Solo i pochi benedetti da grandi insegnanti al liceo hanno potuto apprezzare davvero La Divina Commedia tra i banchi di scuola: tutti gli altri molto probabilmente hanno percepito quei versi come un'imposizione, qualcosa di noiosissimo e polveroso, ormai lontanissimo nel tempo e nello spazio. Eppure le parole del sommo poeta sono piene di vita, slancio, bellezza. Un peccato non studiarle come meritano. A colmare questo vuoto ci pensa Pupi Avanti che, lo ammette, come tutti gli alunni odiava Alighieri. Poi invece, per conto suo, l'ha recuperato, approfondito, amato. La recensione di Dante, film che racconta la giovinezza del padre della lingua italiana, parte da questa illuminazione del regista.
Sono più di venti anni che Avati insegue questo film: lo studio di Dante lo ha portato a scrivere un libro, L'alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, punto di partenza per la pellicola, nelle sale dal 29 settembre. Come suggerisce il titolo, la storia è raccontata proprio dal punto di vista di Giovanni Boccaccio, primo illustre commentatore della Commedia e quindi primo dantista della storia. A interpretarlo è Sergio Castellitto. Con la passione quasi di un fan, l'autore del Decameron va, nel 1350, verso Ravenna, dove Dante è morto in esilio nel 1321. Lì si trova l'unica figlia del poeta, Beatrice, suora nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi. Boccaccio deve consegnarle dieci fiorini d'oro, tardivo risarcimento per la cacciata del padre.
Dante si muove quindi su due linee narrative. Il viaggio di Boccaccio e la giovinezza del poeta, tra i primi incontri con Beatrice, amata e musa, da cui non è stato mai ricambiato perché ignara del suo sentimento, la guerra, il matrimonio senza amore, la passione politica. In questo modo Avati fa qualcosa di inaspettato: invece che mettere in piedi un film aulico e freddo, ci butta in mezzo ai tormenti dell'Alighieri adolescente, mostrandolo come uno di noi, un ragazzo pieno di sogni, insicurezze e vita. Sì, vita: il regista dà al suo film sangue e calore, facendoci avvicinare a Dante e alle sue opere in modo più diretto e interessante.
Pupi Avati: un regista imprevedibile
Pochi registi in Italia sono imprevedibili quanto Pupi Avati: nella sua lunga carriera il regista ha toccato vette altissime, pensiamo a La casa dalle finestre che ridono (1976), e altre volte è caduto rovinosamente. Non si può dire però che non abbia uno stile riconoscibile e che, a 83 anni, non sia ancora pieno di vigore e abilità registica. Il precedente film, Lei mi parla ancora (2021), è commovente e dolce, con una delle migliori interpretazioni di Renato Pozzetto, finalmente alla prova con un ruolo drammatico. Questo Dante invece è irrequieto e nervoso, come il suo protagonista: a interpretarlo Alessandro Sperduti (visto in Tre piani di Nanni Moretti), a cui il regista non risparmia niente. Cavalcate, scene di nudo, combattimenti. Perfino momenti in cui va al bagno in riva al fiume.
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Avati ritrae il poeta nella quotidianità, facendocelo sentire vicinissimo e umano. Non manca però l'accuratezza stilistica: ogni inquadratura, ogni ambiente è ricercato e studiato. Si vede l'attenzione per i dipinti dell'epoca, gli abiti, gli oggetti. Lo stesso film è costruito come un insieme di quadri, accostati a volte per ellisse. Il regista per fortuna ci risparmia la declamazione estemporanea delle sue opere: preferisce invece mostrarci un giovane Dante che, soldato, ascolta attorno al fuoco la storia di Paolo e Francesca, amanti uccisi sul letto della loro relazione clandestina e si commuove. Quella storia un giorno sarà nota in tutto il mondo, grazie al canto dell'Inferno, il V, con cui l'artista li consegnati alla memoria.
Dante: un buon cast
Il cast di Dante è degno dei personaggi che interpreta: Sergio Castellitto è un Boccaccio che porta il peso della storia su di sé, mentre Sperduti ha il giusto sguardo, quello di un giovane pieno di grandi speranze. Ci sono poi veterani del cinema italiano come Enrico Lo Verso, Leopoldo Mastelloni e Alessandro Haber, interpreti rispettivamente di Donato degli Albanzan, Bonifacio VIII e l'Abate di Vallombrosa. Quest'ultimo personaggio è protagonista di una scena forte, in cui l'uomo di fede e Boccaccio, parlando di Dante, discutono sul ruolo della Chiesa, che il sommo poeta ha definito "cloaca".
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Ci sono poi anche Carlotta Gamba (vista nel film America Latina dei fratelli D'Innocenzo) nel ruolo di Beatrice e Milena Vukotic in quello di una rigattiera. Tutti animati dalla regia di Avati, palesemente contento di poter realizzare finalmente la sua Balena Bianca: quel film tanto sognato e inseguito che non ha il sapore della decadenza, ma la forza di chi ha ancora qualcosa da dire e tramandare alle future generazioni. Di cineasti e dantisti.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Dante, Pupi Avati finalmente realizza un film inseguito per venti anni, partendo dai suoi studi su Dante, culminati nel libro L'alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, da cui parte la pellicola. A raccontare la vita del sommo poeta è infatti Giovanni Boccaccio, che va a Ravenna 30 anni dopo la morte dell'autore della Divina Commedia per consegnare dieci fiorini d'oro alla figlia, come risarcimento per l'esilio del padre. Parallelamente vediamo la vita del giovane Alighieri. Ben recitato, diretto e con una grande cura a costumi e oggetti, Avati ci mostra un artista molto umano, a cui infonde sangue e calore.
Perché ci piace
- L'approccio caldo e umano di Avati a Dante: non un poeta aulico lontano, ma un ragazzo come noi.
- Il cast, che affianca veterani quali Sergio Castellitto a giovani promesse come Carlotta Gamba.
- La composizione del film come una serie di quadri, che riprende lo stile delle opere dell'epoca.
Cosa non va
- Il tono e la scrittura non sempre sono al meglio, ma nel complesso è un film da vedere.