Martin Scorsese e i suoi 9 film classici italiani preferiti alla Festa di Roma 2018

L'incontro con Martin Scorsese alla Festa di Roma 2018, nel corso del quale il regista ha parlato dei suoi 9 film classici italiani del cuore.

È stato uno degli "sponsor" della Festa del Cinema di Roma 2018 da quando la kermesse capitolina ha mosso i primissimi passi, Martin Scorsese: l'anteprima del suo The Departed - Il bene e il male, opera destinata a regalargli l'Academy Award per il miglior film e la migliore regia, con ospiti sia il regista che il protagonista Leonardo DiCaprio, fu l'evento di punta della prima edizione della manifestazione dodici anni fa. Lo ricorda anche lui, nel ricevere il premio alla carriera dalle mani di Paolo Taviani: "Sono venuto qui con un film che temevo potesse far finire la mia carriera, invece a quanto pare alla gente piace!".

Img 7915 Copia
Roma 2018: una particolare foto di Martin Scorsese sul red carpet

Da allora l'ancor giovane Festa del cinema ha avuto alti e bassi; Scorsese, che compirà 76 anni il prossimo 17 novembre, ha veleggiato sempre di fronte alla flotta, senza mai smettere di celebrare, difendere e impastare il cinema, ma spaziando anche in ambito televisivo dando il suo significativo contributo a operazioni della caratura di Boardwalk Empire e Vynil per HBO; con il suo ultimo film, The Irishman (nel cast Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci) in uscita su Netflix il prossimo anno, Scorsese ha dimostrato anche la sua apertura alla nuove modalità di diffusione delle opere audiovisive.

Antonio Monda, che considera giustamente questa opportunità per il pubblico romano il fiore all'occhiello di questa terza edizione della Festa sotto la sua gestione: il pretesto è un premio alla carriera che, in un caso come quello di Scorsese, instancabile e appassionato gigante della Settima Arte, appare quasi pleonastico; ma è il "pretesto" per un bagno di folla e per un incontro a base di confessioni e chiacchiere e cinema nel pieno spirito celebrativo e democratico della Festa del cinema.

Monda introduce con la "formula più breve", ovvero un genio del cinema, il suo illustre ospite e questa serata focalizzata sui film classici italiani che hanno avuto un ruolo nella formazione cinematografica di Scorsese, presentati attraverso brevi clip significative e applauditissime dal pubblico romano. "Dovevano essere cinque film. Due settimane fa sono diventati nove. A quel punto mi sono permesso di fermarlo!"

Leggi anche: Martin Scorsese, pallottole, sangue e pugni nell'età dell'innocenza perduta

1. Accattone

Una scena di Accattone
Una scena di Accattone

"Vidi Accattone al New York Film Festival nel '63 o nel '64, e fu un'esperienza di grande potenza. Una sospresa, quasi uno shock. Ora voi conoscete tutti benissimo Pier Paolo Pasolini, ma allora io non sapevo nemmeno chi fosse. Io sono cresciuto in un quartiere tosto di New York, il Queens, e nel primo film che vidi recitavano persone che conoscevo; era Fronte del porto di Elia Kazan. Accattone è l'altra faccia della medaglia, perché il film di Kazan è splendido ma è un film prodotto da uno studio. Queste persone, i personaggi di Accattone, sono quelle con cui ho sentito una vera connessione. Li riconoscevo. Un altro aspetto che mi colpisce è il senso del sacro di Accattone; c'è santità nel finale di Accattone. Lui muore fra due ladri, uno dei quali si fa il segno della croce al contrario, e una delle prostitute che sfrutta si chiama Maddalena. E poi questo uso di Bach nel finale. Ho imparato moltissimo sull'uso delle musiche da Pasolini. Anche in Casinò ci sono musica di Bach, la sua musica sacra, perché i personaggi sono in un paradiso da cui poi verranno cacciati."

Leggi anche: Ricordando Pier Paolo Pasolini: il suo cinema in 10 tappe fondamentali

Continua Scorsese: "Sto bene adesso. Ho sofferto abbastanza e ora sto bene. È la santità dell'animo umano. Per me questo significa che un magnaccia, l'uomo più basso e meschino sulla strada, nel momento in cui soffre è più vicino a Dio di chiunque altro."

2. La presa del potere da parte di Luigi XIV

Img 7898 Copia
Roma 2018: Martin Scorsese sul red carpet

"Quando avevo cinque anni avevamo in casa una piccola TV - era il '48, o il '49 - che mi permise di vedere i film del neorealismo italiano: Roma, città aperta, Paisà, Ladri di biciclette e Sciuscià. Solo che per me non era cinema, il cinema era quello che vedevo in sala, quei film invece mi sembravano la vita vera, grazie anche alla connessione con l'italia dei miei nonni. La presa del potere da parte di Luigi XIV di Roberto Rossellini film l'ho visto al New York Film Festival, all'inizio non fu accolto benissimo."

"Nella seconda parte della sua carriera Rossellini - interviene Monda - si mise a fare questi film storici, didattici per la televisione, quasi che in quel momento pensasse che l'elemento informativo dovesse prevalere su quello artistico"

"Rossellini aveva già reinventato il cinema insieme a De Sica e a Zavattini, quando ebbe punto però ebbe l'intuizione che forse l'arte fosse troppo rivolta verso l'interno, chiusa su se stessa e decise che, data la portata di questo mezzo di comunicazione che è il cinema, se ne dovesse fare anche qualcos'altro. Realizzò una serie di film storici di cui questo è il primo, ed è diverso, straordinario, potentissimo. Basta vedere la composizione, c'è Velasquez, Caravaggio. Lui prende il dettaglio e attraverso un dettaglio ti trasmette la storia. Basta vedere il gesto con cui il re rifiuta il piatto di carne di che gli viene offerto alla fine."

"Si potrebbe parlare ore e ore di Rossellini, ma quello che ci tengo a dire è che in certo senso riduceva tutto all'essenziale, e questo mi ha spinto a fare la stessa cosa con film come Toro scatenato, Re per una notte e alcuni dei più recenti. L'ho incontrato una sola volta per caso in strada di Roma, era il 1970, ed era la mia prima visita in Italia. Ero con un uomo più anziano che era selezionatore di un festival di cinema, e stavamo proprio parlando di Rossellini quando ci apparve davanti. Parlammo per un po' e Rossellini mi disse che per lui l'istruzione era più importante dell'arte. Io gli dissi che il film era molto amato in America, ma lui dichiarò che proprio non gli interessava."

3. Umberto D.

Meraviglioso, credo che tra l'altro sia l'apice del neorealismo. Dopo questo film la situazione del filone stesso è cambiata. Umberto D. è un film incredibilmente lucido nel mostrare un cambiamento di rilievo nella società: prima le persone anziane erano rispettate e accudite, qui il protagonista è un uomo anziano abbandonato a se stesso. Di quello che fa Vittorio De Sica si nota anche come eviti il sentimentalismo, c'è la musica, il cagnolino. C'è un uomo anziano da solo per strada che ha bisogno di mangiare e usa il suo cane, una scena che altrove sarebbe stata utilizzata in maniera facilmente sentimentale, non è così qui, qui c'è più un... facciamo lavorare il cane"

4. Il posto

La locandina di Il posto
La locandina di Il posto

"Il distributore americano del film gestiva le migliori sale di New York, lo amò talmente tanto che il primo giorno decise che lo avrebbe proiettato senza far pagare il biglietto. Lo stile di Ermanno Olmi sembra sotto le righe, scarno; uno stile documentaristico alla John Cassavetes che lui adottò quando venne a New York, e che anche io sento molto vicino a me. Ne Il Posto c'è un tema particolare, questo ragazzo che entra in un mondo nuovo, la disperazione post bellica che è ormai superata, ma con essa anche le promesse della società a un certo punto svaniscono, e poi segue l'industrializzazione, e finisci a lavorare in fabbrica, e poi? Muori. Come se ci fosse un'umanità che viene tagliata fuori da tutto il resto. C'è un altro momento del film in cui c'è un uomo non particolarmente rilevante che ha un attacco di cuore in ufficio e muore. Le persone intorno a lui sono desolate, e Olmi fa una serie di tagli sul suo armadio, una dissolvenza, e poi le grucce senza più nulla appeso. Questo è lo stile che ho adottato per Toro scatenato."

Leggi anche: Martin Scorsese: la sua lista di 85 film da vedere per conoscere il cinema

5. L'eclisse

"In realtà il primo film vidi di Michelangelo Antonioni fu L'avventura e ho dovuto imparare a leggerlo. Ho avuto la fortuna di crescere nell'età d'oro del cinema, con tanti classici del cinema americano ed europeo. Io sono di solito sono scattante, energico, ma Antonioni mi ha insegnato a soffermarmi su delle inquadrature davvero incredibili. L'eclisse in questo senso è il suo film che mi ha segnato di più."

1962: Monica Vitti e Alain Delon sul set di L'eclisse
1962: Monica Vitti e Alain Delon sul set di L'eclisse

"Ho imparato a guardare il cinema guardando L'avventura più volte, studiandone il senso del ritmo e dello spazio. Per me era come l'arte moderna, all'epoca. Poi è possibile che io non capisca nulla di arte moderna. Lo scrittore Richard Price mi diceva; Marty, tu oltre la Madonna con bambino non puoi andare!"

Monica Vitti ne L'Eclisse di Antonioni
Monica Vitti ne L'Eclisse di Antonioni

"Antonioni usò lo spazio diversamente. La composizione è narrativa, la geometria delle inquadrature ci mostra l'alienazione, l'assenza di spirito, la mancanza di anima. Con la sua trilogia di film, L'eclisse, L'avventura, La notte, ha rivoluzionato il linguaggio cinematografico ed erano delle opere che non potevano che condurre a Blow-up e all'esplosione finale di Zabriskie Point."

Leggi anche: 15 film da vedere assolutamente per l'Eclissi di Luna

6. Divorzio all'italiana

Marcello Mastroianni in Divorzio all'italiana
Marcello Mastroianni in Divorzio all'italiana

"Lavorando a Quei bravi ragazzi mi sono ispirato a forma e contenuti di questo film. Mi ha ispirato il suo stile ma anche il suo umorismo, l'arguzia, persino il movimento della macchina da presa quando l'avvocato fa la sua arringa. Non lo rivedo da molto tempo, forse l'ultima volta è stata otto anni fa, ma ogni volta che lo vedo mi colpisce l'utilizzo a scopo di satira di tutti gli elementi, dal bianco e nero all'espressione di Mastroianni. Nella scena d'apertura si parla delle tante bellezze della Sicilia ma subito dopo entrano in gioco l'ironia e la verità, perché le cose che si dicono sono indubbiamente vere.

7. Salvatore Giuliano

Una scena di Salvatore Giuliano
Una scena di Salvatore Giuliano

"Il bandito che muore non è più un bandito ma un figlio, un figlio che la madre piange. Francesco Rosi mostra i fatti, eppure i fatti non sono necessariamente la verità. Le radici della corruzione vanno sempre più in profondità: le sofferenze del Sud, tanti anni di dolore. I miei nonni si trasferirono dalla Sicilia a New York nel 1910 e mi sono sempre chiesto come mai non si fidassero di nessuna istituzione."

"Le tradizioni del Sud, tutti quegli anni di eredità, furono per loro un peso eccessivo. Quando vidi Salvatore Giuliano non credevo ai miei occhi: in America veniamo cresciuti con l'insegnamento di non mostrare le emozioni, di non tirarle fuori. Questo è un film emozionante e intricato, con Rosi che stacca passando da un momento all'alto. Di Salvatore Giuliano vedi il suo corpo morto ma percepisci anche tutto quello che lo circonda. La storia diventa mito, il mito diventa storia."

8. Il gattopardo

Il Gattopardo mi ha senz'altro influenzato nel concepire L'età dell'innocenza, non c'è dubbio: in quel film volevo raccontare la qualità antropologica di quel tipo di vita altolocata, dal minimo dettaglio al macrocosmo sociale. Devo anche ammettere che la mia massima influenza per Toro scatenato, e questo vale anche per De Niro, fu un altro film di Visconti, Rocco e i suoi fratelli.

Alain Delon e Claudia cardinale ne Il gattopardo
Alain Delon e Claudia cardinale ne Il gattopardo

La sua opera coniuga l'impegno politico con l'opera, con un'idea di melodramma senza controllo, senza freni, senza vincoli. In questo film abbiamo un ritmo meditativo, molto fermo, ma le inquadrature non sono essenziali, sono sontuose, ricchissime. Ne Il gattopardo, dove si dice che "affinché tutto rimanga com'è, tutto deve cambiare", il principe Salina impara a doversi fare da parte, a sparire, fondamentalmente a morire. Ultimissima cosa che ci tengo a dire: Donnafugata è la città d'origine di mia nonna.

Leggi anche: Robert De Niro, le 10 migliori intepretazioni

9. Le notti di Cabiria

Giulietta Masina in Le notti di Cabiria di Fellini (1957)
Giulietta Masina in Le notti di Cabiria di Fellini (1957)

Il primo film di Federico Fellini che vidi fu La strada, in televisione, ma il finale di questo Le notti di Cabiria è una cosa incredibile, è una rinascita spirituale. Ho incontrato Fellini più volte nel tempo: nei primi anni '70, a metà dei '70, poi ancora negli anni nei '80 sul set de La città delle donne. Eravamo quasi arrivati a realizzare un progetto insieme, un documentario, o meglio quella che era la sua versione di quel documentario, ma purtroppo poi ci ha lasciato. Probabilmente sarebbe stato un documentario alla Fellini! Quando cerco le location per un film a volte mi capita di fermarmi in un posto solo perché vicino c'è un buon ristorante, esattamente come faceva lui.