Recensione Niente può fermarci (2013)

Commedia corale, romanzo di formazione, road movie, il regista attinge a diversi generi e dimostra di saperli maneggiare discretamente, riuscendo a rendere la partitura adatta al gruppo di giovani interpreti.

Provate a prenderci

L'ipotesi di passare un'estate potenzialmente esplosiva e piena di incontri emozionanti in una clinica specializzata per la cura di disturbi psichici di vario genere non alletta Augusto, Leonardo, Guglielmo e Mattia, che pure qualche problema ce l'hanno. Il primo è totalmente dipendente da internet e dalla tecnologia, il secondo soffre di disturbi ossessivo compulsivi, odia lo sporco e il contatto fisico; il terzo, bloccato dalla Sindrome di Tourette, mescola tic nervosi e turpiloquio e l'ultimo, ma non per questo meno importante, è un narcolettico. Cosa fare per evitare di sentirsi tagliati fuori dal mondo? Semplice, farsi forza per evitare di soccombere davanti alle proprie manie, rubare una macchina e andare a Ibiza, magari seminando i genitori spaventati dal colpo di testa dei propri figli e trovando il coraggio di diventare uomini. Nella lunga strada verso la Spagna, i quattro moschettieri trovano una vera Regina, autostoppista in fuga da un rapporto sentimentale ormai logoro, incontrano una dolce ragazza francese e il di lei padre, un omone amante del fucile, e una bravissima disc jockey che regalerà ad uno di loro un momento indimenticabile e darà l'occasione a tutti di mettersi in luce durante una festa sfrenata.


Ci sono film che non nascono per essere delle dissertazioni approfondite sui grandi temi della vita, anzi tentano un approccio più leggero ad argomenti importanti, rinunciando in partenza a qualunque tipo di dotta disquisizione. E' il caso di Niente può fermarci, gradevole opera prima di Luigi Cecinelli che attraverso le vicende dei quattro protagonisti racconta in maniera spiritosa il delicato passaggio dalla giovinezza alla vita adulta, un cambiamento ancor più difficoltoso per chi (come loro) è affetto da patologie psichiche più o meno gravi, venendo quasi 'marchiato' a vita. Il film si muove su un doppio binario; se da un lato approfondisce le dinamiche interne di un gruppo di fuggiaschi sui generis ( Emanuele Propizio, Federico Costantini, Vincenzo Alfieri, Guglielmo Amendola e Maria Chiara Augenti), dall'altro si dedica ai rispettivi genitori che, come il regista tiene a sottolineare diverse volte con simpatici siparietti, sono più ossessivi e compulsivi della prole che pedinano. Padri e madri di famiglia (Serena Autieri, Paolo Calabresi, Gianmarco Tognazzi e Massimo Ghini, tutti in parte) hanno l'età dalla loro parte, una maturità che li protegge dai (pre)giudizi degli altri, al pari della corazza data dalle proprie solide identità professionali; all'opposto i figli sono completamente fragili, inetti, per questo il loro compito (divertirsi e diventare grandi) si presenta più difficoltoso ma anche più stimolante, perché la loro crescita passa anche dal confronto, fisico ma non solo, con il mondo femminile.

Commedia corale, romanzo di formazione, road movie, il regista attinge a diversi generi e dimostra di saperli maneggiare discretamente, riuscendo a rendere la partitura adatta al gruppo di giovani interpreti, tra i quali spicca per forza di cose il bravo Vincenzo Alfieri, affetto da sindrome di Tourette e quindi titolare dei momenti più divertenti del film. Cecinelli azzecca il tono del racconto, un misto di spensieratezza e nostalgia, fa sorridere senza ricorrere ad automatismi troppo facili e ammanta la storia con una tenerezza di fondo che ne rende accettabili alcuni passaggi narrativi superficiali. Perché le battute d'arresto ci sono eccome; in certe situazioni tirate via, ad esempio, con la presenza di alcuni personaggi (Gloria, il sogno erotico di Guglielmo o la Monique che fa battere il cuore di Augusto) che non hanno una dimensione ben precisa e che non influiscono in maniera decisiva sulla storia, come del resto il segmento dedicato all'incontro con il burbero dal cuore d'oro, Gérard Depardieu, e in una scrittura generale che ad un soddisfacente sviluppo dell'intreccio, preferisce le caratterizzazioni esagerate dei protagonisti. Anche la situazione di partenza sembra quasi paradossale, un ricovero in una clinica psichiatrica (Villa Angelika, sic!) che somiglia tanto a una vacanza, se si eccettua per la presenza di medici che naturalmente sono più malati dei loro pazienti e sono del tutto inadeguati a curarli. Alla fine se il disagio dei quattro giovanotti non può essere superato, una "serena" accettazione del problema diventa per tutti loro lo scatto fondamentale per andare avanti; è la vita vera con le sue sfide a guarire le malattie, a far smettere di essere figli. E' la vita che li spinge a non aver paura di amare e a diventare protagonisti sul serio. Il messaggio arriva forte e chiaro.

Movieplayer.it

3.0/5