Guerre impossibili: perché Christopher Nolan e Dunkirk meriterebbero l’Oscar

L'opera decima del regista londinese ricrea alla perfezione lo smarrimento, la paura e la speranza di cui è fatto un conflitto bellico. In occasione dell'arrivo del film su Infinity tv e in vista degli imminenti Academy Awards, proviamo a ribadire gli enormi meriti di un assoluto capolavoro.

Dunkirk: Fionn Whitehead in una scena del film
Dunkirk: Fionn Whitehead in una scena del film

Sarà la battaglia di una guerra persa in partenza, lo sappiamo. Però ci sono guerre che è bello combattere lo stesso, ci sono conflitti che vale la pena vivere in prima persona, da testimoni diretti. Perché sono contese senza armi, morti o spargimenti di sangue, ma soltanto lotte per arrivare ad una tanto agognata statuetta dorata. A ben pensarci la battaglia che porta all'Oscar 2018 è davvero piena di contendenti di altissimo valore, e per "il soldato" Dunkirk non sarà affatto facile uscirne senza le ossa rotte. Il decimo film di Christopher Nolan, amato e detestato come ogni opera frutto di un autore mai banale, ha collezionato 8 nomination (tra cui le più prestigiose alla Regia e al Miglior Film), ma è facile che debba accontentarsi soltanto dei premi tecnici. Sarà per la sua uscita estiva ormai lontana nel tempo o per il percorso più vincente di altri suoi contendenti, ma Dunkirk non sembra affatto favorito per la vittoria degli Oscar più ambiti, offuscato dalla fiaba oscura de La forma dell'acqua - The Shape of Water, dal raffinato ritratto de Il filo nascosto e soprattutto da quel groviglio di humor nero, amarezza e perdono di nome Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Però, dimenticare così in fretta l'esperienza frastornante e ansiogena di Dunkirk sarebbe ingrato e frettoloso. Così, oggi, in occasione dell'arrivo del film su Infinity Tv e a pochi giorni dalla Notte degli Oscar, proveremo a tenere viva la fiamma della speranza, evidenziando i meriti di un assoluto capolavoro.

Dunkirk: James D'Arcy e Kenneth Branagh in una scena del film
Dunkirk: James D'Arcy e Kenneth Branagh in una scena del film

Perché è soprattutto di speranza che parla Dunkirk, quella forza ambivalente (tra poco vi spiegheremo perché) che ha tenuto in piedi migliaia di soldati sulle coste di una guerra disperata a alienante, che ha sorretto i polmoni degli aviatori in apnea e soffiato sulle imbarcazioni civili di eroici salvatori. Terra, aria e acqua, a comporre un film elementare ed essenziale, capace di andare alla fonte della forza del cinema: un flusso puro di immagini in movimento, il racconto sostenuto dall'azione, gli sguardi e i respiri a vincere sulla parola. Ecco, dunque, cosa ci spinge a tifare in trincea, a sperare che qualcosa di dorato possa in qualche modo impreziosire un'opera che brilla già di suo, anche in mezzo a quella sabbia piena di morte che sembra fanghiglia.

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Semplificare

Dunkirk: Fionn Whitehead in un momento del film
Dunkirk: Fionn Whitehead in un momento del film

Quanti labirinti al di fuori di Gotham City. Fatta eccezione per la trilogia del Cavaliere Oscuro, ovvero la sua produzione più commerciale (ma non lontana da una poetica sempre coerente), il cinema di Nolan si è quasi sempre trasformato in un rompicapo pronto a disorientare lo spettatore, a sfidarlo. Grazie a sceneggiature complesse (e talvolta complicate), i fratelli Nolan hanno fatto delle loro storie qualcosa di mai rassicurante e di facile lettura, come a voler stimolare lo spirito critico di una platea sempre stimolata a vivere l'emozione del ragionamento. Non sceneggiature, quindi, ma architetture complesse, come dimostrato dalla struttura livellare di Inception, dai salti spazio-temporali di Interstellar e dai frammenti sparsi in The Prestige e in Memento. Una scelta narrativa ardita, che vede nel cinema un posto per "esploratori" e non per pavidi "agricoltori" interessati a curare soltanto il proprio orticello. Una scelta spesso maldigerita dai detrattori di Nolan. Bene, forse conscio di questo suo vizio (che per noi è una virtù) reiterato, l'autore londinese con Dunkirk asciuga e semplifica il suo cinema. Privo di una sceneggiatura barocca e disorientante (con 76 pagine è la sua più breve mai scritta), il decimo film nolaniano è diretto, spedito e per questo trascinante. Nessun labirinto, questo volta. La guerra non ammette voli pindarici e cubi di Rubik di cui venire a capo.

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Non guardare, ma esserci

Dunkirk: Kenneth Branagh in un momento del film
Dunkirk: Kenneth Branagh in un momento del film

Qualcuno potrebbe obiettare, e ricordarci che anche in Dunkirk ci sono tre assi temporali sovrapposti e intrecciati. Aria, terra e acqua non solo soltanto tre spazi bellici, ma tre "tempi" vissuti in maniera assai differente. Un'ora per i piloti, un giorno settimana per gli eroici civili, una settimana per i soldati in perenne attesa sul molo. Una scelta capace di trasformare in film in qualcosa di molto lontano da una visione passiva e distaccata, avvicinandolo ad una vera e propria esperienza empatica. Abile nel calarci nel punto di vista dei suoi uomini braccati dal tempo che fugge e dalle raffiche di proiettili che incombono, la regia spietata di Nolan mette in scena tre tempi diversi e complementari. Istinto e prontezza si mescolano con lunghe attese e disillusioni, mentre la colonna sonora di Hans Zimmer che, attraverso un lavoro memorabile di missaggio sonoro, diventa un tutt'uno con gli atroci suoni di guerra: allarmi, lamiere colpite, raffiche di mitragliatrici. Senza dimenticare un altro elemento fondamentale, ovvero quello del nemico invisibile, e per questo ancora più disorientante nel suo essere impalpabile e invincibile. Tutte scelte che, tra movimenti di macchina vertiginosi e inquadrature inesorabili, ci pongono nella stessa prospettiva dei suoi soldati assediati (pensiamo alla sequenza delle esplosioni in serie sulla spiaggia con il soldato che si tappa le orecchie in primo piano). Tutte scelte che fanno di Dunkirk un film che preferisce mostrare piuttosto che raccontare. È la guerra, non c'è altro da dire.

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Dunkirk: i soldati sotto il fuoco nemico
Dunkirk: i soldati sotto il fuoco nemico

Anonimato

Dunkirk
Dunkirk

Nessun eroe sulle coste di Dunkirk. Solo anonimato, massificazione, persone indistinte e indistinguibili. Ai grandi registi basta spesso una sola inquadratura per dire tutto, e noi crediamo che l'immagine del plotone di soldati sul molo, con un solo uomo a guardare in alto verso il rumore di un aereo pronto a bombardare, catturi alla perfezione il senso di alienazione nel cuore di ogni guerra. Per restituire in maniera ancora più diretta questa sensazione impersonale, Nolan opta per una direzione attoriale ben precisa. Da una parte affida la parte di uno dei protagonisti ad un volto nuovo, ad un giovane attore sconosciuto (Fionn Whitehead) incapace di portare sul suo volto altri ruoli, altre storie e il rischio di distogliere l'attenzione dal suo dramma. Dall'altra sceglie attori di prim'ordine come Kenneth Branagh e Mark Rylance, a cui bastano poche battute e sguardi decisivi (quello del Comandante Bolton verso le imbarcazioni civili è indimenticabile) per dare vita a due uomini mossi da un inamovibile senso del dovere. E l'unica vera star del film, ovvero Tom Hardy, appare a volto scoperto solo per pochissimi secondi. Il resto è solo un gioco di occhi e sopracciglia, di tempo che sfugge davanti allo sguardo di un pilota, un gioco di piccolezze e dettagli, familiare al grande cinema.

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Dunkirk: Tom Hardy in una scena del film
Dunkirk: Tom Hardy in una scena del film

Amica, nemica, speranza

Dunkirk: un primo piano di Fionn Whitehead
Dunkirk: un primo piano di Fionn Whitehead

La paura del Cavaliere Oscuro, i sogni di un padre disperso, l'ossessione di due prestigiatori, i ricordi beffardi di un vedovo, l'atto di fede di un genitore-esploratore. La vera grandezza di Christopher Nolan risiede nella sua capacità di dare forma solida a dimensioni astratte, di rendere quasi tangibile dimensioni assolutamente intime e personali. Il suo cinema viaggia nell'insondabile, risultando così destabilizzante, instabile, inquieto. Succede anche sulle coste di Dunkirk. Questa volta il sentimento da esplorare è la speranza, svestita della sua accezione prettamente positiva e salvifica. Perché, sì, la speranza può essere anche la tua peggior nemica, un'illusione che porta alla frustrazione, beffarda compagna di lunghe attese che hanno solo l'alienazione alla loro meta. Secondo Dunkirk la speranza è qualcosa da maneggiare con cura, un appiglio a cui aggrapparsi con estrema attenzione. Resta però l'arma migliore con cui avvinghiarsi alla vita, attraverso l'ennesima, raffinata, prova di resistenza e ostinazione del cinema di Nolan. Basti pensare alle immense fatiche sostenute e superate dai padri, dai prestigiatori, dai vedovi e dagli esploratori di cui sopra.