Toro scatenato ci lascia ipnotizzati, sin dai titoli di testa, con Robert De Niro che si muove al ralenti sul ring sulle note dell'Intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni. Il capolavoro di Martin Scorsese ha già 40 anni - veniva presentato il 13 novembre del 1980 -, ma è sempre stato un film senza tempo, stilizzato e fissato per sempre in quel suo bianco e nero, in quelle sequenze di boxe mai viste prima e mai più riviste, e nella performance di Robert De Niro. Quello che è probabilmente il miglior film sulla boxe in realtà è molto altro, un film che parla di ascesa, caduta e redenzione raccontato da Martin Scorsese con tutta la disperazione e fino all'ultima goccia di sudore disponibile, come se fosse il suo ultimo film. Toro scatenato racconta una storia incredibile (ma vera), quella di Jake LaMotta, pugile italoamericano diventato campione del mondo dei pesi medi alla fine degli anni Quaranta che finì in un vortice di autodistruzione fino a finire in carcere. Ma è incredibile e appassionante anche la storia del film, che arriva da lontano, dai tempi di Alice non abita più qui. O, se volete, ancora da più lontano, da un capolavoro italiano, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.
Da un'idea di Robert De Niro
All'epoca di Alice non abita più qui fu Robert De Niro a far leggere a Martin Scorsese l'autobiografia di Jake La Motta, pugile italoamericano. De Niro si era innamorato di quella storia e voleva a tutti i costi la parte del protagonista. Toro scatenato diventerà realtà solo cinque anni più tardi. A Scorsese, in fondo, non interessava un granché girare un film sul pugilato: lo trovava noioso e poco interessante. Era altro quello che lo interessava: il lato autodistruttivo del personaggio, quelle sue pulsioni elementari, la sua disperazione. Così il progetto partì: una prima stesura della sceneggiatura fu scritta da Mardik Martin, e aveva la struttura di Rashomon, cioè raccontava la storia da diversi punti di vista. Fu poi rivista da Paul Schrader, lo sceneggiatore di Taxi Driver, che riportò la storia verso un racconto più omogeneo e diretto. Ma sarebbero stati lo stesso Scorsese e De Niro, in dieci giorni serrati a St. Martin, isola dei Caribi, a dare la forma definitiva alla storia.
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La crisi di Martin Scorsese
Una storia che per Martin Scorsese voleva dire tanto. Chissà quanto di sé trovava nell'autodistruzione di Jake La Motta. In quegli anni Scorsese stava vivendo una profonda crisi. Il suo film New York, New York, un musical, era stato un insuccesso, sia di critica che di pubblico. Il regista stava vivendo il fallimento del suo matrimonio, soffriva di crisi d'asma, e stava cercando a fatica di uscire dalla sua dipendenza da cocaina. È facile immaginare come stesse pensando davvero che Toro scatenato sarebbe stato l'ultimo film della sua carriera. Per questo ci mise dentro tutto quello che sapeva, tutto quello che provava in quel momento. A questo è dovuta l'enorme cura, per molti esagerata, con cui si dedicò al film dopo la fine delle riprese. Ma Scorsese era davvero convinto che non avrebbe girato più altri film, per cui Toro scatenato dove venire esattamente come lo voleva lui. Doveva essere il suo testamento artistico.
Jake LaMotta in bianco e nero
Il film avrebbe invece segnato la sua rinascita, e, nonostante non abbia incassato subito molto, e vinto relativamente poco ("solo" due Oscar, a Robert De Niro come attore protagonista e a Thelma Schoonmaker per il montaggio), sarebbe diventato di lì a poco un cult, e definito a fine decennio come uno dei migliori film degli anni Ottanta. In un decennio dominato da un cinema spettacolare e fantasioso, quello degli Steven Spielberg e dei George Lucas, Toro scatenato è un film crudo, disperato, e unico nel suo bianco e nero. Senza paura di sembrare pretenziosi, Scorsese e il direttore della fotografia Michael Chapman decisero così per avvicinarsi agli anni Quaranta, visto che le foto e i filmati degli incontri di Jake LaMotta li avevano sempre visti con quei colori. Ma anche per differenziarsi dagli altri film di quel periodo, come Rocky. Scorsese decise per il bianco e nero dopo aver fatto vedere una ripresa di prova a Michael Powell, che aveva osservato come i guantoni dei pugili non dovessero essere rossi. Ma pare che la scelta fosse stata fatta anche perché le pellicole della Eastman non fossero affidabili, e si deterioravano troppo facilmente.
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Rocco e i suoi fratelli e Toro scatenato
Ma quel bianco e nero è anche un modo per avvicinarsi a un grande classico del nostro cinema, Rocco e i suoi fratelli di Visconti, una storia che ha anche a che fare con la boxe. "Il bianco e nero di Rocco e i suoi fratelli è uno dei più belli che io abbia mai visto" aveva dichiarato Scorsese in occasione del recente restauro del film. "La fotografia del grande Giuseppe Rotunno ha un aspetto perlaceo, lucente ed elegante". Martin Scorsese ha cercato di portare anche questo aspetto nel suo film. Due anni fa, durante l'incontro con il pubblico alla Festa del Cinema di Roma, ha ammesso che la sua massima influenza per Toro scatenato fu proprio Rocco e i suoi fratelli.
Robert De Niro, un'altra prestazione monstre
Rocco e i suoi fratelli è stata una grande influenza e ispirazione anche per Robert De Niro, vera e propria anima di Toro scatenato che, dopo aver dato a Scorsese l'idea del film, gli ha dato anche il corpo, gettandosi nell'impresa con una prestazione mostruosa, di quelle che rimangono nella storia del cinema. De Niro ingrassò trenta chili per girare le scene della fase declinante di LaMotta. Toro scatenato parte da qui, da un LaMotta invecchiato e imbolsito, negli anni Sessanta, per andare indietro nel tempo e raccontare la storia di LaMotta e tornare infine al punto di partenza. Le scene in cui De Niro è ingrassato per entrare nei panni del vecchio LaMotta furono girate per prime. La produzione poi si fermò, per permettere a De Niro di dimagrire e rendere il suo fisico muscoloso come quello di un pugile.
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La boxe come non l'avete mai vista
È anche per interpretazioni come queste che un film entra nella storia del cinema. Ma Toro scatenato è unico per come racconta la boxe, per come la mette in scena. Scorsese non voleva mostrare il pugilato come facevano gli altri film, inquadrandolo da fuori, dal punto di vista dello spettatore. Voleva portarci in mezzo al ring, in mezzo a quei pugni, farceli arrivare in faccia, provare a farci sentire il dolore. Scorsese, grazie anche al magistrale montaggio di Thelma Schoonmaker, riesce a farci arrivare la violenza di ogni singolo pugno, la crudezza della boxe, la forza dei colpi che si abbattono sui pugili. In Toro scatenato ogni combattimento è una storia a sé, è diverso dagli altri, perché è diverso lo stato mentale di La Motta durante i match. Thelma Schoonmaker è stata fondamentale: il suo lavoro al montaggio, durò un anno. Tagliò, insieme a Scorsese, 40 minuti di film, riscrivendolo. E contribuendo a scrivere un capolavoro.
Jake LaMotta: la boxe per autopunirsi
Ma in quei combattimenti così duri c'è molto altro, non solo la voglia di portarci dentro a un combattimento. Quelle sequenze di boxe, così realistiche, violente, ripetitive, servono a raccontarci quella che è una storia di autodistruzione. "Pensavo che Jake avesse usato tutti per autopunirsi, specie sul ring. Solo in prigione si trova davanti al suo vero nemico: se stesso". È questo che interessa a Scorsese. Che, dopo Mean Streets e Taxi Driver racconta ancora i meandri di New York, i suoi personaggi estremi, la violenza che governa le relazioni, in ogni momento, in ogni gesto. Gli interessa narrare, ancora una volta, una storia di ascesa, caduta e redenzione. Una caduta e una redenzione che forse sono anche le sue.