Non è né un remake né un sequel, hanno ribadito i fratelli Vanzina alla conferenza stampa del loro ultimo film, Sotto il vestito niente - L'ultima sfilata, melò dalle atmosfere thriller e dalla comicità involontaria che rilancia sul grande schermo il cult che nel 1985 s'ispirò al De Palma di Omicidio a luci rosse. Se la critica non accolse favorevolmente il tentativo di Carlo ed Enrico Vanzina di cimentarsi in un genere poco sondato dalla loro filmografia, ci pensò il grande pubblico a consacrarlo come uno dei maggiori successi di botteghino di quell'annata. Sotto il vestito niente è finito così nel vasto calderone di pellicole di genere rivalutate nella storia del cinema nostrano a posteriori ed etichettate come opere di culto che il pubblico rivede e ri-ama ancora.
A distanza di oltre venticinque anni e stanchi della "sbornia" della nuova commedia italiana, i registi più prolifici di Roma tornano così in sala - per l'esattezza in 350 sale - con un reboot della loro stessa opera. Ad aiutare Enrico Vanzina a riscrivere la sceneggiatura c'è nuovamente Franco Ferrini, autore popolare e firma storica di molteplici successi di Dario Argento, mentre dietro la macchina da presa ritroviamo Carlo Vanzina, che ci ha tenuto a ricordare lo scomparso Achille Manzotti, "produttore molto capace che aveva comprato i diritti del libro di Marco Parma e affidato il progetto cinematografico a Michelangelo Antonioni". Bizzarra invece la scelta del cast: Francesco Montanari, che ci ha sorpreso e fatto rabbrividire negli ultimi due anni col suo duro e spietato Libanese in Romanzo criminale - La serie, si cala nei panni di un irreprensibile ispettore di origini siciliane, pronto a fare giustizia e combattuto tra la bellezza e la famiglia, mentre la modella Vanessa Hessler fa autogol interpretando una top model svedese acqua e sapone, pura e seducente. Con loro dividono la scena Richard E. Grant, stilista omosessuale dal background piccolo borghese, la brava Giselda Volodi, che ricorda col suo sguardo inquietante la spettrale signora Danvers (Judith Anderson) di Rebecca, la prima moglie ed Ernesto Mahieux, un giornalista pervertito che a Milano e insegue il gossip e la biancheria intima delle modelle. Abbiamo incontrato a Roma i Vanzina e i loro interpreti che ci hanno raccontato la genesi di un progetto cinematografico che tenta un'impresa inusuale nell'attuale scenario nazionale e ci hanno parlato dei cambiamenti che hanno notato confrontandosi col mondo della moda, con la città di Milano e con il giallo, un genere - secondo loro - ancora poco esplorato in Italia ai giorni nostri.
Carlo Vanzina: Ricordo che Achille Manzotti mi propose un progetto fuori dal registro dei film che avevamo fatto fino a quel momento. Franco Ferrini ci aiutò con la sceneggiatura e il film divenne un culto. All'Ariston chiusero il cinema e chiamarono la polizia per la calca. Oggi è cambiato tutto, ma spero che si ripeta quel successo. Questo giallo non ruota intorno al mondo della moda, non è un remake né un sequel e non ha attinenza col primo: avevamo voglia di fare un giallo con il mondo della moda in background.
Anche se questo non si può considerare un vero e proprio remake, l'ambientazione è la stessa del primo film, cosa avete ritrovato confrontandovi col passato? E da cosa avete preso le distanze?
Carlo Vanzina: Quello che è cambiato è il mondo della moda, che all'epoca era identificato con stilisti emergenti come Versace e Armani i cui nomi erano quasi più importanti dei vestiti. Negli anni '80 e '90 funzionava il made in Italy e le modelle erano top model del calibro di Renée Simonsen. Oggi la moda è cambiata e vuol dire anche globalizzazione, le modelle hanno volti anonimi e passano come delle meteore nei nostri occhi. Inoltre, mentre allora raccontavamo un dietro le quinte con un mondo torbido, stavolta abbiamo privilegiato il mondo dello stilista, la sua famiglia e abbiamo raccontato la parabola di due ragazze svedesi vista attraverso gli occhi di un ispettore che viene dalla Sicilia. Abbiamo raccontato di più rispetto alla volta precedente.
Enrico Vanzina: Abbiamo voluto aggiungere un altro valore, il melodramma, la storia di una famiglia che diventa quasi un sogno faustiano. Abbiamo privilegiato i sentimenti e dato un'anima più italiana. In questo film c'è poi un cotè divertente dovuto alla bravura di un attore straordinario come Francesco Montanari, che si è calato nei panni di un personaggio assolutamente normale. Vanessa Hessler è italiana, ma è una bellezza globale e rappresenta, con la sua faccia pulita, un cigno bianco che arriva nel mondo della moda. Come si dice? E' il cinema, bellezza!
Nel film sono numerosi i rimandi ad Hitchcock. Come motivate queste citazioni?
Franco Ferrini: Alfred Hitchcock è il maestro di questo tipo di cinema. Il titolo del libro che ha ispirato il primo film aveva un valore moraleggiante e si riferiva al vuoto delle modelle. Noi abbiamo cambiato quella frase oggi perché la moda si basa sulla seduzione, che vuol dire rivelare e celare, nascondere e mostrare e quel "niente" vuol dire che c'è il vestito ma chi guarda la donna se la immagina diversamente. Questa tecnica è proprio quella del giallo perché non si può dire tutta la verità fin dall'inizio. Hitchcock è maestro del cinema di "affascinamento", il pubblico viene ammaliato da lui, ma lui non faceva il whodunit perché riteneva che non fosse importante sapere chi è il colpevole. Noi invece abbiamo fatto il contrario: abbiamo rispettato la struttura di un giallo classico, ma il dramma nasce da un tema molto realistico, civile e scottante e cioè la possibilità per i gay di adottare un bambino.
Carlo Vanzina: Io sono un amante dei gialli di Stieg Larsson e di Camilla Läckberg, esponenti di una nuova letteratura che trovo interessante. Volevamo portare avanti una storia che ruotasse intorno a un segreto di famiglia e abbiamo ritrovato questo spunto nelle loro opere così abbiamo deciso di girare nella cittadina di Fjällbacka in Svezia. Il film è molto influenzato anche da questo genere. Per quanto riguarda le scene degli omicidi però non volevamo fare un horror. Oggi si va sul truculento, ma noi volevamo evitarlo e tenere l'attenzione dello spettatore su quello che succede piuttosto che sulla rappresentazione della violenza. Forse non è moderna come scelta.
Enrico Vanzina: Questo film non esisterebbe senza la musica di Pino Donaggio, che è sensazionale. E' curioso il modo in cui lui sia entrato nel progetto: io faccio canottaggio e a Venezia avevo visto Pino che mi incitava ad andare avanti da una finestra, così mentre ero su un canale ho avuto il coraggio di accennargli del film gridandogli: "Ti ricordi di Sotto il vestito niente? Ti chiamo domani!".
Cosa ci dite invece della citazione di Cold Case - Delitti irrisolti? E' un riferimento alla serialità, come vi siete rapportati a questo mondo?
Carlo Vanzina: Io non sono un grande divoratore di serie. E' stato Franco a tirarlo fuori. In America dicono che il giallo funzioni meglio in tv che al cinema oggi e non so se qui si possa dire la stessa cosa. Ci sono delle nuove tendenze, ma la serialità italiana non mi piace. Noi vediamo qualcosa attraverso lo zapping e forse qualcosa resta memorizzato. La stessa scelta di chiamare Francesco Montanari è legata a questo fenomeno.
Dal vostro film emerge anche una nuova immagine di Milano. Anche questo è frutto di una riflessione attuale?
Carlo Vanzina: Negli anni '80 la città era chiamata la Milano da bere perché identificata con uno spot famoso, un'immagine che sta tornando, ma Milano è cambiata: non è più il centro dello yuppismo, dei paninari... Come ha detto Dalla, è un corridoio per l'Europa e mi auguro che tornerà in auge. Io ci sono molto legato e ricordo che dopo l'anteprima del primo film la stampa dichiarò che l'assenza degli stilisti alla proiezione era dovuta al fatto che stavano tremando per il nostro film. La verità è che non furono invitati!
Enrico Vanzina: Milano era una città sfrontata, oggi ha ritrovato un po' il suo lato calvinista e nasconde, sta molto attenta e cerca di schivare da sé l'attenzione. E' come il segreto di famiglia gelosamente nascosto nel nostro film.
Enrico Vanzina: La sfilata all'Ara Pacis che si vede nel film è della coppia di stilisti Grimaldi e Giardina. Per loro è stata davvero l'ultima sfilata perché dopo quella collaborazione si sono separati.
Il mondo della moda però sembra un tema importante del film. Troviamo anche una citazione modaiola che lo dimostra. Ce ne parlate?
Carlo Vanzina: La scena della sfilata all'Ara Pacis è un riferimento al film Valentino: L'ultimo imperatore, alla sequenza del dialogo tra lo stilista e Karl Lagerfeld. Su Il foglio avevamo letto sul fatto che lui non conosceva il francese e abbiamo tirato fuori una battuta... Qui non c'è un totocinefilia, c'è però tutto quello che sappiamo dai media.
Enrico Vanzina: La battuta della scena in cui Britt (Vanessa Hessler) viene portata nella casa di Alexandra da Heidi (Claudine Wilde) le dice: "Una modella ha soltanto un amico, lo specchio" è una battuta di Glamorama, romanzo di Bret Easton Ellis ambientato nel mondo della moda... La moda è finzione, nasconde e suggerisce, come ricorda ne Il sistema della moda Roland Barthes quindi anche chi viene rappresentato diventa la somma di tante cose. Lungi da noi l'intenzione di fare un film sulla realtà. La moda è affascinante perché è come il cinema, dura poco, passa ed è una sfida continua e non semplice.
Lei ha parlato di moda e quindi di ciclicità, cosa ne pensa invece della ciclicità del cinema, del genere e in particolare del giallo, del thriller, che continua a rinnovarsi?
Enrico Vanzina: Il cinema di genere non è mai stato guardato con favore dalla stampa quindi è molto rischioso. Noi ci abbiamo provato altre volte, ma stavolta abbiamo cercato di fare un film che divertiva noi per primi. Speriamo che il pubblico abbia l'interesse di uscire da una sbornia di commedia come quella recente. Mi compiaccio di questa situazione molto favorevole nel cinema italiano, ma si tratta di film fatti bene, anche spiritosi, che però non rispecchiano l'Italia. Questo film vuole raccontare qualche altra cosa e se il pubblico lo scegliesse lo troverei un atto civile. Non c'è stato un altro Basic Instinct negli ultimi anni. E c'è un territorio da scoprire.
Vanessa Hessler: Ho ripreso un po' i miei inizi, quando avevo 15 anni ed ero intimorita da tutto e da tutti. Adesso sono un'attrice e questa esperienza è molto costruttiva e mi sta stimolando molto.
Francesco Montanari: Per me è stata una bellissima esperienza perché dal primo incontro con i Vanzina si è creata un'ottima sintonia. Io ho poca esperienza e mi sono trovato a girare con due registi che sono al 51esimo film, ma ho trovato in loro una predisposizione all'ascolto continuo e l'ho trovato davvero ammirevole. E' stata una bella sfida.
Giselda Volodi: Io vengo dal teatro, ho lavorato molto sulla fisicità. Mi trovo in questo film con un ruolo solare e sereno - ironizza l'attrice. Mi ci voleva.
Virginie Marsan: Vanessa ha fatto il cigno bianco, io quello nero. Per una volta ho potuto dimostrare un'aggressività, un'isteria, una gelosia nuove. Di Hitchcock adoravo Intrigo internazionale, Psycho, La donna che visse due volte. Ma lui è venuto dopo Shining per me, i miei amici venivano a casa mia e li guardavamo insieme. Avevo voglia di fare un film del genere.
Signora Volodi, è vero che dopo questo ruolo è stata chiamata a sfilare?
Giselda Volodi: Sì, dopo questo film gli stilisti di Maliparmi mi hanno chiesto di sfilare per loro a Padova, poi sono stata nella settimana della moda a Milano... Ci sono le modelle giovani che diventano attrici e le attrici vecchiotte che diventano modelle!
A proposito di moda, Vanessa nel passaggio dalla passerella al set hai notato delle differenze tra il campo della moda e quello del cinema?
Vanessa Hessler: La moda si basa solo sull'estetica mentre nel cinema si ha l'occasione di conoscere più a fondo le persone con cui si lavora.
Francesco Montanari: No, non mi sono ispirato a nessuna coppia in particolare, ma sono andato a fantasia. C'era il rischio di rifare Il Commissario Montalbano, ma volevo puntare sull'essenza più che sull'apparenza. Con Zampa, che lavora da anni a teatro a Milano, ci siamo divertiti a creare una coppia con l'eroe buono e quello più leggero. Il mio ispettore è attento ma anche simpatico.
Cosa ci dici invece del passaggio dal piccolo al grande schermo e in particolare dal ruolo del cattivo a quello del buono?
Francesco Montanari: Il passaggio non è stato semplice anche se mi sento più vicino a questo personaggio, Malerba, che al Libanese, che era più lontano da me. Lui cerca di avere un equilibrio etico e morale e io ho cercato di renderlo normale e non banale. Spero che sia credibile vederlo resistere alla tentazione di questa donna. I personaggi dovrebbero avere tutto tranne che la noia!
Enrico Vanzina: Andiamo fieri dell'aver evitato la storia d'amore prevedibile. Malerba non crolla, ma decide di restare vicino alla moglie e questa è stata una strada che ha reso riconoscibili i personaggi.
Alla conferenza stampa della seconda stagione di Romanzo criminale - La serie il suo collega, Vinicio Marchioni, ha detto che se in futuro dovesse essere ricordato solo come il Freddo per lui sarebbe un grande onore. Tu ti porti addosso il Libanese, un ruolo con cui tutti ti riconoscono. Condividi questa posizione o vorresti archiviare quell'esperienza?
Francesco Montanari: Anch'io la penso così, è stata un'esperienza straordinaria e probabilmente i progetti futuri saranno opportunità scaturite da quella, ma è un errore etichettare gli attori per i ruoli. Io prima non esistevo se non a teatro quindi sono grato al Libanese, ma fatemi fare un santo così esco da questo ruolo...