Approdato all'attenzione della critica vent'anni fa con Festen, che gli valse il Premio della Giuria al Festival di Cannes e una consacrazione fra i nuovi talenti del cinema europeo, in tempi recenti Thomas Vinterberg è tornato alla ribalta grazie a Il sospetto, candidato all'Oscar come miglior film straniero nel 2012, Via dalla pazza folla e La comune. È un progetto molto diverso, e produttivamente ambizioso, la sua ultima fatica, Kursk, dramma che ricostruisce la vicenda dell'incidente all'omonimo sottomarino russo nel 2000, uno degli episodi più tragici della Russia contemporanea.
Girato in lingua inglese e interpretato da Matthias Schoenaerts, Léa Seydoux, Colin Firth e dal grande Max von Sydow, Kursk è stato presentato domenica alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Di seguito vi riportiamo il nostro incontro con Thomas Vinterberg, che all'Auditorium ha partecipato alla conferenza stampa di Kursk, ma ha parlato anche della sua filmografia in generale.
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Thomas Vinterberg e la tragedia del Kurks
Com'è stato coinvolto nel progetto di Kursk?
Matthias Schoenaerts mi ha offerto questo script proponendomi di dirigere il film, e leggendolo vi ho trovato tante tematiche legate al mio cinema: la famiglia, la giustizia, l'essere umano contro la burocrazia, l'indignazione politica, l'amore e la perdita. Mi sono ispirato a pellicole come U-Boot 96, Il cacciatore e poi al cinema di David Lean, che combina l'umanità e la maestosità.
Quale approccio avete scelto di adottare per realizzare un film basato su avvenimenti reali?
Kursk mescola finzione e realtà. Non sappiamo esattamente cosa sia accaduto nel sottomarino, ma per il resto abbiamo un'ampia documentazione e numerose testimonianze, e ho svolto moltissime ricerche. Al centro della scena volevo che ci fosse un protagonista che rappresentasse idealmente tutti i padri di famiglia, e nel crearlo ci siamo spinti nel campo della finzione. Non ho incontrato le famiglie dell'equipaggio del Kursk, ma volevamo comunque esprimere il massimo rispetto per loro e rendere onore alle vittime, senza però mettere in mostra le loro storie private; per questo abbiamo dovuto creare personaggi fittizi, seguendo un approccio già alla base di Salvate il soldato Ryan.
Come mai la famiglia è un elemento così ricorrente nei suoi film?
Sono sempre stato attratto dalla ricchezza e dalla complessità delle strutture familiari: forse perché sono cresciuto all'interno di una comune, in un ambiente molto anticonvenzionale. E un set è un po' come una grande famiglia: per un certo periodo, si sta tutti incredibilmente vicini l'uno all'altro. Anche Dogma 95 era una famiglia; e nei miei film voglio continuare ad esplorare le famiglie.
Un altro tema molto presente nel suo cinema, e anche in Kursk, è lo sguardo dei bambini sul mondo degli adulti: perché?
Quello dei bambini rappresenta uno sguardo innocente su un mondo corrotto, capace di esprimere anche la rabbia contro l'ingiustizia. Con Kursk voglio lanciare loro un incoraggiamento a lottare per l'umanità: la purezza di un bambino è la nostra forza per il futuro. E io cerco sempre di ritrovare questa purezza, è ciò che mi attrae maggiormente nelle persone.
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Da Dogma 95 alla Russia di Putin
Ha elaborato un suo giudizio sulla vicenda del sottomarino Kursk?
Più che altro, volevo immaginare cosa sia accaduto a quelle persone nella loro corsa contro il tempo: la mia intenzione era quella di descrivere personaggi colti in situazioni particolari. Inoltre in Occidente c'è un maggiore individualismo, mentre in Russia il punto di vista è diverso: è un paese caratterizzato da un senso di comunità che lo pone in un'altra prospettiva. È anche vero che in ogni parte del mondo abbiamo esempi di brutalità da parte dello Stato. Comunque sono curioso di vedere quale accoglienza riceverà il film in Russia.
Da cosa è dipesa la scelta di non far comparire Vladimir Putin all'interno del film?
Su internet circolano voci che parlano di intimidazioni politiche: sono solo stronzate, è stata una decisione artistica. Volevo realizzare un film sull'umanità, non un'invettiva contro una figura politica, e inoltre non conosciamo la realtà su un possibile coinvolgimento di Putin.
Insieme a Lars von Trier, lei è stato il padrino del manifesto Dogma 95: che bilancio può trarre di quella breve esperienza?
Oggi sono molto lontano da Dogma 95. A quell'epoca cercavamo la verità nel cinema: volevamo spogliarlo, ribellandoci contro il suo conservatorismo. Ma in seguito, nel 1998, Dogma 95 divenne una moda, ecco perché ho deciso di abbandonare quel movimento. Cerco comunque di raccontare la fragilità umana, a prescindere dalla forma cinematografica adoperata.
Da cosa è dipesa la scelta di Colin Firth per il ruolo del comandante David Russell?
Colin Firth ha una parte fantastica! Da diversi anni volevamo lavorare insieme: ha talento, umiltà e integrità, è stato un sogno poterlo dirigere. Il suo personaggio è il vero eroe del film, ed è stato commovente vedere Colin parlare con il vero David Russell. Ingaggerei Colin Firth perfino per un ruolo femminile!