Tutte le mie notti, la recensione: Tutto in una notte

La recensione di Tutte le mie notti, un thriller psicologico dai risvolti noir prodotto dai Manetti Bros.

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Tutte le mie notti: una scena del film

Cinema di suggestioni e atmosfere, dove gli elementi del film di genere la fanno da padrone dettando regole e ritmi. Protagonisti, luoghi, tempi e colori di Tutte le mie notti sono quelli del thriller psicologico a tinte noir, ingredienti in parte evocati già dal titolo di questo esordio alla regia firmato da Manfredi Lucibello e prodotto dai Manetti Bros, sempre più attivi con la loro Mompracem nel rimpinguare con opere originali le fila del cinema di genere italiano.
Come leggerete in questa recensione di Tutte le mie notti, il film prende in prestito dalla grande tradizione del noir ambienti e situazioni, dark lady e suspense, colpi di scena e cupe visioni, ma non è privo di difetti: su tutto pesa un didascalismo soffocante, un bisogno invasivo di spiegare allo spettatore quello che un autore visionario avrebbe saputo gestire diversamente.

Una trama noir

"Nulla è come sembra" è il mantra che il film porterà avanti spesso in maniera estenuante, mentre lo sviluppo della trama di Tutte le mie notti seguirà i canoni del genere, sebbene la suspense latiti per quasi tutta la prima parte della storia. Manfredi Lucibello tesse i fili di un racconto che intreccia i destini di tre personaggi, a partire dall'incontro apparentemente casuale e inaspettato tra Sara (Benedetta Porcaroli) e Veronica (Barbora Bobulova): la prima, studentessa diciassettenne di giorno e escort di notte, abbagliata dal luccichio dei soldi facili e da qualche vestito griffato; la seconda, avvocato quarantenne, vent'anni di lavoro al servizio del suo unico cliente, Federico Vincenti (Alessio Boni), l'uomo che l'ha plasmata a sua immagine e somiglianza, imprenditore vessato dalla crisi, che ne ha tirato fuori il lato più oscuro e disumano.

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Tutte le mie notti: una sequenza del film

Sullo sfondo le strade deserte di una imprecisata cittadina di mare, in primo piano una misteriosa villa che diventerà lo scenario privilegiato dell'intera azione del film, oltre che quarto protagonista della vicenda. Segreti, bugie, paure, desideri taciuti e inconfessati: tutto verrà disseppellito nel corso di un'unica notte, quando un incidente cambierà le sorti di tutti per sempre.
Il regista accompagna il pubblico attraverso le stanze della villa costantemente al buio o in penombra, la tensione corre attraverso i rapporti che via via si vanno definendo e disvelando, in un movimento tra dentro e fuori intorno al quale si struttura l'impalcatura del thriller.

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Barbora Bobulova e Bendetta Porcaroli: femminilità tra luci e ombre

Non mancano nelle scelte di regia certe raffinatezze degne dei grandi autori, peccato però che la scrittura affoghi nell'artificiosità di dialoghi a profusione, spesso innaturali. Il mistero e la storia pagano l'oppressione di un profluvio di parole che obbediscono all'insensata necessità di spiegare, raccontare, dire laddove invece sarebbe bastato il silenzio delle immagini o la fantasia dello spettatore. Tutte le mie notti è anche il racconto di due femminilità opposte, in una relazione che le porta a contaminarsi e rivelarsi, prima nemiche poi complici, in un gioco di chiari e scuri che non risparmierà nessuno.

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Tutte le mie notti: un momento del film

Neanche Federico Vincenti, l'unica figura maschile presente, al quale Alessio Boni regala la gravità e le zone d'ombra necessarie a tratteggiarne l'ambiguità di fondo capace di sottrarlo per buona parte del film allo stigma di buono o cattivo.
La coppia di personaggi portati in scena da Bobulova e Porcaroli funziona, anche se le interpretazioni devono vedersela con un'affettazione da cui è difficile affrancarsi e con l'assenza di una dimensione psicologica più articolata. Il racconto sembra procedere a grande velocità verso il finale senza lasciare alla tensione il tempo giusto per crescere, nutrirsi e entrare nella mente del pubblico.

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Conclusioni

Conclusa la recensione di Tutte le mie notti non rimane che darvi un consiglio: tenete d’occhio Manfredi Lucibello, con la speranza che il suo potenziale, in questa occasione espresso a metà, possa trovare il modo di compiersi altrove. Certe scelte stilistiche dimostrano una promettente, seppur ancora acerba, autorialità; Lucibello sa muoversi nel territorio del genere, ne rispetta le regole e a volte le rielabora secondo una propria rivoluzionaria visione. La scrittura però annega in un fiume di dialoghi, parole a profusione che incombono sotto l’egida del didascalismo, anche quando non vorremmo sentire nulla se non il silenzio di un’immagine.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
2.5/5

Perché ci piace

  • La ricercatezza stilistica del film dimostra una presenza autoriale che ha il coraggio di rielaborare secondo una visione personalissima i canoni del genere.
  • Il racconto delle due figure femminili attraverso i personaggi di Barbora Bobulova e Benedetta Porcaroli, funziona grazie al continuo gioco di luci e ombre e al progressivo smascheramento delle loro personalità.

Cosa non va

  • Il film rimane spesso vittima di un didascalismo opprimente: un profluvio di parole e dialoghi, che obbediscono all'insensata necessità di spiegare, raccontare, dire laddove invece sarebbe bastato il silenzio delle immagini o la fantasia dello spettatore.
  • La tensione non trova il tempo giusto per crescere, nutrirsi ed entrare nella mente del pubblico.