Considerati per tradizione i massimi premi cinematografici americani dopo gli Oscar (inesorabilmente più prestigiosi), da ormai ottant'anni i Golden Globe affiancano le statuette dell'Academy nell'intento di valorizzare i film, i registi e gli interpreti ritenuti più meritevoli, perlomeno secondo i gusti della stampa hollywoodiana. Ad assegnare i Golden Globe sono infatti i membri della Hollywood Foreign Press Association: un'élite di poche decine di giornalisti che, proprio in tempi recenti, è stata oggetto di accese contestazioni, al punto da far annullare la cerimonia di premiazione del 2022. Eppure, le sfere dorate della HFPA conservano un'indubbia importanza: sia per la visibilità che sono in grado di offrire, sia per la capacità di influenzare la competizione per gli Oscar, con scelte che spesso anticipano quelle dell'Academy.
Ovviamente, però, non mancano i casi in cui i vincitori selezionati dalla HFPA divergono dai destinatari degli Oscar. Non si tratta di casi troppo frequenti, anche considerando che nelle categorie dedicate al miglior film e all'attore e all'attrice protagonisti i Golden Globe prevedono una doppietta di premi, distinguendo fra opere drammatiche e commedie/musical. Ma quando i due trofei puntano su opzioni differenti, può capitare che siano proprio i Golden Globe a riservare maggiori soddisfazioni rispetto ai loro "fratelli maggiori". Pertanto, in occasione degli ottant'anni dei Golden Globe, ripercorriamo in ordine cronologico dieci casi in cui i loro premi ci sono apparsi ben più entusiasmanti in confronto agli Oscar nelle categorie analoghe.
1. Peter O'Toole miglior attore 1968 per Il leone d'inverno
Fra le grandi icone del cinema a partire dal suo indimenticabile Lawrence d'Arabia, il britannico Peter O'Toole è stato insignito di quattro Golden Globe, inclusi due premi nella categoria per il miglior attore di dramma; e in entrambi i casi cimentandosi con lo stesso personaggio, ovvero Re Enrico II. Dopo Becket e il suo Re (1964), nel 1968 O'Toole tornò infatti a vestire i panni del sovrano d'Inghilterra ne Il leone d'inverno di Anthony Harvey, sfoderando un'interpretazione magistrale in questo adattamento del testo teatrale di James Goldman. Ma se i Golden Globe lo incoronarono una seconda volta per il suo veemente ritratto di Enrico II, gli Oscar si lasciarono sfuggire l'occasione di ricompensarlo, preferendogli il collega americano Cliff Robertson per il dramma psicologico I due mondi di Charly. Peter O'Toole riceverà nel complesso otto nomination agli Oscar, tutte da protagonista, e nel 2003 gli sarebbe stato tributato il premio alla carriera.
2. Gena Rowlands miglior attrice 1974 per Una moglie
Altra leggenda del grande schermo, Gena Rowlands è una delle più stimate attrici del cinema americano di ogni tempo, in particolare in virtù del suo sodalizio con il marito John Cassavetes. E nel 1974, la HFPA le attribuì il Golden Globe come miglior attrice di dramma per la sua struggente performance nel ruolo di Mabel Longhetti, donna alcolizzata ed emotivamente instabile, nel titolo più apprezzato della filmografia di Cassavetes, Una moglie. Agli Academy Award di quell'anno, l'Oscar andò tuttavia ad Ellen Burstyn per Alice non abita più qui di Martin Scorsese: una scelta comunque di tutto rispetto, in favore di un'altra attrice di supremo talento. Ma se l'Academy avrebbe potuto ricompensare la Burstyn in almeno una o due altre occasioni, il tour de force compiuto in Una moglie da Gena Rowlands, con il suo impressionante naturalismo, costituisce un capitolo a sé negli annali della recitazione. La Rowlands sarebbe stata candidata nel 1980 per un'altra pellicola di Cassavetes, Gloria, mentre nel 2015 è stata insignita dell'Oscar alla carriera.
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3. Sidney Lumet miglior regista 1976 per Quinto potere
Vero e proprio fenomeno cinematografico dell'anno 1976, il dramma sportivo Rocky suscitò presso il pubblico un gigantesco entusiasmo che, giocoforza, non lasciò indifferenti i membri dell'Academy, i quali gli assegnarono tre statuette, tra cui miglior film e miglior regia per John G. Avildsen. Ma se il plebiscito per Rocky non sorprende affatto, vale la pena ricordare che, ai Golden Globe, il trofeo come miglior regista andò invece a un autentico maestro del cinema americano: Sidney Lumet, grande innovatore della narrazione hollywoodiana fin dal suo esordio con La parola ai giurati e in seguito fra i massimi esponenti della New Hollywood. Nel 1976, Lumet ottenne il Golden Globe per il suo corrosivo capolavoro Quinto potere, affresco a tinte satiriche del mondo della TV, che da lì a breve si sarebbe aggiudicato anche quattro premi Oscar per la sceneggiatura e per tre dei suoi interpreti; Sidney Lumet dovrà attendere però il 2005 per stringere fra le mani il suo Oscar alla carriera.
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4. Barbra Streisand miglior regista 1983 per Yentl
L'asso pigliatutto (o quasi) della stagione dei premi per l'anno 1983 fu Voglia di tenerezza, commovente mélo familiare prodotto, scritto e diretto da James L. Brooks. Creatore del mitico The Mary Tyler Moore Show e in seguito fra gli artefici de I Simpson, al suo debutto in qualità di regista cinematografico Brooks si portò a casa ben tre statuette (miglior film, regia e sceneggiatura) dei cinque Oscar incassati da Voglia di tenerezza. Due mesi prima, in compenso, il Golden Globe per la miglior regia era stato attribuito a un'altra cineasta esordiente: la superstar Barbra Streisand, eletta regista dell'anno per il musical Yentl, storia di una ragazza ebrea polacca che si finge un maschio per poter studiare in una scuola religiosa.
Sebbene Voglia di tenerezza rimanga uno dei film-simbolo del cinema americano degli anni Ottanta, la scelta della HFPA (che premiò Yentl anche come miglior commedia) appare assai più ispirata: sia per l'affascinante messa in scena operata dalla Streisand, sia per una coraggiosa scommessa produttiva ripagata da ottimi risultati in termini di critica e di pubblico. Agli Oscar, invece, Yentl venne escluso dalle categorie principali, suscitando un'ondata di polemiche; ed è significativo che nel 2010 sarebbe stata proprio Barbra Streisand a consegnare a Kathryn Bigelow il primo Oscar per una regista donna, a ben ventisei anni di distanza dall'analoga "prima volta" dei Golden Globe.
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5. Robert Altman miglior regista 2001 per Gosford Park
E restiamo ancora nel campo della miglior regia, categoria che ai Golden Globe del 2001 vide trionfare uno dei più influenti e talentuosi cineasti di sempre: il settantasettenne Robert Altman, eletto miglior regista dalla HFPA per il superbo murder mystery Gosford Park. Impossibile, però, che l'inaspettata scelta dei Golden Globe potesse replicarsi agli Oscar, dove la maggioranza dei membri dell'Academy votò in maniera assai meno 'raffinata': A Beautiful Mind, già premiato come miglior film drammatico ai Golden Globe, ricevette infatti pure la statuetta per la regia di Ron Howard (in un anno in cui, oltre a Robert Altman, erano in competizione anche David Lynch per Mulholland Drive e Peter Jackson per La compagnia dell'Anello). Gosford Park vinse comunque l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, mentre nel 2006 (poco prima della sua scomparsa) l'Academy avrebbe reso omaggio al regista di MASH, Nashville e America oggi con un sacrosanto premio alla carriera.
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6. I segreti di Brokeback Mountain miglior film 2006
In ogni elenco dei più imbarazzanti passi falsi nella storia dell'Academy, un posto di disonore è occupato immancabilmente dal bislacco colpo di scena che chiuse la cerimonia degli Academy Award per l'anno 2006: l'annuncio di Crash per l'Oscar come miglior film. Per quanto destinatario della sua buona fetta di riconoscimenti nelle settimane precedenti, il dramma corale scritto e diretto da Paul Haggis sembrava avere ben poche chance nella categoria principale al cospetto dell'autentico dominatore di quella awards season: I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee, l'intensa e malinconica cronaca dell'amore clandestino fra due giovani cowboy nella cornice dell'America rurale. Dopo il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia, I segreti di Brokeback Mountain aveva ottenuto quattro Golden Globe, tra cui appunto miglior film drammatico; in seguito, agli Oscar sarebbero arrivate tre statuette, tra cui miglior regia, ma non il premio come miglior film. E al di là dei sospetti di omofobia nei confronti dell'Academy, resta il rammarico per il premio a un'opera tutto sommato convenzionale quale Crash a scapito di un titolo di gran lunga superiore.
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7. The Social Network miglior film 2010
E giusto per restare in tema, una situazione analoga si sarebbe verificata nell'awards season di quattro anni più tardi. In quel caso, i giurati della HFPA non ebbero esitazioni: The Social Network, ricostruzione della nascita di Facebook e della folgorante scalata al successo di Mark Zuckerberg, fu premiato con ben quattro Golden Globe, tra cui miglior film drammatico e miglior regista per David Fincher. Ma da lì a breve, risultò ben chiaro che gli entusiasmi dell'Academy puntavano in una direzione assai diversa: il dramma storico Il discorso del Re. Alla pellicola di Tom Hooper, senz'altro pregevole ma piuttosto convenzionale, andarono infatti quattro Oscar, tra cui miglior film e regia: una coppia di statuette che dei votanti meno tradizionalisti, e con un pizzico di coraggio in più, avrebbero potuto consegnare invece a The Social Network. Se non altro, il capolavoro di Fincher fu ricompensato comunque con tre Oscar, incluso il trofeo per la sceneggiatura di Aaron Sorkin.
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8. Steve Jobs miglior sceneggiatura 2015
E proprio Aaron Sorkin, fra le penne più brillanti del cinema e della TV americani da ormai più di tre decenni, ha goduto di alterne fortune presso l'Academy: premiato per The Social Network e candidato in tre successive occasioni (L'arte di vincere, Molly's Game e Il processo ai Chicago 7), di contro Sorkin è stato ignorato agli Oscar per script eccellenti quali Codice d'onore, Il Presidente, La guerra di Charlie Wilson e, soprattutto, il suo Steve Jobs del 2015, affidato alla regia di Danny Boyle. Fra le punte di diamante della produzione di Aaron Sorkin, Steve Jobs è un biopic decisamente atipico, in cui la parabola professionale del padre della Apple fa da veicolo a un dramma intimista dal ritmo incalzante: merito in gran parte di una scrittura magnifica, che ai Golden Globe valse giustamente a Sorkin il premio per la miglior sceneggiatura. Fu pertanto un'omissione assurda quella che portò l'Academy a escludere il film dalla rosa delle nomination per la miglior sceneggiatura adattata (categoria in cui poi si sarebbe imposto La grande scommessa), non riconoscendo appieno il valore di un capolavoro a suo tempo sottostimato.
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9. Elle miglior film straniero 2016
Se Steve Jobs risultava forse un po' atipico per i gusti dell'Academy, un'opera quale Elle appare lontana anni luce dalla nozione del canonico "film da Oscar", perlomeno per com'era intesa fino a poco tempo fa. Diretto dal veterano olandese Paul Verhoeven, Elle è incentrato infatti sulla violenza sessuale subita dalla protagonista e sulla sua determinazione a non farsi ingabbiare nel ruolo di vittima, prendendo in mano le redini di un pericoloso gioco di seduzione e di suspense. E in effetti, lo spirito trasgressivo e caustico di Elle non deve essere stato digerito con facilità da una discreta fetta di membri dell'Academy: selezionato a rappresentare la Francia per l'Oscar come miglior film straniero, il capolavoro di Verhoeven non rientrò neppure tra i semifinalisti della categoria, che alla fine vide premiato per la seconda volta il regista iraniano Asgar Farhadi per Il cliente.
I giornalisti della HFPA, al contrario, furono galvanizzati da Elle, tanto da fargli vincere il Golden Globe come miglior film in lingua straniera e, a sorpresa, anche il premio per la miglior attrice di dramma, andato alla strepitosa Isabelle Huppert: insomma, una doppietta da standing ovation. Escluso dalla competizione per i film stranieri, Elle si sarebbe comunque preso la sua rivincita pure agli Oscar, facendo guadagnare alla Huppert la nomination come miglior attrice.
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10. Il potere del cane miglior film 2021
Ed eccoci infine all'awards season dell'anno scorso, l'annus horribilis per i Golden Globe (con tanto di annullamento della cerimonia di premiazione), quando la mesta proclamazione dei premi via Twitter si sarebbe tramutata in un indiscusso trionfo per Il potere del cane. Il cupo melodramma a tinte omoerotiche diretto dalla regista neozelandese Jane Campion dal romanzo di Thomas Savage si è aggiudicato tre premi, tra cui miglior film drammatico e miglior regia, per poi presentarsi agli Oscar con un lauto totale di dodici nomination. Ma a dispetto delle ottime premesse, in quell'edizione gli Oscar hanno confermato la loro tendenza a puntare sul sicuro (fin troppo), con un timido compromesso fra le ragioni dell'arte e la politica dei "buoni sentimenti". Da qui la rimonta de I segni del cuore, racconto familiare insignito addirittura dell'Oscar come miglior film, mentre Il potere del cane ha dovuto accontentarsi della statuetta per la regia della Campion. Insomma, un altro di quei casi in cui avremmo preferito che i membri dell'Academy seguissero il lodevole esempio dei loro storici 'concorrenti'...
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