La sigla coglie tutti alla sprovvista. Nessuna canzone, solo un montaggio frenetico - e anche un po' spoileroso, si scoprirà dopo - di primi piani e sguardi insospettiti su note che sembrano più adatte a un giallo che a una commedia romantica. Quando incalza, e finalmente esplode in un turbinio di abbracci, baci e sorrisi, Tutti pazzi per amore pare l'ennesima fiction per tutte le età, sulla falsariga di Un medico in famiglia o I Cesaroni. Basteranno pochi minuti a sbigottire lo spettatore della prima serata Rai: un linguaggio moderno e qualche volta scurrile ma mai gratuitamente volgare; inserti in stile musical in un intreccio da commedia degli equivoci; allucinazioni surreali che sembrano uscire da Ally McBeal; allusioni più o meno velate al sesso, e specialmente in una redazione di sole donne che qualcuno - era il 2008 - paragonò alle protagoniste dell'americanissima Sex and the City.
Forse è per questo che la CBS, emittente statunitense controllata da Paramount Global, sembrerebbe aver acquistato i diritti della serie televisiva per svilupparne forse un remake nel futuro prossimo. La serie firmata da Ivan Cotroneo e prodotta da Publispei e Rai Fiction per la regia di Riccardo Milani e Laura Muscardin era la ventata - ma sarebbe meglio dire il ciclone - di aria fresca di cui aveva bisogno lo statico, rigido e perbenista scenario delle fiction serializzate italiane. Disponibile da anni in un angolino di Rai Play, Tutti pazzi per amore è arrivata qualche mese fa anche su Netflix, rivolgendosi a un pubblico più ampio e attuale, ma ci siamo chiesti: è invecchiata bene?
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La premessa
Articolata in tre stagioni da 26 episodi ciascuna, la serie comincia col trasloco dei Giorgi, il vedovo Paolo (Emilio Solfrizzi) e sua figlia Cristina, che vanno ad abitare in un nuovo condominio. Sullo stesso piano vivono i Del Fiore: Laura (Stefania Rocca nella prima stagione, poi Antonia Liskova nelle successive) è divorziata, lavora da poco in una redazione (quasi) tutta al femminile e ha due figli, il liceale Emanuele e la piccola Nina. È subito guerra. Cristina finisce seduta accanto ad Emanuele in classe, ma i due non si possono sopportare perché lei è sgraziata e un po' cafona, lui una specie di enfant prodige paranoico. Paolo e Laura comunicano a biglietti, litigando su tutto. In realtà, passano il primo episodio a rincorrersi: si incontrano per caso ed è amore a prima vista, ma quando scoprono di essere l'uno l'odiato vicino dell'altra, la situazione si complica per tutti.
Nel corso delle tre stagioni, i Giorgi e i Del Fiore diventano una specie di gigantesca famiglia allargata. Dopo mille peripezie, Michele, il migliore amico di Paolo, finisce insieme alla caporedattrice e migliore amica di Laura, Monica (Carlotta Natoli) salvo scomparire in uno dei più epocali colpi di scena nella storia della TV italica, specie se consideriamo che a interpretare Michele è Neri Marcorè. Laura, dal canto suo, ha una famiglia assolutamente folle, composta da una madre (una pazzesca Piera Degli Esposti) divorzista e divorziata-ma-non-troppo, un inguaribile romantico per padre (Luigi Diberti) e la svampita sorella Stefania (Marina Rocco) che intrattiene una rocambolesca relazione col fidanzato storico Giulio (Luca Angeletti).
Tra zie impiccione, compagni di scuola, colleghi di lavoro, ex vecchi e nuovi, il cast di Tutti pazzi per amore è una specie di orchestra che suona maledettamente bene, anche e soprattutto per merito dei talentuosi attori - giovani, che ora non sono più tanto giovani, compresi - ma non solo. La scrittura, spesso brillante, punta sugli aspetti più caricaturali dei personaggi, esasperandoli ma al contempo svestendoli di scontati buonismi, così sembrano irresistibilmente realistici nelle loro idiosincrasie, nel linguaggio colorito e spesso sboccato ma vicino al nostro. Cotroneo firma una sceneggiatura intelligente che scommette sulla preparazione culturale del pubblico e sulla sua capacità di cogliere gli innumerevoli riferimenti, visivi e linguistici, alla letteratura, al cinema e alla cultura pop, nei dialoghi fulminei che ricordano quelli delle Gilmore Girls in Una mamma per amica di Amy Sherman-Palladino.
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La vita è un musical
Tra il 2008 e il 2012, Tutti pazzi per amore è stato qualcosa che non aveva precedenti né simili sulle reti italiane, una cosiddetta "TV di qualità" - secondo i canoni di Robert Thompson - che frullava generi diversi riuscendo a mantenere un equilibrio impeccabile. Cotroneo riesce a manipolare i meccanismi più arditi della narrativa a suo favore. Gli inserti metanarrativi del Dottor Freiss (Giuseppe Battiston) che fa il verso ai primi tuttologi da palcoscenico, sfondando doppiamente la quarta parete, anticipano i colpi di scena per agguantare lo spettatore, dirottano la storia per incalzarla o farla respirare quel tanto che basta, aiutano a spiegare il recast della Rocca per la Liskova all'inizio della seconda stagione, mentre sullo schermo intona Amarti è l'immenso per me di Ramazzotti.
La musica è il motore dell'opera, la chiave per capirla e il vocabolario con cui esprimerla. Come nei musical di altri tempi, quando i sentimenti sono troppi per essere contenuti i personaggi cominciano a cantare e, se ciò non dovesse bastare, ballano pure. La contaminazione, in questo senso, è assoluta: si passa dai Matia Bazar a Jovanotti, da Mina e Baglioni a Marylin Monroe e Fred Astaire, passando per la Carrà, Modugno, Phoebe Cates, Beyoncé e chi più ne ha più ne metta. Di solito gli attori cantano in playback ma in qualche caso, e nella stragrande maggioranza della terza e ultima stagione, sono proprio loro a cantare. Le coreografie spesso coinvolgono anche le comparse in una specie di allucinazione collettiva, ma anche lì si gioca con lo spettatore e qualche volta le gag si appoggiano all'idea che il musical non sia solo nella testa dell'innamorato o dell'innamorata di turno, ma trascini anche i passanti.
Una televisione perfetta, quindi? No, non proprio. Ai toni stucchevoli che qualche volta può assumere - e che ci possono stare, considerato l'argomento: l'amore in tutte le sue umane sfaccettature - ci si abitua, ma la necessità di riconfigurare continuamente la storia e il cast tra una stagione e l'altra finisce per pesare sulla scrittura. E forse è per questo che la serie, pur avendo portato a casa un Premio Regia Televisiva nel 2009 e un premio alla miglior attrice non protagonista per Sonia Bergamasco nei panni di Lea, chiude con la terza stagione, quando la sceneggiatura comincia a scricchiolare e a farsi sempre più inverosimile, se non ridondante. Rendendosi conto che la serializzazione prolungata rischiava di banalizzare e rovinare un'opera così unica e originale, Rai si ferma e Tutti pazzi per amore si conclude con un ballo corale sulle note di Azzurro.
Tutti pazzi per amore... oggi
Certo, negli anni anche la fiction italiana è cambiata, nel bene e nel male. Si è fatta più ardita, guardando anche e soprattutto dall'altra parte del mondo, ma sempre mantenendo una propria identità. Però di serie stimolanti come Tutti pazzi per amore non se ne sono viste molte, forse nessuna. Anche il pubblico è cambiato, perché è cambiata la società. E in questo senso, Tutti pazzi per amore rappresentava uno specchio dell'Italia del 2008, sulla via di un indeciso progressismo. Oggi il cappello che copre un bacio gay in Gloria diventa praticamente un caso politico - e la politica è qualcosa di cui Cotroneo nella sua ficiton non parla mai, neanche lontanamente di striscio - ma in Tutti pazzi per amore c'era Paolo che affrontava con imbarazzo l'argomento dell'omosessualità: Solfrizzi, che lo interpreta, è messo alla prova due volte nel corso delle tre stagioni, e nell'ultima cerca costantemente di nascondere le preferenze sessuali della collega Eva (Anita Caprioli) e della sua fidanzata Roberta (Alessia Barela) che, invece, vivono la loro storia con naturalezza.
Emanuele (Brenno Placido) invece vive con aperta ostilità l'omosessualità del padre: è un nodo che Cotroneo scioglie lentamente e senza clamore dietro le quinte dei vari episodi, senza prestargli troppa attenzione. Può sembrare strano, specialmente oggi che queste sottotrame, nelle fiction, servono sostanzialmente a sostenere un sacrosanto spirito di inclusività, ma Tutti pazzi per amore, fondamentalmente, non voleva insegnare niente a nessuno - nemmeno quando affrontava la questione della sieropositività nella seconda stagione in modo quasi didascalico - se non che a seguire il cuore si rischia e qualche volta si perde, ma più spesso succede che si sbanca la roulette. Questo rende la serie attuale e anacronistica al tempo stesso.
Se le ossessioni per il sesso e gli psicofarmaci di Maya (Francesca Inaudi) nella terza stagione potrebbero sembrare fuori luogo in una prima serata del 2024, e figuriamoci in una del 2012, oggi sarebbe assolutamente inaccettabile dipingere di positività il tradimento di Giampaolo (Ricky Memphis) nei confronti di Elisa (Martina Stella) solo per prendere le parti di Monica, che suo malgrado sembra cambiare il "vero amore" ogni stagione. Peggio ancora, dopo una divertente escalation di dispetti, il conflitto tra Stefania e Giulio in stile La guerra dei Roses - film esplicitamente citato, peraltro - sfocia in uno scontro fisico e violentissimo, quasi sanguinoso, che nessuno si azzarderebbe a portare oggi sul piccolo schermo, in un momento storico tanto macchiato dalle piaghe del femminicidio e della violenza domestica.
Naturalmente Cotroneo esasperava soltanto le assurde tendenze dei suoi personaggi, ben sapendo che avrebbero avuto tutti il loro lieto fine, ma oggi si tende a leggere tra le righe, a cercare sempre le sfumature di grigio nei colori, a prendere sul serio anche le commedie romantiche musicali. In un certo senso, riguardare Tutti pazzi per amore su Netflix è servito anche a questo: a ricordarci, tra sorrisi, canzoni e lacrime di tristezza e di commozione, come è cambiata la nostra fiction e come siamo cambiati noi, nel bene e nel male, in un breve spazio di soli dodici anni. E che un'altra televisione è possibile, come ci insegnavano Torre e Ciarrapico in Boris. È solo che ogni tanto ce lo dimentichiamo.