E' il sogno proibito del pubblico femminile e il protagonista assoluto della cronaca rosa, ma dietro la sua facciata mondana batte il cuore di un artista. Così George Clooney, abbandonate momentaneamente le copertine dei tabloid internazionali, torna a far parlare di sé come regista grazie alla sua ultima fatica Le Idi di Marzo, film d'apertura della 68esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. La pellicola, tratta dalla pièce teatrale di Beau Willimon Farragut North, riporta l'attore dietro la macchina da presa per la quarta volta nel tentativo di unire l'intento cinematografico con la passione politica. Per questo motivo, messi da parte ammiccamenti e sorrisi in stile Danny Ocean, gorgeous George affronta il cammino impegnativo di un candidato democratico verso le presidenziali, aggiungendo un nuovo tassello a un'autorialità, se non particolarmente prolifica, già ben definita. Forte di un background culturale dichiaratamente liberal e di una passione per lo show business ereditata dalla zia Rosemary Clooney, l'indimenticabile dottor Ross ha utilizzato la materia cinematografica come espressione personale fin dall'esordio avvenuto nel 2002 con Confessioni di una mente pericolosa.
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A complicare ulteriormente le fasi produttive una lunga serie di registi blasonati come Sam Mendes, David Fincher e Darren Aronofsky, interessati al progetto ma non tanto da porre la propria firma su di un contratto, e di un altrettanto folto gruppo d'interpreti come Russell Crowe, Kevin Spacey, Edward Norton e Ben Stiller, attratti dalla materia ma costretti a declinare. Così, dopo l'ultima defezione di Bryan Singer, chiamato a dirigere X-Men 2, e di Johnny Depp, probabilmente mai seriamente coinvolto nel progetto, Clooney decide di tentare il grande passo. Ispirato dallo stile dei fratelli Coen e guidato dai consigli di un manuale di regia, l'uomo più sexy del pianeta si avventura verso una nuova fase della sua carriera in cui produzione, recitazione e direzione si sovrappongono con naturalezza. Tecniche di ripresa a parte, però, il vero asso nella manica è l'utilizzo dell'istrionico Sam Rockwell, che, premiato con l'Orso d'Argento per la sua interpretazione di Barris, offre al neo regista non solo la possibilità di ricostruire il ritratto di un personaggio discusso e discutibile, ma soprattutto di ricomporre lo scenario culturale di un paese condizionato dagli effetti di un trentennio di sottocultura televisiva.
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Particolarmente sensibile alla necessità di una stampa libera e competente, l'ex studente in giornalismo si avvale di una sceneggiatura evocativa scritta a quattro mani con Grant Heslov e della sofisticata interpretazione di David Strathairn per dare nuovo vigore e significato al lavoro di Edward R. Murrow, celebre reporter della CBS cui si deve l'attacco più duro al maccartismo e ai suoi abusi. Un progetto che Clooney realizza sostenendo alti rischi finanziari ed un impegno fisico non semplice da affrontare, ma che gli regala la ricompensa di un successo insperato. Terminata giusto in tempo per la kermesse veneziana, la pellicola, grazie ad una sintesi narrativa che lascia il giusto spazio alla parola e alla sua enfasi, arriva dritta al cuore della giuria che assegna al suo colossale protagonista la Coppa Volpi e a un incredulo George il premio Osella.
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A questo punto, sazio di tanta gloria e riconoscimenti, Clooney torna a casa con l'intenzione di spegnere per un po' la macchina da presa, dedicandosi esclusivamente alla recitazione e al suo impegno umanitario. Nei due anni successivi sceglie di interpretare Intrigo a Berlino e Ocean's Thirteen, entrambi diretti dall'amico Soderbergh, senza però dimenticare la campagna in favore del Darfur, attività per la quale nel 2007 riceve il Peace Summit Award assegnato dai Premi Nobel della Pace. Ed è proprio questo il momento in cui la voglia di raccontare una nuova storia torna a farsi sentire. Questa volta i toni e le intenzioni sono completamente diverse. Messe da parte le problematiche sociale almeno sul grande schermo, a creare i presupposti per In amore, niente regole (Leatherheads), insolita avventura romantica ambientata a bordo campo tra un allenatore inaffidabile e una reporter d'assalto, è una passione dichiaratamente maschile: il football e la sua evoluzione in sport nazionale.
Pur se ispirato alla vicenda personale del campione Harold "Red" Grange che nel 1925 entrò a far parte dei Chicago Bears grazie all'intervento dell'allora allenatore George Halas, il film riesce comunque a celebrare un romanticismo cinematografico d'altri tempi sostenuto dal ritorno di "George il conquistatore", con tanto di sorrisi sfolgoranti e tecniche di seduzione in stile anni venti , capace di sedurre ma non domare la vivace Renée Zellweger nei sofisticati panni di una giornalista in carriera. Al ritmo coinvolgente di The Man I Love, i due danno vita ad un incontro amoroso che, prima di ogni altra cosa, è uno scontro verbale senza esclusioni di colpi. Grande conoscitore della storia del cinema del suo paese e, in particolare, appassionato dei film in bianco e nero degli anni quaranta, l'attore/regista ripropone chiaramente gli schemi della classica commedia americana, imprimendo una ritmica personale che dona alla vicenda una vivacità moderna ed accattivante.
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