Apocalypse Now: 40 anni fa Coppola stupiva Cannes e il mondo intero

Il Festival di Cannes di 40 anni fa vide iniziare il viaggio di Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, destinato poi a diventare un cult movie assoluto.

Martin Sheen in una scena di Apocalypse Now
Martin Sheen in una scena di Apocalypse Now

"This Is The End, My Only Friend, The End". Inizia con le parole e le note della canzone dei Doors, The End, Apocalypse Now, il film di Francis Ford Coppola che, proprio in un Festival di Cannes di 40 anni fa, stupiva il pubblico e la giuria, vincendo la Palma d'Oro (ex aequo con Il tamburo di latta di Schlöndorff), iniziando quel viaggio che avrebbe stupito il mondo intero. The End, la canzone edipica scritta da Jim Morrison per i suoi Doors, diventa così il simbolo di un'altra fine, la fine del mondo, quell'apocalisse qui e ora del titolo, che riprende ironicamente i motti pacifisti "Paradise now" e "Nirvana now" per virarli in una frase pessimista. È la fine del mondo, la fine dell'umanità, la fine di ogni speranza. Quegli arpeggi di chitarra di Robbie Krieger, elettrici e orientaleggianti, come fossero quelli di un sitar, ci portano subito dentro quello che sarà un incubo, una discesa agli inferi, un salto oltre la nostra linea d'ombra.

Apocalypse Now esce nel 1979 e diventa immediatamente il film definitivo contro ogni guerra, continuando sulla linea di grandi film come Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964) di Stanley Kubrick e Il cacciatore (1978) di Michael Cimino. È il film che, più di ogni altro, mette in scena la follia e la disumanizzazione della guerra. l'ineluttabilità del destino, e la sconfitta che arriva per tutti. È il film che segna il passaggio dal cinema americano degli anni Settanta, libero, sfrenato, politicamente impegnato ed enormemente creativo, a quello degli anni Ottanta, spettacolare, ma anche meno intenso e artistico.

Francis Ford Coppola compie 80 anni: un uomo, i suoi film e il suo sogno

Cuore di tenebra

Il regista Francis Ford Coppola dirige una scena di Apocalypse Now
Il regista Francis Ford Coppola dirige una scena di Apocalypse Now

Uscito nel 1979, Apocalypse Now nasce ben dieci anni prima, nel 1969, come soggetto scritto da John Milius, che era reduce dal Vietnam, e George Lucas. Doveva dirigerlo proprio lui, ma, preso dal progetto Guerre stellari, voleva farne un piccolo film in 16 mm, da girare negli Stati Uniti, per paura di contrarre qualche malattia in quello che sarebbe stato il luogo delle riprese, le Filippine. Ma è Francis Ford Coppola, che inizialmente doveva essere solo il produttore, a consigliare di utilizzare la struttura narrativa di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, il viaggio iniziatico di un giovane ufficiale che deve distruggere il regno di follia di un dittatore fuori da ogni controllo. Dall'Africa dell'Ottocento così l'azione viene trasferita nel Vietnam, la "sporca guerra" che ancora oggi è una ferita aperta nella storia americana. In questo modo, Apocalypse Now non è solo un film sul Vietnam, ma un'opera universale, un apologo sulla follia, sulla violenza, sul male. E, soprattutto, come disse lo stesso Coppola, "non è un film sul Vietnam. È il Vietnam". Nel senso che è il film definitivo sul conflitto più controverso dalla storia recente. Ma anche nel senso che per il cineasta americano è stato un personale Vietnam, una guerra sempre sull'orlo della disfatta. Ma con una vittoria finale indiscutibile.

Il tifone, la malaria, l'infarto, il suicidio

Una scena di Apocalypse Now
Una scena di Apocalypse Now

Apocalypse Now infatti è uno di quei film su cui un cineasta fa all-in, scommette la propria arte, la propria vita, pubblica e privata. Francis Ford Coppola mette in gioco tutto se stesso, e molto di più: la sopravvivenza della sua casa di produzione, la Zoetrope, la sua vita personale e quella sentimentale. A un certo punto della lavorazione entra in crisi il suo matrimonio, e il regista di origini italiane pensa addirittura al suicidio. Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere. E infatti, su un set dalle disavventure infinite, si abbatte anche un tifone, che arriva sul set allestito per il regno di Kurtz, a nord di Manila. Si tratta di tre milioni di dollari di danni solo per le apparecchiature. A turno, poi, tutti i componenti delle troupe vanno a finire all'ospedale, a causa di forti febbri malariche. Ma non finisce qui: Il protagonista, Martin Sheen, viene colpito da un infarto durante la lavorazione.

Cinque film che rischiavano il disastro e sono entrati nella storia

Martin Sheen, eroe per caso

Martin Sheen in una scena di Apocalypse Now
Martin Sheen in una scena di Apocalypse Now

E pensare che Martin Sheen, nel film di Francis Ford Coppola, non avrebbe dovuto neanche esserci. Il regista de Il padrino aveva preso in considerazione, per il ruolo del tenente Willard, alcuni "mostri sacri" come Al Pacino, Robert Redford, Jack Nicholson, Clint Eastwood, Steve McQueen e James Caan. Ma nessuno di loro se la sentiva di passare quattro mesi nella giungla delle Filippine. Alla fine ad accettare il ruolo è Harvey Keitel, che però Coppola non apprezza: trova la sua recitazione troppo "febbrile". Due settimane e Keitel è licenziato. Così, si arriva a Martin Sheen, che Coppola incontra casualmente all'aeroporto di Los Angeles...

La cavalcata delle Valchirie

Una scena di Apocalypse Now
Una scena di Apocalypse Now

Apocalypse Now è passato alla storia per almeno una decina di sequenze indelebili. Una di queste, l'attacco degli elicotteri sulle note de La cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner, ha richiesto sette settimane di lavorazione. Per i bombardamenti sono stati utilizzati 5mila litri di benzina. La lavorazione è stata sospesa per due giorni, per permettere a Coppola e Brando di studiare le ultime scene del film, andando in barca a rileggersi Cuore di tenebra. La musica di Wagner (di cui il famoso direttore d'orchestra Herbert Von Karajan lodò l'uso) era già nella testa di John Milius durante la sceneggiatura, tanto che, mentre la scriveva, ascoltava solo quella e la musica dei Doors.

Marlon Brando, un attore di peso

Marlon Brando in una sequenza di Apocalypse Now
Marlon Brando in una sequenza di Apocalypse Now

Già, Marlon Brando. Se Apocalypse Now è entrato nella leggenda si deve anche a lui, ancora in un ruolo memorabile con Coppola dopo Il Padrino. E pensare che Jack Nicholson, James Caan e Robert Redford, oltre che per il ruolo di Willard, erano stati presi in considerazione anche per il ruolo di Kurtz. All'epoca di Apocalypse Now Marlon Brando ha 51 anni. E ha raggiunto il peso di 110 chili. È per questo che pretende di essere ripreso solo in penombra (una scelta che, trattandosi del racconto di un Cuore di tenebra, alla fine risulta perfetta) e di essere sostituito da una controfigura per le riprese in campo lungo. Ma molte scene, per via della stazza dell'attore, vengono addirittura cancellate. Brando non è solo una figura iconica e decisiva nell'immaginario di Apocalypse Now, ma è anche un valore aggiunto a livello di scrittura. È lui infatti a consigliare a Coppola tutte le citazioni letterarie che ascoltiamo nel monologo di Kurtz alla fine del film. "L'orrore, l'orrore..."

Il (doppio) finale...

Dennis Hopper in una scena di Apocalypse Now
Dennis Hopper in una scena di Apocalypse Now

A proposito di quel finale, tutti lo ricordiamo (e crediamo di non fare spoiler a raccontarlo), ma non è l'unico ad essere stato girato. Il primo finale è quello in cui Willard uccide Kurtz e torna nella civiltà: è quello che viene presentato nella serata ufficiale al Festival di Cannes. Il secondo viene presentato sempre a Cannes, ma in una serata semi-clandestina, alla presenza di pochi intimi: Willard, dopo aver ucciso Kurtz, si sostituisce a lui. Esiste anche una versione di cinque ore e mezzo, non ufficiale, che è semplicemente l'assemblaggio di scene realizzato in vista del montaggio. Molti anni dopo, nel 2001, Coppola riediterà il film nella versione Apocalypse Now Redux, con 47 minuti di girato in più. Il film ha inoltre due versioni, in 35 e 70 mm.

Marlon Brando, una vita da cinema

Il peggior disastro in 50 anni di Hollywood...

Una scena del film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola
Una scena del film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola

Partito nel 1976, il progetto Apocalypse Now aveva un budget stimato in 12 milioni di dollari (di cui, come detto, 1 milione di dollari per il solo cachet di Brando) e 120 giorni di riprese. Il costo finale sarà mostruoso, 30 milioni di dollari e 238 giornate di shooting. Per un totale di 350mila metri di pellicola usati. Le prime recensioni non sono proprio positive: Time lo definisce "il peggior disastro in 50 anni di Hollywood". Ma il film trionfa a Cannes e gli incassi superano i costi, arrivando 160 milioni di dollari in tutto il mondo, e 83 solo negli Stati Uniti. Vincerà tre Golden Globe (miglior regista, miglior attore non protagonista, Robert Duvall, miglior colonna sonora, Carmine e Francis Ford Coppola) e due Oscar (miglior fotografia, Vittorio Storaro, e miglior sonoro, al team di Walter Murch).

Mi piace l'odore del Napalm al mattino

Sam Bottoms e Robert Duvall in una scena di Apocalypse Now
Sam Bottoms e Robert Duvall in una scena di Apocalypse Now

Ma quelle note dei Doors che aprono il film sembrano dirci molto altro, non solo che ci troviamo alla fine del mondo. Quel viaggio lisergico oltre le porte della percezione che era la musica dei Doors è lì a dirci che stiamo per immergerci in un "film in acido"; come è stato definito Apocalypse Now, un'allucinazione continua, un trip, uno sballo dove la realtà storica è costantemente virata in un'iperbole grottesca, in un paradosso. Come a dire che la guerra rende folli, o che si debba diventare folli per superarla, che sia un'esperienza allucinante, o che si debba ricorrere ad allucinogeni per andare avanti. Non c'è solo il colonnello Kurtz nella galleria del Vietnam di Coppola, ma anche il folle tenente colonnello Kilgore di Robert Duvall, quello di "mi piace l'odore del Napalm al mattino", quello del surf. Un altro tassello che contribuisce a creare quell'apologo della follia che è Apocalypse Now.

Un set stupefacente

Robert Duvall in una scena di Apocalypse Now
Robert Duvall in una scena di Apocalypse Now

Quello di Apocalypse Now è anche un set ad alto tasso alcolico. Martin Sheen è spesso ubriaco, e l'infarto (che costringe la troupe a girare alcune sue scene con una controfigura) si deve anche a questo. Una famosa scena, quella in cui Sheen è in albergo e perde il controllo, la gira davvero da ubriaco, e finisce per rompere uno specchio e ferirsi alla mano. È lui stesso a chiedere, con un cenno, di continuare a girare, il che dà alla scena un effetto molto realistico. Ma è tutto il set ad essere "stupefacente": come una truppa demotivata dalle sconfitte, la troupe di Apocalypse Now sprofonda nello sconforto per le continue difficoltà nel girare il film nelle Filippine, e comincia a usare droghe per alleviare lo stress e l'ansia, come via di fuga da una realtà dove nessuno vuole stare più.

Lo Stige

Il set di Apocalypse Now, alla fine, è un vero inferno. Ed è un inferno sulla Terra anche un'altra scena chiave del film, quella dell'arrivo dei superstiti della spedizione a destinazione. Onirica, visionaria, tremenda, questa scena avviene tra le esalazioni della giungla e un silenzio tombale, in contrasto con il terribile frastuono della guerra, e assistiamo a centinaia di persone ammassate in stato catatonico. Coppola voleva che questa scena evocasse lo Stige e le rive dell'Inferno. Apocalypse Now è fatto di decine di immagini che non possono non restare impresse nella memoria. È un film che non perde mai la sua attualità, perché dopo il Vietnam le guerre non sono finite, e non sono finite le vittime e le ferite rimaste nella mente di chi sopravvive. È uno di quei film entrati nella leggenda non solo per quello che abbiamo visto sullo schermo, ma anche per la storia legata alla sua nascita, appassionante come quelle del film stesso. Una di quelle storie, possibili solo in un cinema che non c'è più, in cui delle persone sull'orlo del baratro riescono a reagire e a creare un capolavoro. Apocalypse Now è il film che è, oltre che per gli artisti che lo hanno creato, anche per tutto quello che è successo nella sua lavorazione. Anche per questo è un evento irripetibile.