Recensione Asterix e Obelix al servizio di sua maestà (2012)

Questo quarto capitolo della saga live action dedicata alla mitica coppia di Galli non sembra riuscire a perseguire un disegno coerente, oscillando in maniera interdetta tra passaggi più ingenui e cartooneschi, rivolti a un pubblico dichiaratamente infantile, e tentativi di allusione a spettatori maggiormente adulti.

Due Galli alla corte di Britannia

Dare forma e consistenza corporea a un fumetto o a un cartone animato non è per niente un'impresa semplice, soprattutto quando a essere oggetto di una trasposizione live action è un universo di fantasia iperbolico e grottesco, che si colloca dichiaratamente il più lontano possibile da una rappresentazione realistica. È il caso delle avventure di Asterix, con le quali i geniali René Goscinny (ai testi) e Albert Uderzo (ai disegni) hanno avuto addirittura l'ardire di sconvolgere la storia antica, reinterpretando il De bello Gallico a uso e consumo del popolo francese in un'esilarante versione parodistica, dove le inebetite armate romane di Giulio Cesare sono sconfitte nientemeno che da uno sparuto villaggio gallico, guidato dallo scaltro condottiero Asterix e dal suo sempliciotto ma erculeo compagno, Obelix. Correva l'anno 1959, e dopo la pubblicazione del primo episodio di Asterix il gallico il mondo delle "bande dessinée" non è stato più lo stesso. Da allora si sono susseguiti ben trentaquattro albi e otto lungometraggi d'animazione, che hanno periodicamente rinverdito la fama della coppia gallica tra le nuove generazioni, rendendola una vera e propria istituzione in patria (e non solo).


Soltanto all'alba del nuovo millennio però la cinematografia d'Oltralpe, potendo contare su un cospicuo sforzo produttivo e su effetti speciali sufficientemente all'avanguardia, ha deciso di cimentarsi nell'impegnativo compito di dar vita al mondo fantastico di Goscinny e Uderzo. Il risultato è stato Asterix e Obelix contro Cesare (1999) di Claude Zidi, il film più costoso mai realizzato in Francia fino a quel momento, in cui a vestire i panni dei due iconici protagonisti sono stati rispettivamente il sornione Christian Clavier e il gaudente Gérard Depardieu. Il successo internazionale del primo lungometraggio è stato persino sorpassato dal sequel Asterix & Obelix - Missione Cleopatra (2002) di Alain Chabat, dove a catturare la scena è soprattutto la conturbante regina d'Egitto incarnata dalla diva Monica Bellucci.
I segnali di declino della serie live action si intravedono tuttavia con il successivo Asterix alle Olimpiadi, girato in occasione dei giochi olimpici del 2008, nel quale Clavier viene sostituito dal più anonimo Clovis Cornillac per il ruolo del guerriero dal copricapo alato e dove a dominare sono in prevalenza scenette con protagonisti campioni dello sport transalpino come Michael Schumacher, Jean Todt e Zinedine Zidane. La parabola discendente prosegue con questo quarto capitolo cinematografico diretto da Laurent Tirard, Asterix e Obelix al servizio di Sua Maestà, che per la prima volta non è riuscito a incontrare nemmeno il favore del box office francese, nonostante si tratti del primo episodio delle avventure galliche a essere filmato in terza dimensione. Ancora una volta per impersonare Asterix viene scelto un nuovo interprete - il piuttosto insipido Edouard Baer - affiancato come sempre dall'inossidabile Gérard Depardieu, vero e proprio perno su cui poggia l'intera saga su grande schermo, entrato ormai in uno stato di perfetta immedesimazione con il suo panciuto alter ego.

La trama, che fonde insieme due albi storici (Asterix e i Britanni e Asterix e i Normanni), vede il mitico duo impegnato in trasferta nelle isole britanniche, giunto in soccorso della flemmatica regina Cordelia (una Catherine Deneuve che si diverte a imitare Elisabetta d'Inghilterra), il cui regno sta per essere invaso dalle truppe del vanaglorioso Giulio Cesare (un caricaturale Fabrice Luchini). Scortati dall'ambasciatore della regina Jolitorax (Guillaume Gallienne), Asterix e Obelix attraversano la Manica per offrire un rifornimento di pozione magica al popolo dei britanni, portandosi dietro anche il giovane inconcludente e scapestrato Goudurix (Vincent Lacoste) con l'obiettivo di trasformarlo in un vero uomo. Nel frattempo Cesare, seguendo il consiglio del sottoposto Megacursus (Niccolò Senni), decide di assoldare la brutale tribù dei Normanni, rozzi energumeni ossessionati dal fatto di non conoscere il sentimento della paura.
Com'è facile intuire, l'incursione gallica in territorio anglosassone non è che un pretesto per imbastire innocui siparietti che prendono bonariamente in giro i più tradizionali stereotipi sul popolo inglese - dal proverbiale self control dei perfetti gentiluomini alla cattiva fama in fatto di gastronomia, dalla passione per il rugby, all'abitudine di interrompere qualsiasi attività per prendere il tè alle cinque -, facendo ricorso ai consueti anacronismi e ai paradossi temporali (Londinium è costruita sulla falsariga della Londra contemporanea, con tanto di bus a due piani e giovani punk per le strade) che hanno da sempre contraddistinto la serie di Asterix. Un ruolo limitato rivestono invece gli strampalati Normanni, che rimangono una sorta di corpo estraneo rispetto alla storia principale, cui sono comunque affidate alcune tra le gag più gustosamente assurde e nonsense del film.

Per il resto la sceneggiatura di Grégoire Vigneron, abituale collaboratore di Tirard, non sembra riuscire a perseguire un disegno coerente, oscillando in maniera interdetta tra passaggi più cartooneschi e ingenui, rivolti a un pubblico dichiaratamente infantile, e tentativi di una comicità maggiormente adulta; tra elementi che richiamano all'attualità (le vicissitudini dell'indiano clandestino "senza papiro"), riferimenti a una latente omosessualità tra i due protagonisti, e l'ormai abusato citazionismo nei confronti di film come Guerre Stellari, Kill Bill, e Arancia Meccanica.
Tra una colonna sonora furbetta a base di pop-rock e il solito stuolo di partecipazioni d'eccezione (Jean Rochefort, Dany Boon, Valérie Lemercier), alcune delle quali durano appena lo spazio di una scena (come nel caso degli italiani Luca Zingaretti, Filippo Timi e Neri Marcorè), rimane davvero ben poco a imprimere consistenza e solidità al film; nemmeno una stereoscopia del tutto statica e accessoria. Laurent Tirard, che era stato capace di calarsi nella realtà dell'infanzia con il suo precedente Il piccolo Nicolas e i suoi genitori, qui non riesce a trovare la giusta dimensione e risulta come spaesato in mezzo a un simile gigantismo produttivo. Non c'è da biasimarlo; d'altronde è impresa non da poco rendere su grande schermo la vena ironica e dissacratoria delle tavole originali di Goscinny e Uderzo...