Recensione Non ci resta che il crimine: da Frittole alla Roma criminale

La recensione di Non ci resta che il crimine, nuovo film di Massimiliano Bruno che vede tra gli interpreti Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi e Alessandro Gassman.

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Non ci resta che il crimine: Alessandro Gassman, Ilenia Pastorelli e Marco Giallini in una scena

Un omaggio scoperto a uno dei capisaldi della nostra commedia, il film Non ci resta che il crimine oggetto di questa recensione: il surreale e inspiegabile viaggio nel passato dei due amici interpretati da Massimo Troisi e Roberto Benigni in Non ci resta che piangere, diventa qui il passaggio attraverso un ponte di Einstein-Rosen - per gli amici "wormhole" - di tre sodali un po' malmessi in cerca della svolta, che invece della metaforica vincita alla lotteria trovano un'avventura terrificante, rocambolesca e, naturalmente, istruttiva.

Lo script firmato da Massimiliano Bruno in compagnia di Andrea Bassi, Nicola Guaglianone e Menotti vede i tre amiconi, piuttosto simpatici anche se non particolarmente svegli, interpretati da attori quali Marco Giallini, Alessandro Gassmann e Gianmarco Tognazzi, incappare nel wormhole mentre lavorano al loro tour dedicato ai luoghi storici dei trionfi e delle nefandezze della famigerata banda della Magliana: ed è proprio nel covo della sanguinaria organizzazione criminale che si ritrovano, nel giugno del 1982, con la città infervorata per i Mondiali di calcio e quell'atmosfera di fiducia e benessere che chi quegli anni li ha vissuti ricorda bene.

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In tre contro il boss

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Non ci resta che il crimine: una scena del film

Come nella migliore tradizione dei film coi viaggi nel tempo, in Non ci resta che il crimine i nostri spaesati eroi hanno qualche freccia al proprio arco: per esempio la conoscenza enciclopedica dei risultati e dei marcatori di Mexico '82 da parte di Giuseppe (Tognazzi), che permette loro di alzare un bel gruzzolo scommettendo sulle partite, o la competenza storica di Moreno (Giallini) sulle vicende della banda. Con l'acume che li contraddistingue, invece di arricchirsi, finiscono per pestare i piedi proprio al micidiale Renatino (Edoardo Leo) e ai suoi trucidi scagnozzi, con l'ulteriore complicazione dell'infatuazione tra il belloccio della compagnia Sebastiano (Gassmann) e l'amante supersexy del boss (Ilenia Pastorelli).

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Non ci resta che il crimine: un'immagine del film

Così, tra una strizzata d'occhio nostalgico-cinefila e l'altra, e tra una cavalcata di Bruno Conti e un gol di Paolo Rossi, ecco servito il buddy-movie de noantri con contaminazione tra commedia fantastica à la Ritorno al futuro e poliziottesco tutto tricolore. Abbiamo visto negli ultimi anni la riflessione sul genere e la contaminazione stilistica produrre risultati di una freschezza davvero piacevole nell'ambito del nostro cinema; trovandosi di fronte a un film come Non ci resta che il crimine viene il dubbio che quella stagione sia già tramontata. Non c'è vita oltre il wormhole; le dinamiche tra i personaggi non sono mai convincenti e i livelli di tensione - ma anche di divertimento - lasciano costantemente a desiderare.

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Criminali da strapazzo

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Non ci resta che il crimine: Ilenia Pastorelli in una scena

Peccato, perché Massimiliano Bruno si è dimostrato, nella sua attività da regista, un autore comico dotato di una voce originale e di un approccio intelligente; qui, con la complicità di tre sceneggiatori che in questo caso non sono stati in grado di dare uniformità al progetto, pur azzeccando qualche battuta, si dimentica dell'importanza di una struttura narrativa robusta e di personaggi tridimensionali, così che l'efficacia scenica dei protagonisti è dovuta esclusivamente alla simpatia e al fascino naturale degli interpreti. Forse a Leo viene richiesto qualcosa in più: il suo Renatino De Pedis è in pari misura inquietante e buffo nella sua inesorabile cattiveria e nelle scenate di gelosia alla maliarda e poco vestita Pastorelli.

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Non ci resta che il crimine: un momento del film

Nel complesso, in Non ci resta che il crimine la "nobiltà" e la riconoscibilità dei riferimenti e la strombazzata ambizione al sincretismo di genere non aiutano la dignità di un'opera che ha poco da aggiungere alla storia recente della nostra commedia, che vive il suo momento migliore nella scena di una rapina in costume e a ritmo di rock e che certamente non ci farà gridare "Campioni del mondo!".

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2.0/5