Recensione Paycheck (2003)

Un nuovo esempio di cinema moderno che cerca di rimediare all'ormai proverbiale e preoccupante mancanza di idee con degli esperimenti più o meno originali, ma il risultato è a dir poco trascurabile.

Il futuro non è di John Woo

Dopo l'ultimo anno completamente monopolizzato da Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, la fantascienza torna nelle nostre sale con l'ennesimo film tratto dalla geniale penna di Philip K. Dick, i cui romanzi e racconti avevano già ispirato celebri registi come Ridley Scott e Steven Spielberg. Stavolta tocca a John Woo, altro regista di culto: è infatti l'autore di The Killer e Face/off - Due facce di un assassino a prendere le redini del progetto Paycheck, dopo l'abbandono (molto gradito, per quanto ci riguarda) di Brett Ratner (Red Dragon). Questo passaggio di mano in corsa determina una vera e propria rivoluzione all'interno del progetto: immaginando come punto di partenza un probabile clone di Minority Report, la pellicola conserva sì temi fondamentali della poetica di Dick quali la perdità d'identità (Blade Runner, Atto di forza) e l'annientamento degli istinti umani attraverso la tecnologia (il film di Spielberg e lo stesso Paycheck), ma allo stesso tempo ripropone anche il cinema caro al regista di Hong Kong, e quindi vere e proprie coreografie di morte intermezzate da lunghi inseguimenti e fughe ad alto tasso adrenalinico.

Una contaminazione di generi e un incontro tra due maestri estremamente differenti tra loro: ci troviamo, quindi, di fronte ad un nuovo esempio di cinema moderno che cerca di rimediare all'ormai proverbiale e preoccupante mancanza di idee con degli esperimenti più o meno originali. E se tali esperimenti a volte si tramutano in veri e propri cult nonché punti di riferimento importanti per un nuovo modo di far cinema (basti vedere lo stesso Matrix o il recentissimo Kill Bill: Volume 1), altre volte, come nel caso di questo Paycheck, il risultato è a dir poco trascurabile. Quella che non è assolutamente trascurabile è la trama di partenza che, come in gran parte delle opere dickiane, è geniale ed intrigante e ci fa quasi illudere di trovarci davanti ad un film di un certo rilievo: Michael Jennings è un genio dell'informatica e del reverse engineering a cui vengono cancellati dalla memoria gli ultimi tre anni di vita, periodo in cui ha lavorato ad un progetto tanto pericoloso quanto segreto e che avrebbe dovuto portargli oltre 90 milioni di dollari; ma presto si accorgerà che del gruzzolo non c'è traccia, e al suo posto c'è solo una busta contenente degli oggetti apparentemente senza senso, e si ritroverà, sempre senza essere a conoscenza del motivo, ad essere braccato sia dall'FBI che da killer inviati dal suo ex datore di lavoro. Attraverso quei pochi oggetti, e con l'aiuto di Rachel, un'affascinante biologa che dice di aver trascorso con lui gli ultimi tre anni ma di cui non ricorda nulla, dovrà cercare di ricostruire il suo passato.

Trama affascinante, ma come dicevamo c'è ben poco da gioire perché se i primi quarantacinque minuti ci lasciano l'illusione di un piacevole, per quanto in parte già visto, thriller fantascientifico, tutto quello che era stato costruito (background, personaggi, intreccio) viene ben presto annullato per lasciare spazio ai marchi distintivi di Mr. Woo: è così che il personaggio dell'informatico mostra delle incredibili, quanto inaspettate, similitudini con l' Ethan Hunt di Mission: Impossible II (altra fragorosa caduta di stile del regista), nelle spericolate fughe a bordo di una moto così come nei duelli faccia a faccia o uno contro cento. Verosimiglianza praticamente nulla per una spettacolarità di medio livello, il tutto condito con diverse citazioni più o meno velate ad alcuni classici di Alfred Hitchcock o ai primi successi del regista (per gli appassionati, sì, anche in questo film è presente l'immancabile scena con la colomba bianca) e dell'umorismo a tratti imbarazzante. Certo, la tecnica a Woo non manca così come alcune belle scene, ma anche il cast è male assortito: se consideriamo che un Ben Affleck anche al suo meglio non riesce a convincere mai, qui che si trova anche mal supportato non solo da un personaggio appena abbozzato ma anche da due "compari" piuttosto svogliati (nonostante rispondano ai nomi di Uma Thurman e Paul Giamatti) arriva a farci rimpiangere non solo Cary Grant o Chow Yun-Fat, ma perfino il peggior Tom Cruise. Potremmo definirlo un film da dimenticare, ma siamo certi che non ci sarà nemmeno da sforzarsi, tempo un paio di giorni e sarà per sempre nel nostro dimenticatoio... non male per un film che tratta del futuro!

Movieplayer.it

2.0/5