Ha ricevuto una di quelle accoglienze riservate alle grandi occasioni Xavier Dolan, ospite venerdì pomeriggio all'Auditorium per l'incontro con il pubblico alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il regista, sceneggiatore e attore canadese, ventotto anni, ex enfant prodige con un esordio appena diciannovenne, è oggi uno dei maggiori idoli dei cinefili di tutto il mondo grazie a opere che si sono imposte nei principali festival internazionali: dal melodramma Laurence Anyways al fenomeno Mommy, suo primo film a diventare un enorme successo in area francofona e non solo, fino al recente È solo la fine del mondo, che gli è valso il Gran Premio della Giuria a Cannes e il César come miglior regista.
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Attualmente, Dolan è impegnato nella post-produzione della sua nuova fatica, ovvero il suo attesissimo debutto in lingua inglese: La mia vita con John F. Donovan, dramma ambientato nel mondo dello show business e con un super-cast capeggiato da Kit Harington e che include Jessica Chastain, Natalie Portman e Susan Sarandon (in Italia sarà distribuito da Lucky Red). Vivace e sorridente, Xavier è salito sul palco dell'Auditorium sfoggiando una capigliatura biondo platino e armato di una loquacità trascinante e di un entusiasmo contagioso.
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Gli esordi: i film come problemi da risolvere
Xavier, preferisci dirigere o recitare?
Preferisco recitare. Anche quando dirigo in fondo in qualche modo recito, lavorando con attori che ammiro, e ho imparato moltissimo da loro, guardando come riescono a diventare qualcun altro. Mi manca la recitazione, e nei prossimi anni voglio riprendere a fare l'attore.
Come è nato il tuo film d'esordio, J'ai tué ma mère?
Dal bisogno di raccontare storie e di iniziare a fare film. Prima non avevo girato cortometraggi o frequentato scuole di regia, avevo solo un diploma di liceo: volevo recitare, ma non ottenevo ingaggi. Ero deciso a fare qualcosa della mia vita, ma in quel periodo passavo quasi tutto il tempo da solo nel mio appartamento, senza fare nulla. Da attore disoccupato, ho deciso di realizzare un film sulla mia vita: e chi avrebbe potuto interpretarlo meglio di me? Le cose però sono state più complicate del previsto: non molti credevano nel film, ad eccezione degli attori, davvero fedeli, e ho dovuto investirci tutti i miei soldi. Le mie opere però non nascono da esigenze particolari, piuttosto direi da problemi da risolvere: per i personaggi e per me stesso. In questo caso, il problema era cominciare la mia vita da artista.
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Xavier, un "artista ladro"
Nei tuoi film adoperi spesso lunghi piani sequenza: come mai?
Noi registi amiamo i piani sequenza, possiedono una tensione palpabile. Sono riprese complesse, gli attori devono eseguire una sorta di coreografia e tutti i membri della troupe sono coinvolti al massimo... anche se poi alcuni piani sequenza si rivelano troppo lunghi e devo tagliarli. Non voglio dare l'idea che il piano sequenza prenda il sopravvento sul racconto: la priorità assoluta è sempre la storia.
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Quali sono i registi a cui ti ispiri maggiormente?
Non ho visto molti film, e quando si parla di cinema mi sento sempre in imbarazzo: ho delle enormi lacune da riempire. In J'ai tué ma mère, con la slow motion, ho inserito un riferimento evidentissimo a In the Mood for Love, talmente evidente che se Wong Kar-Wai l'avesse visto avrebbe potuto denunciarmi! Ho letto un libro illuminante che si intitola Steal Like an Artist, in cui è scritto: "Inizi come un fannullone e poi diventi reale". È un gran libro, potete comprarlo su Amazon! Il furto artistico è un atto naturale, e in questo libro c'è una citazione di Francis Ford Coppola: "Noi vogliamo che altri registi rubino da noi... e poi magari un giorno quelle stesse cose ve le ruberà qualcun altro". In realtà, con il tempo le idee viste in altri film riesci a farle tue. Io ho sentito di aver iniziato a essere davvero me stesso soltanto quando ho girato Tom à la ferme: per me è un thriller psicologico, qualcosa che non avevo mai fatto prima, ma non sono abituato a definire i film in base ai generi.
Here's to the ones who dream...
Come costruisci i tuoi personaggi?
In molti film i personaggi sono inermi, poveri ed emarginati, non hanno nulla e non fanno nulla: io la considero pornografia della povertà. Amo invece i personaggi pieni di speranza e combattivi, che lottano per essere se stessi nonostante la società abbia dei problemi con loro. Nei miei film voglio raccontare storie di combattenti e di sognatori: alla fine possono anche fallire, ma non saranno mai dei perdenti. Se falliscono, è sempre colpa della vita.
Puoi parlarci della tua maggiore passione cinematografica, Titanic?
Titanic è un film che adoro! È realizzato in maniera magnifica, un capolavoro di intrattenimento. Un paio d'anni fa sono stato invitato a una cena con tanti grandi nomi di Hollywood, e a un certo punto Bennett Miller ci ha chiesto quale fosse il nostro film preferito. In quel momento ho pensato: "Oh mio Dio, cosa diranno quando gli risponderò Titanic?". Non è proprio la risposta adatta in mezzo a gente intellettuale: non sarà un film perfetto, magari, però è il mio film preferito. Io guardo i film con il cuore, e Titanic mi ha detto: "Vola, pensa sempre in grande, insegui i tuoi sogni!". Ora non mi sento più insicuro al riguardo... anche se amo pure film più sofisticati, come La pianista di Michael Haneke e Lezioni di piano di Jane Campion: tutti film sui pianoforti!
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Uno dei temi centrali del tuo cinema è la famiglia: i tuoi genitori come hanno reagito al riguardo?
Hanno amato i miei film, mia madre è molto orgogliosa di Mommy. Lei sa di non essere come quei personaggi, del resto soltanto il mio primo film è autobiografico. Come regista mi sta molto a cuore il rapporto madre/figlio.
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Chiamami col tuo nome, ovvero la bellezza del dolore
Quali sono altri film che hai apprezzato particolarmente?
Due settimane fa ho visto un film incredibile, Chiamami col tuo nome: profondo, tenero, saggio, è un'opera che cambia il tuo modo di vedere l'arte e la vita. Però è anche un film sul dolore: il dolore di quando ami follemente qualcuno e vieni rifiutato. Chiamami col tuo nome mostra la bellezza dell'amore, ma anche la bellezza del dolore: e il dolore libera la nostra creatività. Molti miei film sono nati mentre ero innamorato oppure avevo il cuore spezzato, e guardando Chiamami col tuo nome ho avvertito che il mio dolore era stato compreso.
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Un altro dei miei film preferiti è Birth - Io sono Sean. Esteticamente è una meraviglia, e in un unico, lungo primo piano, quando si reca a teatro, Nicole Kidman compie un intero percorso psicologico, fino ad accettare che il ragazzo che ha appena conosciuto sia lo spirito del suo defunto marito. Nicole mi ha detto che quella scena l'hanno girata con un solo ciak. Del resto gli attori non rimangono mai fermi o in attesa, ma anche quando sono in silenzio riescono sempre a farsi coinvolgere da tutto ciò che si trova attorno a loro.