Recensione Gangster Squad (2013)

In Gangster Squad c'è il sapore e il mood del gangster movie anni '40, la fascinazione per l'epica degli anti-eroi criminali e dei loro oppositori, l'eterno affresco di bene e male che si mescolano, e che concorrono a creare l'epopea grandiosa di una nazione.

Trincea metropolitana

Los Angeles, 1949. Le ferite del conflitto mondiale appena concluso sono ancora aperte, ma nell'America postbellica c'è un'industria che non ha mai smesso di fare utili: il crimine organizzato. Nella Città degli Angeli, in particolare, è in vorticosa ascesa la figura di Mickey Cohen: ex pugile, re del gioco d'azzardo e del traffico di droga, personalità instabile e con l'ambizione di ampliare a dismisura il suo potere, ponendo sotto il suo controllo la politica e l'economia della città. Cohen ha già piazzato i suoi uomini di fiducia nella polizia, tra i politici locali e i giudici, ma la sua ambizione senza limiti lo porta ad azioni sempre più brutali; tra i pochi ad opporglisi, il capo della polizia Bill Parker, che decide che è giunta l'ora di agire. Parker si rivolge infatti al Sergente John O'Mara, ex veterano, per mettere insieme una squadra segreta che possa annientare definitivamente Cohen e le sue attività. Il gruppo di O'Mara dovrà agire inevitabilmente nell'ombra, fuori dalla legalità, combattendo il gangster sul suo stesso terreno. Il sergente, rimasto un guerriero nell'anima, accetta l'offerta e inizia ad assemblare la sua squadra, gettandosi anima e corpo nella guerra contro Cohen.


C'è il sapore e il mood del gangster movie anni '40, in Gangster Squad, la fascinazione per l'epica degli anti-eroi criminali e dei loro oppositori, l'eterno affresco di bene e male che si mescolano, e che concorrono a creare un'epopea grandiosa e innervante tutti i centri vitali di una nazione. Dal punto di vista scenografico e della ricostruzione d'ambiente, così come da quello dell'atmosfera che si respira per le strade di una Los Angeles insieme sordida e scintillante, il film di Ruben Fleischer è inattaccabile: auto di lusso e belle donne, locali alla moda e mortali seduzioni, vicoli nascosti in cui si aggirano sbirri disillusi, boulevard immersi nell'ombra che fanno da teatro ai peggiori crimini. L'immaginario che abbiamo imparato a conoscere ed amare da decenni di letteratura e cinema noir, dai romanzi di Raymond Chandler (e più tardi di James Ellroy) e dai film con Humphrey Bogart e James Cagney, è riproposto e rimesso a nuovo, con una lucidatura estetica che non disturba ma anzi lo aggiorna e gli regala forza. Fosse solo per la mezz'ora iniziale, si sarebbe tentati di gridare al capolavoro per il film di Fleischer: per come inizia a delineare lo scontro tra un Josh Brolin combattuto tra i doveri di famiglia e quelli di nemico del crimine, e uno Sean Penn la cui recitazione sopra le righe (ma ci riserviamo di risentirlo in lingua originale) dà una coloritura mefistofelica al suo Mickey Cohen. E inoltre per come delinea, tra i due poli opposti, la figura del cinico sergente Jerry Wooters di Ryan Gosling: figura di poliziotto che "ne ha viste tante" ed è deciso a tenersi fuori dai giochi, ma sarà convinto a tornare sulla sua posizione dalla tragica fine di un innocente.

Nel suo prosieguo, tuttavia, la sceneggiatura di Will Beall (tratta da alcuni racconti di Paul Lieberman che a loro volta prendevano spunto - con molte libertà - da eventi reali) inizia a mostrare la corda. Nella fase dell'assemblaggio della squadra, diventa subito evidente che non solo siamo lontanissimi (e questo è comprensibile) dai territori dei vari Brian De Palma e Michael Mann, ma anche da quelli più di maniera, ma comunque pieni di vigore, del Gavin O'Connor di Pride and Glory - Il prezzo dell'onore. C'è una certa debolezza nella descrizione dei personaggi, figurine che non si avvicinano alla statura tragica di eroi che fronteggino un impero criminale, ma soprattutto una dissociazione di fondo tra i loro intenti e ciò che vediamo rappresentato sullo schermo: una squadra messa insieme per agire fuori dalla legge che segue modalità insolitamente politically correct, sparando alle gambe dei prigionieri ed evitando sapientemente gli omicidi. Stride abbastanza la rappresentazione grafica, brutalmente realistica, dei crimini di Cohen, contrapposta alle azioni del gruppo guidato da O'Mara/Brolin, il cui "lavoro sporco" (inevitabilmente presente) viene costantemente lasciato fuori campo. E, in questo senso, non si riesce a prendere sul serio i dubbi esistenziali del protagonista, espressi in un dialogo con l'esperto di elettronica Giovanni Ribisi, quando si domanda (viene da dire a sproposito) "cosa mi differenzia da Cohen". Altrettanto poco credibile risulta la storia d'amore tra il personaggio di Gosling e la ragazza del boss Emma Stone, portata avanti debolmente, e ridotta a mero pretesto per gli sviluppi narrativi dell'ultima parte.
Tuttavia, se questo Gangster Squad si rivela presto carente sul piano narrativo, va detto che riesce comunque a tenere più che bene su quello dell'intrattenimento. Fleischer, già regista dei divertenti Benvenuti a Zombieland e 30 Minutes or Less, sa dirigere e si vede: alcune sequenze restano impresse per la loro ottima costruzione, e tra queste va annoverata senz'altro la lunga e divertente sparatoria finale. Il regista sembra a suo agio nei territori intimamente noir della Los Angeles di fine anni '40, e rende bene nella messa in scena il climax organizzato (sia pure un po' rozzamente) dalla sceneggiatura. Certo, con un cast come quello vantato dal film (ai "pezzi da novanta" già citati, si aggiunge Nick Nolte nel ruolo del capo della polizia Parker) era forse lecito attendersi una sceneggiatura che sapesse valorizzare meglio un tale patrimonio: ne avrebbe senz'altro giovato il film nel suo complesso. Ma, una volta digeriti e assimilati i limiti fisiologici dell'operazione, che inevitabilmente la allontanano da una rilettura "alta" del genere, si riesce senza grossi problemi a lasciarsi trasportare dal buon ritmo e dall'ottima messa in scena.

Movieplayer.it

3.0/5