Quando, il 20 agosto 2014, ha festeggiato i suoi primi quarant'anni (portati con una grazia invidiabile), siamo stati lieti di approfittare dell'occasione per ripercorrere la scalata al successo di Amy Adams: non solo, e non semplicemente, il passaggio da piccoli ruoli e produzioni minori allo statuto di diva di prima grandezza dello show business americano, ma soprattutto la progressiva rivelazione di un talento che, di stagione in stagione, si è mostrato sempre più sfaccettato e versatile.
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Oggi, a quarantadue anni, la 'rossa' Amy non è più l'ingénue ingaggiata per impersonare ragazze dal timido sorriso e dallo sguardo sognante, ma un'attrice che si è sottratta definitivamente alla trappola del typecasting, riuscendo a sorprenderci e a lasciarci ammaliati più e più volte. Un'evoluzione professionale che, nel 2016, l'ha portata ad offrire due interpretazioni eccellenti in due tra i film più acclamati dell'anno: Animali notturni, il noir dei sentimenti contraddistinto dalla raffinata regia di Tom Ford, e ancor di più Arrival, il dramma di fantascienza diretto da Denis Villeneuve, che ha appena riportato ben otto nomination agli Oscar.
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E proprio l'annuncio delle candidature dell'Academy ha visto Amy Adams al cuore di un'accesa polemica: quella per la mancata nomination come miglior attrice per Arrival, nonostante la Adams regga l'intera pellicola sulle proprie spalle e a dispetto della pioggia di candidature per altri premi importanti dell'awards season (il Golden Globe, il BAFTA, etc). Un'omissione clamorosa che tuttavia non diminuisce di un grammo la statura dell'attrice, di cui oggi siamo lieti di tornare a parlare: pure per ricordare, qualora ce ne fosse bisogno, perché Amy Adams è uno dei maggiori talenti della sua generazione, a prescindere dai gusti dell'Academy.
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Una principessa alla conquista di Hollywood
Cominciamo con un rapido sguardo al passato, ovvero agli ultimi dodici anni - ma vale la pena sottolineare come, prima di spegnere trenta candeline, l'attrice nata a Vicenza avesse già alle spalle una gavetta di tutto rispetto (per chi volesse approfondire nei dettagli la sua carriera, vi rimandiamo all'articolo per i suoi quarant'anni). Dopo la svolta avvenuta all'improvviso nel 2005, grazie alla parte della loquace quanto tenera Ashley Johnsten nella commedia indipendente Junebug, Amy Adams si aggiudica la sua prima candidatura all'Oscar e fa conoscere il proprio nome ai "piani alti" di Hollywood. Il 2007 è l'anno del primo, strepitoso successo personale in qualità di protagonista di Come d'incanto, moderna fiaba targata Disney in cui veste i panni della dolce principessa canterina Giselle, catapultata per magia fra le strade di New York (e quest'estate sarà impegnata sul set del sequel del film, Disenchanted).
Fra il 2008 e il 2009, la Adams divide la scena con Meryl Streep in ben due pellicole, entrambe molto apprezzate. Ne Il dubbio è suor James, giovane insegnante di una scuola cattolica che assiste sgomenta allo scontro fra la direttrice, suor Aloysius (la Streep), e padre Brendan Flynn (Philip Seymour Hoffman), un sacerdote su cui grava il sospetto di pedofilia, ricevendo una seconda nomination all'Oscar. Nella commedia Julie & Julia impersona invece la blogger di cucina Julie Powell, alternandosi di scena in scena con l'eccentrica chef Julia Child di Meryl Streep. Un paio di progetti più commerciali (Una notte al museo 2: La fuga e Una proposta per dire sì) e poi, nel 2010, la Adams si cala in un personaggio per lei piuttosto atipico: la barista Charlene Fleming, grintosa fidanzata del pugile Micky Ward (Mark Wahlberg) in The Fighter di David O. Russell, che le permette di cimentarsi al di fuori della sua comfort zone e di conquistare una terza candidatura all'Oscar, sempre nella categoria come miglior attrice supporter (l'Academy le preferirà la bravissima comprimaria Melissa Leo, alle prese con un ruolo ancor più incisivo).
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Da The Master a Metropolis: i volti nascosti di un'ex ingénue
Nel 2012, oltre ad affiancare Clint Eastwood nel dramma sportivo Di nuovo in gioco, Amy Adams ci regala un'altra sorpresa, grazie a una delle sue performance più complesse e intriganti: quella nella parte di Peggy Dodd, ambigua moglie del leader religioso Lancaster Dodd di Philip Seymour Hoffman, in The Master, capolavoro di Paul Thomas Anderson. La dolcezza propria di quasi tutti i personaggi della Adams mostra qui un inquietante risvolto: la cieca determinazione di una donna ossessionata dal controllo e, se possibile, ancor più machiavellica e calcolatrice del marito. Amy suggerisce questi lati di Peggy con una recitazione sotto le righe ma carica di sottintesi, guadagnandosi una quarta nomination all'Oscar (e a nostro avviso, non avrebbe sfigurato affatto come vincitrice). Un'annata altrettanto trionfale è quella successiva: nel 2013 è l'amica e confidente che condivide le pene d'amore di Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) nel malinconico Lei di Spike Jonze; è la tenace reporter Lois Lane, in grado di far girare la testa al Superman di Henry Cavill nel blockbuster L'uomo d'acciaio; e soprattutto è Sydney Prosser, l'affascinante truffatrice al cuore dell'intreccio di American Hustle - L'apparenza inganna.
A dispetto (o forse in virtù) delle tensioni sul set fra la star e il suo regista, ancora una volta un severissimo David O. Russell, la Adams regala una performance magnetica e coinvolgente nella parte di questa con artist emotivamente fragile, divisa fra il socio Irving Rosenfeld (Christian Bale) e l'agente dell'FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper), e ottiene il Golden Globe e la nomination all'Oscar, la prima come miglior attrice. Appena un anno più tardi arriva un secondo Golden Globe, sempre come miglior attrice di commedia, per il suo ritratto di Margaret Keane, pittrice succube del marito Walter (Christoph Waltz), nel biopic Big Eyes di Tim Burton. Decisamente meno interessante il 'trattamento' riservato l'anno scorso alla sua Lois Lane dalla confusa sceneggiatura di Batman v Superman: Dawn of Justice: la Adams riesce comunque a rendere in maniera degna il ruolo della cronista d'assalto di Metropolis, personaggio che riprenderà quest'anno nell'atteso cinecomic Justice League .
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Tra amore e rimpianto: Animali notturni e Arrival
Chi ha avuto la fortuna di essere con noi fra il pubblico della 73° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, probabilmente avrà provato un analogo senso di ammirazione quando, nell'arco di due giorni consecutivi, si è trovato ad assistere a due film diversissimi ma ugualmente emozionanti come Arrival e Animali notturni; e allo stesso tempo, a contemplare Amy Adams in due interpretazioni dalle caratteristiche ben distinte, ma dalle quali emerge un talento sempre più marcato. In Arrival, una delle prove in assoluto più intense nel repertorio della Adams, l'attrice esprime i turbamenti, il sommesso dolore e il desiderio di conoscenza di Louise Banks, una docente di linguistica che entra a far parte di un team governativo con il compito di provare a comunicare con le forme di vita aliene giunte sulla Terra a bordo di misteriose astronavi. Splendido esempio di fantascienza declinata in chiave umanista, la pellicola di Denis Villeneuve sembra aver incantato il pubblico (undici milioni di spettatori negli USA) e ha appena ricevuto anche la 'benedizione' quasi totale dell'Academy.
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Meno appariscente, forse, la prova offerta da Amy Adams in Animali notturni, trasposizione a cura di Tom Ford dell'avvolgente romanzo Tony e Susan di Austin Wright: un thriller costruito come un sinistro gioco di specchi, in cui alla Adams è affidato il ruolo 'passivo' della "lettrice", Susan Morrow, destinataria del manoscritto del suo ex marito Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal). E benché l'azione e la suspense siano destinate principalmente al plot metaletterario del racconto, l'attrice riesce in un'impresa tutt'altro che semplice: trasmettere, con la muta potenza dei suoi primi piani, l'impalpabile angoscia e il rimpianto divorante di una donna costretta a fronteggiare gli spettri del proprio passato e di un amore tradito. Alla sofferenza quasi cristallina della Louise di Arrival, nel cui sguardo lampeggia la scintilla di quella miracolosa empatia verso l'altro, fanno da contraltare la paura e le ombre che attraversano gli occhi di Susan, mentre la sua immagine riflessa allo specchio sprigiona una tensione lacerante.
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A dispetto di un'annata meravigliosa come quella appena trascorsa, la Adams dovrà rinunciare a percorrere il tappeto rosso degli imminenti Academy Award in qualità di concorrente. Nel suo immediato futuro non si profilano progetti con ambizioni da Oscar, ma è innegabile che la diva dai natali veneti, con le sue cinque candidature, abbia accumulato un credito enorme fra i membri dell'Academy (così come un'altra illustre 'assente' delle scorse nomination, Annette Bening). Augurandoci che prima o poi arrivi anche la prestigiosa statuetta (meglio se per il ruolo giusto, e non un premio 'compensativo' per un film minore), per ora siamo felici di poter godere dell'ennesima prova di bravura di un'attrice magnifica che, speriamo, avrà molte altre occasioni di meritarsi il nostro stupore e il nostro applauso.