Dario Argento ricorda George Romero: "È come se fosse morta una parte di me"

Abbiamo contattato telefonicamente Dario Argento, il quale ci ha regalato un personale e intimo ricordo del grande cineasta appena scomparso che, a partire dal 1968 con "La notte dei morti viventi", ha rivoluzionato la concezione dell'horror al cinema.

Venezia 2016: Dario Argento al photocall di Dawn of the Dead - European Cut (Zombi)
Venezia 2016: Dario Argento al photocall di Dawn of the Dead - European Cut (Zombi)

Ha quasi la voce rotta dal pianto, Dario Argento, quando lo raggiungiamo al telefono, per chiedergli di George Romero. Del suo collega e amico George Romero. "Era come fosse mio fratello", dice. "Negli Stati Uniti, ci chiamavano i fratellini. E in qualche modo, lo eravamo davvero. Avevamo la stessa età, siamo nati tutti e due nel 1940. Abbiamo iniziato a fare cinema negli stessi anni, alla fine degli anni '60, quando tutto sembrava possibile", dice il regista romano.

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Avete iniziato, tutti e due, con film a basso budget. E con due film che sono diventati immediatamente due cult.

Sì, io credo che le cose migliori, nel genere horror, siano nate con dei budget modesti. George Romero diresse La notte dei morti viventi nel 1968 con, credo, diecimila dollari. E divenne un cult movie immenso.

Poco dopo anche lei esordiva con L'uccello dalle piume di cristallo...

Un film girato con pochi soldi, in cui gli esercenti non credevano. Non mi facevo illusioni: credevo che dopo quel film avrei chiuso la mia esperienza da regista. Poi una sera, nel centro di Firenze, vidi una fila immensa di persone. La fila conduceva all'ingresso del cinema dove si proiettava il mio film: forse fu l'emozione più grande della mia vita. Ma parliamo di George.

Qual era la forza di quel film, secondo lei?

Romero aveva reinventato la figura dello zombie in un modo straordinario. Gli zombie esistevano già, in un film con Bela Lugosi degli anni '30. Ma, parliamoci chiaro: è Romero che ha reso quel personaggio un'icona, un simbolo.

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Che cosa simboleggiava e simboleggia, lo zombie?

La nostra paura, la più irrazionale. Lo zombie non ha razionalità, non lo fai ragionare, è grottesco e diabolico insieme. Non è come un serial killer che ha una sua logica, sia pure perversa. Lo zombie appartiene a un altro mondo, va dritto per la sua strada, è il simbolo di ciò che è inappellabile.

Una figura cult che è stata ripresa da molti altri registi.

E di questo, credo che George abbia sofferto molto. Gli zombie sono stati copiati da tutti, in film, telefilm, serie tv. George che era un signore non si è mai lasciato sfuggire niente, ma ne soffriva.

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Il lavoro e il profondo legame di amicizia

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Come vi siete conosciuti personalmente?

In un ristorante di New York, sarà stato il 1976. Ci trovammo subito in sintonia: e presto decidemmo anche di fare qualcosa insieme. Da un soggettino che George aveva scritto, nacque Zombi, che in inglese fu Dawn of the Dead. Scrivemmo insieme la sceneggiatura, e mi trovai a fare da coproduttore del film.

Dove fu girato il film?

In gran parte in Pennsylvania, in un centro commerciale di proprietà di un amico di George Romero. Un giorno, a causa di una tempesta di neve, rimanemmo tutti bloccati lì, attori e troupe: le situazioni del film stavano tramutandosi in realtà....

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Il film fu un grande successo commerciale.

Sì, George ha sempre detto che quel film ha ridato energia alla sua carriera. Perché nonostante avesse creato un cult movie amato in tutto il mondo, i suoi film non ottenevano una distribuzione adeguata. Solo con Zombi ottenemmo una buona distribuzione, e il film fu un successo.

Insieme avete lavorato in un'altra occasione.

Sì, abbiamo diretto insieme i due episodi del film Due occhi diabolici, ispirati ai racconti di Edgar Allan Poe. E anche mia figlia Asia ha lavorato con lui, nel 2005, nel film La terra dei morti viventi.

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Vi sentivate amici?

Sì, nel senso più vero, più forte della parola. Nel modo simile che avevamo di vedere le cose. Anche George era una persona semplice: non gli interessavano le mode, non era consumista, e aveva una grande attenzione per i temi sociali. Quando ci incontravamo, era una festa. L'ultima volta fu a Londra, su invito del BFI, il British Film Institute. È l'ultima volta che abbiamo mangiato insieme, che abbiamo riso insieme. Lo confesso, sono davvero abbattuto. In realtà, non ho parole. È come se fosse morta una parte di me.

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