Saw: Game Over!

Si chiude con 'Saw 3D' il torture porn più longevo del cinema. Quali sono gli aspetti che ne hanno fatto la fortuna richiamando milioni di fan in tutto il mondo, e fino a dove avrebbe dovuto spingersi il mitico Enigmista?

Saw 3D rappresenta il capitolo finale della saga horror più famosa dell'ultimo decennio, ma, al di là del ruolo funzionale di chiusura di una serie ormai satura ma sempre da brividi, gioca come può la sua parte e, volendo usare un linguaggio caro ai fan del franchise, più di ogni altro film riduce tutto a un funereo "game over". Peccato anche per l'uso non poprio soddisfacente della tecnologia tridimensionale, che avrebbe potuto rendere lo slasher più sanguinolento della nostra epoca un cult eccezionale. Le atmosfere cupe, le storie di personaggi ambigui e i momenti che fanno accapponare la pelle anche stavolta non mancano, ma sembrano tasselli di un puzzle che, una volta definito, fanno rimpiangere l'assenza del vero protagonista della saga, l'Enigmista. Non è un caso infatti che questo settimo capitolo risulti uno dei meno efficaci insieme agli ultimi, quelli in cui manca quasi del tutto la mente che sta dietro al "Vivere o morire, fai la tua scelta". I complici e gli eredi che si sono alternati a raccogliere il suo cinico testamento filosofico non si sono rivelati all'altezza del maestro, villain impeccabile e indimenticabile star dell'horror del terzo millennio. Dietro i loro progetti diabolicamente infernali sono svaniti quei giustificazionismi che facevano di Jigsaw, alias Tobin Bell, un giustiziere immorale ma efficace: vendette e scaramucce personali infatti non possono sostenere la tensione e il ritmo del circuito a ostacoli mortali. Non valgono più i messaggi da incubo recapitati dal piccolo clown su due ruote, non fanno più paura le maschere suine sbucate dal niente, non c'impressionano le vestaglie rosse nel buio: come un castello di carte tutto crolla definitivamente, tornando indietro, fortunatamente, al "pioniere" low budget di sei anni fa, che resterà impresso nell'immaginario degli amanti dell'orrore puro ma macchinoso.

Per comprendere le ragioni del successo del fenomeno Saw occorre cercarle nelle epiche radici del male, quando, nel 2004, quelle sensazioni di terrore, di panico e d'impotenza catturarono nei 100 minuti più raccapriccianti dell'anno le emozioni degli amanti del genere. Sorprendente e originale, Saw - L'enigmista fu ideato e diretto dal giovanissimo e talentuoso esordiente James Wan e spiazzava completamente il pubblico scaraventandolo prepotentemente sotto il gelido neon di un bagno lurido che presto si sarebbe trasformato in uno scenario da grand guignol. Lo spettatore diventava suo malgrado sguardo passivo dei meschini giochetti di uno psicopatico, che voleva uccidere le sue vittime torturandole con rompicapo complessi e apparentemente privi di senso. Gli enigmi del protagonista logoravano nel countdown letale i personaggi intrappolati amplificando quel claustrofobico effetto di suspense voyeuristica, che con le dovute distanze, era già stata rodata da Hitchcock in film come La finestra sul cortile. Spazi limitati e protagonisti in serio pericolo coinvolgevano emotivamente lo spettatore già provato dalle sequenze di un omicidio truculento e grandguignolesco, secondo la migliore tradizione dell'exploitation. Voyeurismo e masochismo venivano a galla, tra i fiotti di un sangue denso e lo sguardo agghiacciante del fantoccio umano dell'Enigmista, presente sulla scena del crimine fin dall'inizio. Wan aveva fatto la sua scelta, giocandosi con energia e pochi quattrini (circa un milione di dollari) un preziosissimo ed esplosivo potenziale visivo e narrativo già testato nell'omonimo cortometraggio precedente al film e capace di macinare riferimenti pulp e thriller; l'Enigmista, allora ancora avvolto dal mistero, aveva fatto le sue scelte, lanciando in un incredibile videogame dell'orrore i bersagli umani più adatti; il grande pubblico aveva fatto la sua scelta restando di ghiaccio dopo il finale scioccante, così come anche i produttori, intravedendo nella pellicola un promettente franchise che avrebbe sbancato i botteghini.
Il brillante cliffhanger finale, che oggi farebbe storcere il naso ai cinefili avveduti che temono la storia infinita della serialità cinematografica contemporanea, lanciava una sfida artistica e produttiva, si preparava a rispondere alle curiosità degli spettatori sull'Enigmista e sulle sue motivazioni e gettava un progetto fuori dagli schemi nel calderone del mainstream. Saw 2 - La soluzione dell'enigma, affidato stavolta a Darren Lynn Bousman, che si occuperà anche dei successivi due sequel, rafforza quegli elementi stilistici che avevano fatto del capitolo primo uno strepitoso cult, ma stratifica i piani tematici accumulando argomentazioni morali che indeboliscono la presa. Nonostante il rincaro ambizioso degli sceneggiatori (Wan è ancora dietro le quinte), il film, più violento e feroce, riesce a mantenere quella continuità necessaria con il capostipite: nell'intreccio si delineano meglio le psicologie delle vittime, nei dialoghi si moltiplicano i sadici inganni e si affinano le perversioni dell'Enigmista con gabbie e trappole ben più brutali. Grazie a questi stratagemmi, programmati come i folli cronometri del protagonista, il successo è assicurato. E il pubblico vuole altro pulp e altri macelli con cui giocare in sala.
Con i successivi Saw III - L'enigma senza fine e Saw 4 lo schema narrativo diventa un percorso stringato che gli spettatori seguono come criceti già allenati: il giochetto dell'Enigmista che chiude in trappole sempre più perfide le sue vittime cattive è ormai risaputo. Quello che riesce ancora a sorprendere è l'astuzia artistica degli effetti speciali: le diavolerie che stritolano, che segano, che maciullano i corpi diventano marchingegni sofisticati che grondano sangue e carne a quintali e attanagliano come morse rinsaldate. Viene compiuto il passo irreversibile verso il gore truce per soli stomaci forti mentre l'appello agli istinti primordiali di sopravvivenza si equilibra con l'involuzione fisica del nostro vile supereroe, che conserva una spietata freddezza disumana anche di fronte alla malattia terminale. La serie, collaudata nella formula dell'horror da scosse elettriche, rischia di consumarsi proprio dall'interno privandosi pericolosamente del protagonista e tentando la sorte con una scommessa che poche altre opere letterarie e cinematografiche hanno vinto. A minacciare il flop si aggiungono anche il registro visivo, lontano da quello asettico di Saw - L'enigmista e più vicino al videoclip da hard rock, e un'insistenza spasmodica e posticcia, che diventerà quasi maniacale, sull'uso dei flashback a oltranza. Una debolezza fatale, questa, che minerà definitivamente Saw V, il meno riuscito della saga, in cui gli agganci narrativi improbabili verranno proprio dagli orpelli tecnici, complice probabilmente l'assenza dell'ideatore originale della serie. Con l'assenza del vero Enigmista e il passaggio di testimone al sadico Detective Hoffmann, discepolo singolare con cui si tenta un'inversione di rotta nella tendenza moralistica ma anche un riciclaggio quasi cormaniano della materia, le mutilazioni pornografiche restano i pochi aspetti stilistici riconoscibili della saga, sempre più tenebrosa.
Con Saw VI, che vede alla regia l'editor di Donnie Darko Kevin Greutert, l'usura della serialità non sfibra il film, che, merito di una regia meno scarna e più concentrata sui cromatismi, ritrova quello slancio vitale che aveva perso con i due capitoli precedenti. Il pubblico è ormai preparato alla messa in scena macabra e ai rituali diabolici, ma sa cosa aspettarsi: la storia e i personaggi soccombono all'esibizione dei corpi e alle loro tribolanti macinazioni. Lo sguardo è catturato dall'olocausto scioccante e il voyeurismo si guadagna spazio rispetto alle speculazioni artistiche: lo show violento della carne, che trasforma in devastati brandelli uomini e donne, che rivolta come calzini gli esseri umani, zombie viventi della nostra società, piace e non annoia mai. All'inizio era un "normale" splatter, poi ha subito contaminazioni slasher diventando un gore degenerato: è il Torture Porn, figlio del post 11 settembre e riflesso provocatorio e rigenerato di un cinema nato negli anni '70 con Herschell Gordon Lewis. Fermarsi qui o insistere, a noi la scelta.
Crediamo che al momento le trappole sono finite. Andate in pace!