E' stata la fragile Rosemary Woodhouse tormentata dal demonio in persona in Rosemary's baby, è stata la capricciosa e volubile Daisy Buchanan de Il grande Gatsby ma sopratutto è stata la musa di Woody Allen che ne ha saputo tirar fuori nuance interpretative e carattere in pellicole come Zelig, Radio Days, La rosa purpurea del Cairo, Hannah e le sue sorelle, Alice e nell'espressionista Ombre e nebbia. Questo, però, oggi non vuole più sentirselo dire. Dopo un divorzio dolorosissimo e costanti attacchi lanciati sui media e sui social network, dove è molto attiva, Mia Farrow sembra nutrire solo rancore nei confronti del suo mentore e il nome di Allen viene accuratamente evitato.
A Locarno Mia arriva quasi in punta di piedi scusandosi di parlare solo inglese. Lo stesso ovale sbarazzino di quando era giovane, occhiali con le lenti celesti e un look da figlia dei fiori ante litteram. A colpire è soprattutto la voce, sottile, ma decisa. "Vengo da una famiglia di attori, ma da piccola volevo fare tutt'altro" racconta la Farrow. "Prima volevo fare il pompiere, poi la suora, poi il medico, ma crescendo a Beverly Hills tutte le famiglie avevano almeno un parente che faceva cinema. Tutti i bambini crescevano con l'idea di fare cinema perché era una città che ruotava attorno al cinema. Publicist, avvocati, medici, tutto ruotava intorno alle star. Il mio padrino è stato George Cukor, la mia madrina la giornalista Louella Parsons. Il primo lavoro è stato L'importanza di essere Ernesto a Broadway. Mio padre era morto da poco e anche mio fratello era morto in un incidente aereo e io ho sentito che era il momento di occuparmi della famiglia. Così, visto che avevo studiato recitazione, mi sono messa a fare teatro".
La verità prima di tutto
Parlando del suo primo grande successo cinematografico, Mia ricorda: "Roman Polanski è un regista incredibile. Non vuole parlare della scena, ma sa esattamente cosa vuole dalla scena e quando te lo fa vedere è perfetto. Ho lavorato con tanti registi diversi e Roman è il più preciso. John Cassavetes, per esempio, era molto meno chiaro in questo senso e lasciava più libertà agli attori". Dopo Rosemary's Baby, per Mia Farrow è stato un momento molto difficile perché il personaggio di Rosemary aveva lasciato un malessere nell'attrice che ha deciso così di girare Cerimonia segreta per scrollarsi di dosso la sofferenza provata sul set di Polanski approdando a un ruolo ugualmente complesso. "Ciò che mi dà veramente fastidio del mio lavoro è fingere. Mi piace vivere fino in fondo un personaggio perché quando sento di stare fingendo è una sensazione terribile. Rosemary non è un personaggio, ma sono io in quella situazione. Ho dovuto immaginare cosa avrei fatto al suo posto. Per il personaggio di Broadway Danny Rose ho preso come modello un'assistente famosa all'epoca. Ho capito subito come il personaggio si sarebbe dovuto muovere, vestire, pettinare, ma la voce era la parte più difficile. Sono andata a pranzo con lei e ho registrato la sua voce per apprendere l'accento, e ho imparato a parlare con un tono di voce più basso di quello che uso del solito".
Incontri straordinari
Nel corso dell'incontro in cui Mia ripercorre la sua lunga e fortunata carriera, c'è spazio per ricordare alcuni degli straordinari personaggi incontrati. Mia racconta: "Tra le persone più incredibili in cui mi sono imbattuta sul set di Cerimonia segreta c'era Elizabeth Taylor. Era circondata da una schiera di truccatori e parrucchieri senza i quali non faceva un passo. Aveva un modo di fare molto materno e si preoccupava per me. A qualsiasi ora mi offriva dei margaritas che io non ero assolutamente in grado di bere così li gettavo di nascosto nel vaso dei fiori. Era sempre euforica e sorridente, nascondeva i problemi con un eccesso di allegria. All'epoca era sposata con Richard Burton, che la aspettava nel camerino dopo i ciak. Con noi c'era anche Robert Mitchum, grande amico di mio padre John Farrow. Un giorno mi ha preso in disparte e per mettere in chiaro le cose tra noi mi ha detto: 'Ho avuto una vita difficile e ho fatto tante cose brutte, ma l'incesto è una cosa che non fa per me'. Per quanto riguarda Frank Sinatra, era un uomo timido, empatico, fragile a livello emozionale. Dopo un paio di Jack Daniels si sentiva più a suo agio e cominciava a sciogliersi. Beveva anche quando eravamo soli per dimenticare la sua timidezza e soffriva d'insonnia così andava spesso in libreria a Palm Springs per comprare dei libri che lo aiutassero a dormire".
Fuga dal mondo di celluloide
Mia Farrow non teme di aprirsi o di ricordare momenti dolorosi del suo passato e la sua franchezza a tratti è perfino disarmante. "Il dramma è qualcosa che capita nelle vite di tutti, anche nella mia, ma credo di essere in cammino. Sto ancora imparando a vivere e oggi sento di non avere più voglia di recitare al cinema. Adesso non voglio più vivere distaccata da tutto come quando recitavo, voglio concentrarmi su ciò che accade nel mondo e sento che la recitazione mi distrae. Ho sempre avuto interessi molteplici e sono disorganizzata. Se una cosa cattura la mia mente per giorni ne sono ossessionata. Ho accettato di tornare a lavorare a recitare a Broadway e lo farò a breve con una piece intitolata Love Letters, ma credo che sia solo una parentesi. Poi andrò in Africa per conto dell'Unicef. Dovrebbero offrirmi un progetto davvero interessante per farmi accettare un altro film.
Ricordo che una volta Michael Powell voleva farmi fare La Tempesta, ma io avevo due bambini piccoli e non me la sentivo di andare a Greek Island, così lui è venuto a casa mia. Per non aprirgli la porta ho finto di non essere in casa, ma lui è rimasto fuori dalla porta. E' arrivata la sera e io non potevo accendere le luci perché si sarebbe accorto che ero a casa. Alla fine ha deciso di dormire nella sua auto davanti casa mia". Pensando al presente, Mia aggiunge: "A questa età non so davvero quale ruolo potrei desiderare, ma voglio che sia adatto a come sono oggi. Noi amiamo Maggie Smith o Judi Dench non perché siano giovanili, ma perché sono sé stesse".
Una diva su Twitter
Pensando alla sua carriera e all'approccio dei numerosi registi con cui ha lavorato, la Farrow non trova differenze specifiche legate alle epoche. "Non credo che ci siano differenze generazioni tra i registi del passato e del presente. Michel Gondry mi ricorda l'approccio di Robert Altman. Lavorando con lui sperimentavi l'idea di una completa improvvisazione. Ognuno si poteva muovere dove voleva e c'erano tre cineprese che riprendevano tutto. Quando rivedevi i suoi film eri sorpreso dalle sue scelte di montaggio perché era imprevedibile. Era un grande maestro. Michel Gondry è una persona incredibilmente gentile, capace di incoraggiarti costantemente. E' una persona magica, ma mi sono trovata molto bene anche con Todd Solondz. Un attore deve essere flessibile per adattarsi al metodo dei vari registi". E l'idea di lavorare con registe donne risulterebbe attraente oggi come oggi? "Le donne sono capaci di fare qualsiasi cosa, guardate Zero Dark Thirty. Il fatto che ci siano poche registe donne è contingente, è legato al maschilismo di Hollywood, ma sono certa che emergerà una nuova generazione di registe.
Le donne sanno fare meglio molte cose perché sono più abili a comunicare degli uomini". Visto che il cinema non è più così attraente come in passato, oggi Mia Farrow è un'ambasciatrice Unicef e si occupa della salvaguardia dei diritti civili. Per diffondere il messaggio, ha preso possesso dei social media, in special modo di Twitter. "Adoro Twitter, credo che sia uno strumento incredibile per la lotta ai mali della società. La comunicazione e l'informazione sono armi potentissime e internet ti permette di raggiungere persone da ogni parte del mondo. Credo che quando si hanno ruoli pubblici, la responsabilità nei confronti della società aumenti e io voglio informare il più possibile per invitare le persone a impegnarsi per cambiare le cose".