Sky, presentazione dei palinsesti 2016/17, piena golden age post successo di Gomorra e segnata dall'esplosione del fenomeno spaghetti cinecomics (un'espressione meravigliosa) dopo i numeri de Lo chiamavano Jeeg Robot. Durante l'evento l'allora capo delle produzioni originali, Nils Hartmann, annuncia che una famigerata serie ispirata ad uno dei più grandi successi del mondo del fumetto italiano è ormai quasi pronta. Trattasi di un'operazione che, a distanza di più di 40 anni dal film di Mario Bava e ad una decina dalla serie animata, voleva riportare sullo schermo (in questo caso piccolo) Diabolik, l'antieroe creato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani. Intenzione nobile, ma da subito piuttosto complicata. Era uscito anche un trailer (lo trovate qui), firmato sempre Sky, in occasione dei cinquant'anni della pubblicazione del primo numero nel 1962, salvo poi tornare il silenzio, lasciando intendere la sortita fosse stata quasi un test per sondare il terreno. "Siamo in cerca dell'equilibrio fra il fumetto originale e il Diabolik personaggio moderno", diceva Harmann: "L'episodio pilota è scritto, c'è un'ipotesi di regia. Ma la nostra regola è che non produciamo finché la sceneggiatura non ci convince.".
Stando al trailer e alle parole degli addetti ai lavori, la serie sembrava voler ridare lustro in modo coerente, ma totalmente aggiornato, al Re del Terrore di Astorina, con un'operazione attaccata alle formule seriali contemporanee, che hanno come punto di orientamento più il presente della tradizione, forte delle convinzioni dei successi Sky. Tutti erano però consapevoli di avere a che fare con una lavorazione incredibilmente ostica, anche più della stessa Gomorra, come disse sempre Hartman, tant'è che alla fine non vedrà mai compimento. Non si parlò più di Diabolik e piano piano scemò la speranza di avere un nuovo cinecomic tutto nostro dopo quello di Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone.
Dopodiché qualche voce cominciò ad alzarsi parte Rai, prima timidamente e poi in modo più deciso. Un budget molto importante, i Manetti Bros. alla regia e un cast prestigioso ad affiancarli. Si era totalmente invertita la rotta. La nuova idea di una trilogia per il grande schermo (secondo e terzo capitolo girati in back to back) che guardava al cinema di genere (i fratelli romani sono sempre stati una garanzia in questo senso) e che aveva come interessi primari l'estremo rigore filologico e l'assoluto rispetto del mondo creato dalle Giussani. Un Diabolik che voleva cercare il suo posto nell'immaginario italiano trovando il punto d'incontro tra la tradizione fumettistica e quella cinematografica. Operazione enorme e ambiziosa da ogni punto di vista, che si conclude con l'uscita del terzo film, Diabolik - Chi sei? (qui trovate la nostra recensione), nelle sale dal 30 novembre 2023 con 01 Distribution dopo il passaggio alla 18esima Festa del Cinema di Roma, e che merita di essere raccontata.
Il fenomeno Diabolik
La nostra storia comincia sempre dall'Auditorium Parco della Musica, ma per l'edizione della Festa del 2021, durante uno degli Incontri Ravvicinati con gli autori organizzati dalla gestione Monda-Delli Colli. All'epoca il COVID aveva posticipato moltissimi titoli incredibilmente attesi e dunque eventi come quelli erano divenuti il modo non solo di poter assistere a delle conferenze dei vari autori, ma anche di poter buttare il famoso primo sguardo su dei titoli ormai divenuti irraggiungibili. La gestione di allora lo aveva capito l'anno prima con Freaks Out e riuscì a bissare il successo invitando i fratelli Manetti e proiettando i primi minuti di Diabolik, il primo atto della trilogia.
Le aspettative erano enormi. Pensate che l'annuncio del film risaliva addirittura all'edizione 2018 delle Giornate professionali di Sorrento, mentre quello del completamento del soggetto, supervisionato in prima persona dallo storico curatore del Re del Terrore Mario Gomboli, nel marzo del 2019 al Cartoomics di Rho. Da lì in poi un susseguirsi di notizie, dall'ensemble stellare composto da Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea, affiancati da Serena Rossi, Alessandro Roja, Claudia Gerini e Pier Giorgio Bellocchio, fino alla cifra complessiva di 10 milioni di euro stanziati da Rai e Mompracem, passando per il coinvolgimento di Manuel Agnelli nella colonna sonora originale. Tutti gli ingredienti (anche qualcuno in più) per un evento senza precedenti per il nostro cinema, che convogliarono prima nel teaser trailer dell'ottobre del 2020 e poi nell'Incontro Ravvicinato dell'ottobre 2021, creando un'ottima sensazione negli spettatori.
Marinelli ha gli occhi giusti, Mastandrea è bravissimo a dare a Ginko la sua aria malinconica, Leone è una Eva Kant straordinaria, la Clerville degli anni '60 è resa alla perfezione, la cura per il materiale originale (dalle atmosfere a tutta la componente oggettistica) è maniacale. Insomma ci siamo. Il primo film, Diabolik (qui la nostra recensione), tratto dal fumetto L'arresto di Diabolik delle Giussani e dal suo remake scritto da Gomboli e Tito Faraci, uscì il 16 dicembre di quell'anno.
Diabolik al cinema
Per avere un quadro completo di un fenomeno così complesso c'è da riflettere sulla risposta del pubblico e della critica, sulle intenzioni produttive e su quello che avevano in testa i Manetti con la loro idea di adattamento. La pellicola non è stata ciò che chi si augurava una svolta pop, aziendalista o commerciale sperava fosse, senza dubbio, ma lo scopo degli autori e della produzione non era semplicemente quello, bensì riuscire a trovare un equilibrio artistico concreto tra i due media con i quali avevano a che fare e, con questa trovata, conquistare lo spettatore. Lo hanno detto i registi stessi più volte che la fedeltà del loro Diabolik al fumetto di Astorina acquisiva una valenza tangibile solamente nel momento in cui si fosse tradotto in un suo contraltare cinematografico adatto. Non si poteva fare una traduzione 1 ad 1, ma neanche adottare un linguaggio cinematografico che esulasse dall'anima artistica del fumetto. Capite bene dunque che la loro scelta non poteva che guardare prima i due media piuttosto che il pubblico, nonostante il budget.
Diabolik - Ginko all'attacco!, intervista a Giacomo Gianniotti: "Senza rischio si muore"
La trilogia di Diabolik è praticamente una soap noir anni '60 con qualche sfumatura di poliziesco all'italiana sparso qua e là e che in apertura del suo secondo capitolo, Diabolik - Ginko all'attacco! (qui la nostra recensione) cerca di rievocare una serialità di bondiana memoria. Un cinema che flirta con la sua dimensione più teorica e che guarda al rigore quando traduce dalla carta stampata, riproponendo nella regia delle inquadrature e delle sequenze il cui storyboard è praticamente il fumetto stesso e cercando una recitazione quasi brechtiana, che punta alla distanza dal personaggio, l'estraniamento o, oseremmo dire, l'alienazione. Il problema è che questa anima estremamente filologica cozza con i mantra e le necessità produttive.
Quelle dei film dei Manetti sono delle sceneggiature con dei dialoghi iperscritti, che più si addirebbero al genere molto più espressionista del kammerspiel piuttosto che ad un cinecomic antiempatico, pensato per il mistero, l'intrigo, l'azione, il duello e la crisi della morale. Fatto sta che la prima parte ingloba la seconda producendo un risultato a tratti parodistico, troppo meccanico, quasi da prove attoriali con script davanti agli occhi, eppure impattante in tutte le sue contraddizioni e spigolosità. Una versione di Diabolik che lotta per ritagliarsi uno spazio nell'immaginario popolare cercando un'impossibile posizione personale coerente con se stessa, nonostante tutti gli ostacoli del caso e rischiando di andare incontro ad uno scotto che alla fine è stato pagato.
Cosa resterà del Diabolik dei Manetti Bros.
Parliamo da una coordinata temporale in cui ancora non ci è possibile tirare una summa completa su degli aspetti della trilogia, dato che Diabolik - Chi sei? ha appena cominciato il suo percorso nelle sale italiane. Quello che però si può dire da qui è che, guardandosi indietro, tutto è incredibilmente cambiato e in un modo estremamente veloce. Due cose che di questi tempi non dovrebbero destare sorpresa vista la nevrosi con la quale passiamo da un argomento all'altro, ma che in questo caso specifico sembrano sinonimo della voglia di togliersi un peso che è precipitosamente divenuto ingestibile.
Il primo capitolo incassa circa 3 milioni, un flop importante, Luca Marinelli va via e viene sostituito in Diabolik - Ginko all'attacco! con Giacomo Giannotti, insieme al quale subentra nel cast anche un nome importantissimo come quello di Monica Bellucci. Intanto le riprese procedono spedite, i budget si abbassano (si parla di 7 milioni di euro), così come le risposte al botteghino, e i Manetti si preoccupano di tenere la barra dritta, continuando a cercare quella posizione magica sopracitata, scegliendo degli albi ad hoc per far dialogare il Re del Terrore con l'attualità e approfondendo sia lui che i personaggi che gli gravitano intorno. Con tutti i limiti contingenti i Bros provano anche a riflettere sul loro stile e sulla loro visione. Stiamo parlando di autori veri dopo tutto.
Fatto sta che al giorno dell'uscita del terzo capitolo è più o meno un anno che i lavori sono finiti e tutti quanti i nomi coinvolti stanno già pensando ad altro. I Manetti hanno girato addirittura un nuovo film. Ecco perché possiamo dire che Diabolik è stato un onere enorme per tutti quanti. Un nome iconico che ognuna della parti in causa sapeva fin dall'inizio essere destinato a sopravvivere la trilogia, non si sa ancora in che forma oltre quella della carta stampata. L'operazione nella sua totalità non ha avuto la forma che il pubblico si aspettava e che una parte della critica si augurava, ma le va riconosciuto di aver cercato una propria anima, un proprio costume per mettere in scena il Re del Terrore a prescindere dalle correnti, dalle logiche del mercato, piene strutture enormemente precostituite, e per di più in un immaginario cinematografico nostrano recalcitrante a guardarsi indietro e riflettere su se stesso. La prova del tempo ci restituirà la statura della sua valenza artistica, dato che, come diceva qualcuno, è l'unica che conta per un film. O tre.