George Romero ci ha insegnato che i veri zombie siamo noi, ma quanto ci mancherà

Oggi il mondo del cinema piange uno dei maestri che, con la sua arte, ha saputo raccontare l'involuzione della società, ma sempre col sorriso sulle labbra.

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Se chiudo gli occhi rivedo George Romero che esce da un ristorante di Lucca in cui si era trattenuto a bere con gli amici. Altissimo, i capelli candidi raccolti in una lunga coda, gli occhiali dalla spessa montatura nera, il gilet verde militare indossato a mo' di divisa sulla camicia a righe. Nel 2016 il regista camminava già con fatica, il fisico minato da varie malattie, ma aveva il sorriso stampato sulle labbra. A vederlo sembrava un misto tra un dolce nonnino e un hippie post-sessantottino che non ha ancora abbandonato l'utopia. E l'utopia ha fatto parte della vita di George Romero dal primo all'ultimo giorno. Nel 2016 regista era approdato in Toscana su invito del Lucca Film Festival per farsi stringere nell'abbraccio dei fan giunti da tutta Italia. E nonostante la fatica, Romero non si è sottratto a quell'abbraccio, concedendosi generosamente ben oltre gli impegni ufficiali e sfoderando la sua irresistibile risata di fronte a qualche italico eccesso. Dopo una lunga attesa, il regista ha ritardato il sonno ristoratore per comparire nell'evento clou di Lucca Effetto Notte, un'invasione di zombie che ha trasformato la Piazza del Duomo in una affollatissima terra dei morti viventi. Quegli stessi morti viventi a cui Romero ha dedicato l'intera esistenza.

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Dietro l'aspetto bonario, George Romero nascondeva una volontà di ferro che lo ha spinto a rinunciare al successo facile per portare avanti un discorso artistico e politico coerente. La coerenza è alla base non solo della sua produzione cinematografica, ma anche della sua stessa esistenza. Dopo aver assaggiato il sapore dolce-amaro del successo, sperimentando difficoltà sempre maggiori nel reperire fondi per i suoi zombie movie, nel 2004 Romero ha abbandonato gli Stati Uniti stabilendosi definitivamente a Toronto e nel 2009 ha preso la cittadinanza canadese. Un gesto di protesta verso la politica americana, cinematografica e non, che di fatto ha portato il regista a dirigersi verso Nord, "dove non ci sono persone" come era solito dire. Scherzi a parte, in Canada Romero ha trovato una nuova famiglia cinematografica e anche reale, sposando in seconde nozze Suzanne Desrocher, conosciuta sul set di La terra dei morti viventi.

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L'urlo contro il sistema di un autore fieramente indipendente

Duane Jones in una scena de La notte dei morti viventi
Duane Jones in una scena de La notte dei morti viventi

Come si spiega che un signore tanto bonario, amante dell'arte, dell'alcool e del sushi, sia diventato il padre degli zombie? Partiamo da un presupposto: l'esordio fulminante di Romero, quel La notte dei morti viventi che resterà nella storia del cinema come uno dei capolavori di genere, nasce per caso, come molte opere d'arte. Il regista, fresco di diploma in pittura e design, sogna di fare cinema e dopo aver diretto alcuni spot, insieme a nove amici fonda la Image Ten Productions e punta a realizzare un'opera prima che costi pochissimo, ma ripaghi gli investitori in termini di incassi. Cos'è che vende meglio nell'industria? L'horror. Così dopo aver sviluppato diverse versioni dello script, Romero sceglie quella maggiormente influenzata da Io sono leggenda di Richard Matheson. Anche se La notte dei morti viventi nasce come un'opera prima da cassetta, in quella pellicola lunga una notte sono contenuti in nuce tutti i temi che il regista svilupperà nel corso della sua carriera. Che dire di quella prima rivoluzionaria scelta di ingaggiare come protagonista un attore di colore, affidandogli il ruolo dell'eroe portatore di valori positivi? Anni dopo il regista si schernirà spiegando che Duane Jones era solo l'attore che aveva sostenuto il provino migliore, ma nell'America che si affacciava ai tumulti del '68, lacerata dalle lotte per i Diritti Civili, la scelta non passerà certo inosservata.

Lucca Film Festival: George Romero davanti al poster italiano di The Crazies
Lucca Film Festival: George Romero davanti al poster italiano di The Crazies

Per tutti George Romero è e resterà sempre il padre degli zombie, ma nel lontano 1968 Romero non li definiva affatto così. La sua intenzione non era quella di ricollegarsi agli zombie di tradizione haitiana, perciò si riferiva ai non morti definendoli ghouls, cadaveri rianimati che si nutrono della carne dei vivi. Le ragioni per cui i non morti hanno le caratteristiche fisiche e motorie che li hanno resi celebri sono dovute a ragioni di budget, ma a quanto pare gli ostacoli produttivi hanno permesso al cineasta di creare qualcosa di nuovo e di rivoluzionario. Tanto più rivoluzionario visto che, a posteriori, la critica riuscirà a rinvenire un pensiero politico ben definito alla base della rappresentazione degli zombie e della loro evoluzione a seconda delle epoche. Il tema è stato sviscerato in un'ampia letteratura, ma lo stesso Romero ha sempre ribadito che il suo interesse non era tanto quello di occuparsi di horror, bensì di sfruttare il genere come una potente metafora politica identificando negli zombie la massa indistinta di cittadini soggetta a pressioni esterne: la devastazione del Vietnam e la tensione razziale tra bianchi e neri nel '68, l'esplosione consumistica dieci anni dopo, in Zombi, la critica alla Guerra Fredda e al militarismo imperante negli USA ne Il giorno degli zombi per poi approdare, nel nuovo millennio, a puntare il dito contro l'ossessione per la tecnologia, la ricchezza e l'allargarsi del divario tra ricchi e poveri, conseguenza della crisi economica. In quest'ottica si spiegano le critiche rivolte al proliferare di zombie movie e serie di successo commerciale come The Walking Dead, che svuotano la figura degli zombie di ogni valenza politica per trasformarlo in un manichino atto a far soldi. La storia di Romero, invece, non si era conclusa e non si conclude con la sua scomparsa. Solo pochi mesi fa è stata annunciata la produzione di George A. Romero Presents: Road of the Dead, nuovo capitolo che vedeva il cineasta coinvolto in veste di produttore e che, ci auguriamo, venga portato a termine dai suoi eredi spirituali per mostrarci un frammento del suo sguardo sul presente.

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Romero tra Dario Argento e Stephen King: tre maghi del terrore uniti contro l'orrore del quotidiano

Una scena di Zombi
Una scena di Zombi

Con la morte di Romero se ne va anche un pezzo di noi. Il legame indissolubile del regista newyorkese con l'Italia ha un nome e un cognome: Dario Argento. Il maestro dell'horror italiano è intervenuto in aiuto del collega in un momento di empasse, mentre Romero cercava (invano) finanziatori americani per il sequel de La notte dei morti viventi. Argento, fan del collega, si è offerto di stringere un accordo produttivo in cambio della possibilità di rimaneggiare Zombi per il mercato europeo apportando alcuni ritocchi in fase di montaggio e sostituendo la colonna sonora di classici scelta da Romero con le musiche dei Goblin. Il papà degli zombie ha trascorso un lungo periodo a Roma per rimaneggiare lo script insieme al collega, imparando a conoscere e apprezzare il nostro paese e facendovi ritorno molte altre volte. L'amicizia, ormai consolidata, ha condotto alla collaborazione per Due occhi diabolici, duplice omaggio a Edgar Allan Poe cofirmato dai due autori. Nelle intenzioni di Dario Argento, il film doveva in realtà dar vita a un progetto più ampio, una serie tv, che vedeva coinvolti anche John Carpenter e Stephen King, ma Romero a un certo punto decide di defilarsi dirigendo il suo episodio separatamente. Questa scelta non ha minato l'affettuosa amicizia proseguita negli anni a venire.

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George Romero insieme a Stephen King
George Romero insieme a Stephen King

L'altro nume tutelare che spesso si è accompagnato al nome di George Romero è, per l'appunto, Stephen King. Se Dario Argento ha in qualche modo "salvato" la carriera del collega (come ha ammesso lui stesso pubblicamente) aiutandolo a riscuotere il suo più grande successo internazionale, l'incontro col Re del Brivido gli ha permesso di firmare l'opera più giocosa e divertente. Parlando dello scrittore, a Lucca Romero aveva dichiarato: "Collaborare con Stephen King è la cosa più semplice del mondo. Stephen è un caro amico, suona in una rock band, adora il baseball, è una persona semplice. È facile volergli bene". E proprio il legame tra i due autori è la molla che li spinge a cercare un progetto comune su cui lavorare. Le loro energie creative convergono in un titolo minore, Creepshow, horror antologico giocoso e sgangherato gradito solo ai kinghiani di ferro e agli appassionati del genere. Nel 1982 George Romero dirige questa antologia di racconti del terrore che segna il debutto di King come sceneggiatore e che trabocca di easter egg sulla produzione kinghiana. Dieci anni dopo Romero adatterà l'affascinante La metà oscura. Uno dei romanzi più personali e autobiografici di King non poteva che suscitare l'interesse di un cineasta a lui così vicino e anche se l'esperienza non si rivelerà felice per Romero, fieramente indipendente e abituato a lavorare svincolato dalla logica degli studios, il film resta comunque nel cuore dei suoi fan. Di coloro che oggi, dopo aver appreso la notizia della sua morte, si sentono un po' più soli e sotto sotto sperano di rivederselo comparire, un giorno o l'altro, sotto forma di morto vivente. Se questo evento prima o poi capiterà, siamo certi che George saprà chi mordere per primo.