driver, dove il reduce Travis Bickle si ricrea il proprio personale inferno metropolitano, a Toro Scatenato e Re per una notte, storie di self made men che, nel tentativo di uscire da una insana anonimia e dal grigiore quotidiano, usano i mezzi che hanno a disposizione, sia che si tratti dello "humor" di un signor nessuno come Rupert Pumpikin sia dell'inarrestabile potenza atletica di un campione come Jake La Motta, passando per Alice non abita più qui, on the road che ospita una duplice eccezione, le autostrade della California al posto di New York City e l'unica figura femminile che spicca in una galleria di soli uomini, un'Alice sciatta e disperata, così lontana dal Paese delle Meraviglie eppure così affamata di sopravvivenza nella scialba provincia americana. Variazione sul tema del degrado metropolitano della Grande mela, il geniale cult Fuori Orario, perla di grande pregio all'interno della produzione scorsesiana che vede protagonista un timido Griffith Dunne perso in un surreale incubo kafkiano condito con una buona dose di suspence e ironia, mentre il paramedico Nicholas Cage in Al di là della vita vive un altro incubo, dolente e amarissimo, ossessionato dal ricordo di una ragazzina morta nonostante i suoi sforzi; sullo sfondo, ancora una volta, l'inferno di Manhattan, metafora di violenza, disgregazione e solitudine.
In una filmografia del tutto coerente e compatta, percorsa da una vena melodrammatica e passionale, ironica e crudele, spiccano alcuni titoli che si discostano dalla strada maestra e che hanno scatenato nella critica e nel pubblico reazioni contrastanti o, addirittura, violente polemiche. L'opera più discussa di Martin Scorsese, per il momento, rimane indubbiamente L'ultima tentazione di Cristo, dove il regista, affidando inaspettatamente il ruolo di Gesù a uno straordinario Willem Dafoe, indaga a fondo la duplice natura (umana e divina) del figlio di Dio mettendone in luce aspetti assolutamente inediti, paure, dubbi e tentennamenti tipicamente umani che poco o niente hanno a che vedere con la missione a cui egli è destinato. Opera assolutamente innovativa anche sul piano formale ed iconografico, L'ultima tentazione di Cristo rifiuta i modelli cinematografici a disposizione ricreando un'immagine di santità vista dal basso e recuperando una dimensione del Cristo allo stesso tempo barbarica e rivoluzionaria, retaggio di quella cultura cattolica meridionale che ha ossessionato il regista fin dall'infanzia spingendolo addirittura ad entrare in seminario per diventare sacerdote, seminario da cui fu poi allontanato a causa delle sue cattive frequentazioni (i ribelli ed i piccoli delinquenti di Little Italy per l'appunto). Nonostante l'elevatissimo spessore teologico, la pellicola dedicata alla vita del Cristo riceve una marea di critiche, censure e tentativi di boicottaggio dalla chiesa cattolica. Dieci anni dopo, inaspettatamente, il maestro newyorkese ci regala un altro discusso capolavoro, Kundun, il cui oggetto, stavolta, è la biografia del quattordicesimo Dalai Lama, una raffinata meditazione sul buddismo caratterizzata da un notevole equilibrio strutturale e linguistico. Già nel 1993 Scorsese aveva stupito tutti con un'opera assolutamente estranea alle sue tematiche abituali, l'adattamento del romanzo di Edith Wharton L'età dell'innocenza, ambientato nel mondo scintillante dell'alta società newyorkese di fine '800, dimostrando così di non aver assimilato solamente la lezione di Rossellini e De Sica, ma anche del Visconti più estetizzante.
Il regista ha mostrato spesso di far uso di un'immagine e di una fotografia funzionali all'intensità emotiva delle vicende narrate, come nel caso dello splendido bianco e nero di Toro scatenato, capace di offrire una ricchezza cromatica che il colore avrebbe difficilmente raggiunto, o dell'originale utilizzo di luci, suoni, immagini deformate e del montaggio come espressione di una realtà soggettiva di Al di là della vita, ma in questo caso la cura maniacale dei particolari serve a ricreare dal nulla un'epoca, evocandone ricchezza materiale e miserie intellettuali allo stesso tempo.
Gangs of New York ci ha riportato ancora una volta in una New York ottocentesca, ma stavolta completamente diversa dalla precedente: allo sfarzo si è sostituita la barbarie, alle convenzioni ed alle ipocrisie della upper class la violenza ed il sangue tribale, convogliando tutte le energie produttive nel dar vita all'affresco visionario e primitivo di Gangs of New York, che inaugura una personale ricognizione del regista nelle mitologie della fondazione degli USA. Una carriera così complessa ed una produzione notevolmente varia hanno fruttato a Martin Scorsese il plauso della critica e del pubblico nonché numerosi premi e riconoscimenti, anche se all'appello del suo palmares manca proprio l'Oscar.