They Talk: Location e suoni per creare un horror all’americana

They Talk, il film di GIorgio Bruno in uscita il 28 luglio, ha la storia di un classico film horror americano: quello che sorprende è che sia stato girato interamente in Calabria.

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They Talk: Rocío Muñoz Morales in una scena del film

"Facciamo un segreto?". È la voce di un bimbo, cantilenante, una di quelle voci che, se le senti all'inizio di un horror, ti gelano il sangue, a introdurre They Talk, il nuovo film di Giorgio Bruno, prodotto da Massimo Di Rocco, Luigi Napoleone, Pier Francesco Aiello, una produzione Bartlebyfilm e Pfa Films con Vision Distribution in uscita nelle sale il 28 luglio distribuito da Vision Distribution. They Talk è un horror puro. La storia segue i movimenti e il lavoro di una troupe cinematografica che sta girando un documentario su un massacro. È una di quelle storie di cui si sanno alcune cose, altre sono delle leggende, e si cerca di creare un documentario ad effetto. Mentre stanno registrando, però, il tecnico del suono comincia a sentire delle voci. Sembra un brusio indistinto, un fischio che gli arriva all'orecchio. Eppure, rientrato a casa, comincia a lavorare su quei suoni, li isola dallo sfondo. Li pulisce. E comincia a sentire, piuttosto distintamente, delle voci. "Oscurità... il Male... Intorno a te". È come se, dal passato, tornassero delle forze misteriose. Qualcuno che vuole parlare. Ma vuole parlare proprio con lui.

È la Calabria, ma sembra l'America

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They Talk: un'immagine del film

È il classico inizio di una trama da film horror. Quello che è sorprendente, in They Talk, è che il film sia stato girato interamente in Calabria, grazie all'apporto della Regione e della Fondazione Calabria Film Commission. E arriva nelle sale in un momento in cui, in streaming, è uscito un altro horror alla calabrese, A Classic Horror Story. Ma se quel film (tra l'altro, per motivi produttivi, girato in Puglia) poneva più volte l'accento sulla sua ambientazione calabrese, nei dialoghi come in alcune leggende del folclore locale e alcuni accenni alla 'ndrangheta, il film di Giorgio Bruno si muove in una direzione diametralmente opposta. La sfida era quella di rendere credibile un film dall'ambientazione americana girandolo in Italia. Tutto il lavoro fatto da Bruno e dal suo film, allora, è andato in quella direzione. E il risultato è evidente.

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Se il Parco Nazionale della Sila diventa il Nord America

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They Talk: una sequenza del film

Guardando They Talk sembra davvero di stare in America, un'America montana e boscosa, spesso innevata, in uno di quegli stati del nord che abbiamo spesso visto al cinema. A un certo punto, a lato della strada, spunta un cartello che introduce all'immaginaria cittadina dove si svolgono i fatti, e che si chiama Twin Lakes, con la classica scritta "welcome to...", un chiaro omaggio a quella città che si trovava, in un famoso serial, nello stato di Washington, ai confini con il Canada. Sui "laghi gemelli" torneremo dopo. Ma questo è per dire quanto naturalmente la Calabria, in particolare il Parco Nazionale della Sila, sia diventata un classico e riconoscibile scenario degli Stati Uniti. I boschi fatti di alti e fitti abeti, ancora meglio se spolverati di neve, ci portano in un ambiente come la provincia nordamericana che a noi è familiare. E dove può essere ambientata la tipica storia del terrore americana. E americana, in un certo senso, vuol dire universale.

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They Talk: una scena del film

Il lavoro sugli interni

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They Talk: una foto dal set

In questo modo, come ha raccontato il regista Giorgio Bruno, lui e lo scenografo Pasquale Tricoci hanno dovuto lavorare pochissimo sugli esterni, che erano già perfetti e pronti all'uso, e si sono concentrati di più sugli interni. È sempre un esterno l'ingresso di un locale che, grazie a un'insegna al neon, diventa immediatamente un diner americano. Ma gli interni sono, in generale, molto giocati sul legno, usato soprattutto per il rivestimento delle pareti, e per i tavoli, sia nelle abitazioni che nei locali. Nella casa del protagonista, ci sono degli sci appesi alle pareti, insieme a delle vecchie bobine che evocano il suo lavoro, il cinema.

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L'orfanotrofio e quel senso di abbandono

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They Talk: Jonathan Tufvesson, Rocío Muñoz Morales in una scena del film

E poi ci sono dei locali speciali, che sono il centro della storia. L'orfanotrofio che rimanda all'infanzia del protagonista, è suggestivo sia negli interni che negli esterni. Gli interni sono caratterizzati da muri grigi, scrostati, da letti arrugginiti e detriti sparsi ovunque, per un luogo che evoca un senso di abbandono che non è solo dovuto al tempo: lo immaginiamo in degrado già quando era in attività. Corridoi che sembrano non finire mai e una fotografia che gioca su toni desaturati, con le luci provenienti da fuori che tagliano l'ombra e che fanno il resto. Anche gli esterni scelti per raccontare l'orfanotrofio sono quelli di una struttura imponente, incombente, dalle scale lunghissime e il suolo costellato di foglie secche. Delle scritte con lo spray sulle colonne e il portone di legno regalano alla location un ulteriore senso di degrado.

Quel ponte tra i laghi gemelli

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They Talk: Jonathan Tufvesson in una scena del film

E poi ci sono quei Twin Lakes, quei "laghi gemelli", che in realtà è un lago diviso in due da una diga, un luogo che, ripreso di notte e con la nebbia, appare molto suggestivo. Non è solo un luogo molto cinematografico. È anche simbolico. Perché quel lungo ponte che separa le due parti del lago, lunghissimo da percorrere, sembra perfetto per dividere due mondi, e per essere allo stesso tempo una porta fra due realtà opposte: vita e morte, Bene e Male, presente e passato. A proposito di nebbia, il regista ha voluto omaggiare il John Carpenter di Fog, così come la carrellata iniziale tra le lapidi è un omaggio a Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci.

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Il lavoro sui suoni

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They Talk: Margaux Billard, Jonathan Tufvesson in una scena del film

Ma un altro elemento chiave del film sono i suoni. Quel lavoro certosino sui suoni registrati, sulla ricerca delle parole, ci ha fatto venire in mente altri film dove l'audio è stato un elemento importante, come La conversazione di Francis Ford Coppola o Blow Out di Brian De Palma. Per un film che ha come protagonista un tecnico del suono il lavoro sul sound design è stato molto importante. E They Talk lavora su due registri. Uno sono delle voci di bambini, nitide, pulite, che arrivano in qualche modo dal passato, spesso nei sogni, e proprio per quel loro tono acuto, inserito nel contesto di un incubo, e di un horror, suonano inquietanti. E poi ci sono le foto che arrivano nella realtà, che vengono registrate dagli impianti audio, e poi processate. È un lungo lavoro di svelamento, che parte da quelli che sembrano essere solo rumori di fondo, brusii, interferenze, e che, una volta puliti e fatti emergere, irrompono nella loro natura inquietante. Sono voci da adulto, cupe, ombrose. Attenzione, non sono le voci mostruose che ci si aspetta in un horror. Sono piuttosto delle voci lontane, spezzate, stanche. Non sono le voci di mostri, ma di uomini e donne che stanno da un'altra parte. Il suono e le location sono gli elementi chiave per un horror all'americana, che però è nato interamente qui da noi.