The Bear 2 è un manuale di sopravvivenza emotiva

Every second counts, ogni secondo conta: come nello sport che spiega la vita, la seconda stagione di The Bear ci spinge ad essere persone migliori. Un parallelo che raccontiamo nel nostro approfondimento.

The Bear 2 è un manuale di sopravvivenza emotiva

Più di Chicago, più dei piani sequenza, più della soundtrack, più dei personaggi. The Bear è una grande serie - nell'apoteosi corale della seconda stagione, che completa la folgorazione dei precedenti otto episodi - perché asseconda un leitmotiv ben preciso, seguendo la narrazione della retorica sportiva, fin dalla tagline scarabocchiata su una lavagna: every second counts. Ogni secondo è fondamentale. In cucina, in campo, nella vita. Sempre. Ogni secondo conta, perché la corsa di Carmy Barzetto - e Jeremy Allen White in questo momento potrebbe essere tra i cinque più grandi attori di Hollywood - e della sua squadra (a proposito di sport) non è solo invenzione narrativa, bensì una sorta di manifesto sul credere in se stessi anche quando finisco i secondi.

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The Bear 2: una foto di scena

Una serie tv che ci spinge ad essere delle persone migliori, aprendoci ad un mondo esterno, accettando il dolore come l'amore, e dunque abbracciando quella consapevolezza necessaria affinché venga centrato l'obbiettivo. Nessun uomo è un'isola, scriveva qualcuno. Nessuno chef può ambire alle stelle (qualora contassero davvero) senza avere un'anima capace di addomesticare la rabbia, sfruttandola invece come combustile, come ingrediente segreto. Allora, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, e come approfondiamo in questo articolo, The Bear 2 parte dalla muffa e finisce nel tripudio, sottolineando l'evoluzione del gruppo, più che dei singoli.

Jeremy Allen White come Al Pacino...

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The Bear 2: un momento della serie

Creata e diretta ancora da Christopher Storer (ma la regia è alternata con Joanna Calo) per Hulu (come sapete in Italia interamente disponibile su Disney+), la seconda stagione è una sorta di manuale di sopravvivenza alla vita, seguendo logiche invertite, rompendo lo status quo. Una ramificazione tanto personale quanto collettiva. Così, l'avventura culinaria di Carmy, di Sydney (per Ayo Edebiri vale lo stesso discorso fatto per Jeremy Allen White), di Richie (Ebon Moss-Bachrach), di Marcus (Lionel Boyce, e qui trovate la nostra video intervista), di Tina (Liza Colon-Zayas) e di tutto lo staff del The Beef, è un microcosmo in cui potersi riconoscere, in cui potersi rispecchiare. In cui potersi capire.

Un'analisi schietta e ritmata come l'ondulazione jazz che mischia i lividi, i ricordi, le urla, il profumo della pasta fatta in casa. Un collettivo strampalato diventato famiglia, perché in uno slancio azzardato, per un paragone ancora più assurdo, il senso di The Bear 2 lo ritroviamo nel leggendario discorso di Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica, emblema tra gli sport movies. Un parallelo riassunto in una frase: "... o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente". Questo è The Bear, questa è la cucina del The Beef, questa è la metafora che districa la matassa, legando al nostro polso - e a quello di Carmy - il filo della perseveranza. O tutti insieme, o si crolla.

The Bear - Stagione 2, centimetri e secondi

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The Bear 2: una scena

Una dimostrazione tangibile: non c'è nulla di più schietto se non lo sport per delineare e semplificare concetti astratti, che in The Bear diventano accessibili e fluidi. Racconto sublime, immagini che scapigliano, smorfie e sorrisi. I secondi che passano, e noi che proviamo a metterceli in tasca. Il tempo non si ferma, le settimane passano: il goal (del resto questo è uno sport, no?) che si avvicina pericolosamente. Come la sveglia che suona nel bel mezzo di un sogno, come l'arbitro che fischia durante un contropiede. Perseveranza e collettivo, cucina e sudore, crepe e motivazioni: riusciranno a smussare i debiti? Il The Beef riuscirà a risorgere? Per questo, al contrario del one-man-show della prima stagione, la seconda si allarga come fosse olio in fondo al piatto: Carmy è il collante, la luce accesa, lo sbaglio che rende migliori.

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The Bear 2: una scena della serie

Carmy è cambiato, ma è sempre lui: t-shirt bianca e collana d'oro, occhi tristi e parlantina veloce. Il capitano che alza il trofeo vinto dalla squadra. E il cambiamento passa verso l'accettazione, e la riscoperta. La riscoperta di un vecchio amore (il personaggio di Claire, interpretata da Molly Gordon, rappresenta il passato che non ci fa dormire la notte), con cui andare ad una festa, scappando poi via in quel rifugio che sta prendendo forma, plasmato dalle ceneri di un fantasma chiuso in un armadietto. Attorno a lui una collettività che diventa centro: Sydney, razionale nella sua istintività, che rompe le regole della cucina come Mike "Coach K" Krzyzewski rompeva le regole del basket. Solo sbagliando si cresce, solo sbagliando si migliora. Insomma Sydney, ragione e meticolosità, la vita spiegata in un piatto frainteso. Personaggio straordinario.

The Bear 2, Lionel Boyce: "Il segreto del successo è fare molti errori"

E c'è Marcus, che per i suoi dolci ha bisogno d'aria. Ha bisogno di alzarsi dalla panchina, per risolvere una partita giocata punto a punto, seguendo l'ispirazione di un viaggio a Copenaghen. Oppure il "cugino" Richie, che conta fino a dieci prima di parlare, perché le sue emozioni sono talmente spiegazzate da renderle indistinguibili. Senza scordare Tina, che parla più con lo sguardo che con la bocca: sostanza, saggezza, sacrificio, il "centimetro guadagnato" a cui ambiva Tony D'Amato alias Al Pacino nel film di Oliver Stone. Dunque, come in The Bear, come nello sport che schiarisce la vita: centimetri e secondi, il bilanciamento di "un caos ragionato" in cui poter cadere per poi rialzarsi. Ricominciando dall'inizio come fossimo principianti. Con l'umiltà che possiedono solo i migliori. Every second counts