Complice il successo televisivo di Narcos, una delle serie più apprezzate della scuderia Netflix (arrivata attualmente a tre stagioni), negli ultimi tempi la figura di Pablo Escobar, famigerato capofila del narcotraffico fra il Sud America e gli Stati Uniti negli anni Settanta e Ottanta, ha attirato un vasto interesse mediatico; un interesse che si era esteso anche al cinema con Escobar, pregevole film del 2014 diretto dall'italiano Andrea Di Stefano e interpretato da Benicio del Toro e Josh Hutcherson.
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A due anni di distanza, Escobar torna protagonista sul grande schermo con un'altra pellicola a lui dedicata, Loving Pablo, presentata fuori concorso al Festival di Venezia 2017. Alla regia, questa volta, c'è lo spagnolo Fernando León de Aranoa, autore molto apprezzato in patria grazie a film come Barrio e I lunedì al sole, e tornato alla ribalta un paio d'anni fa con il notevole Perfect Day, che offriva uno sguardo per nulla scontato sul conflitto in Bosnia.
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La ballata di Pablo e Virginia
Se la spiccata originalità della scrittura costituiva il punto di forza di Perfect Day, purtroppo bisogna constatare l'esatto contrario per quanto riguarda Loving Pablo, tanto ambizioso negli intenti e nella dimensione produttiva, quanto convenzionale e sostanzialmente debole nell'esecuzione e nella messa in scena. Il film, a partire dal titolo, si basa sul memoriale pubblicato nel 2007 dall'ex conduttrice televisiva Virginia Vallejo, per quattro anni amante di Escobar, dall'emblematico titolo Loving Pablo, Hating Escobar; e lo spunto, in teoria stimolante, sarebbe appunto quello di offrire un duplice punto di vista sulla ricostruzione della drammatica epopea del boss colombiano. Uno spunto che, tuttavia, León de Aranoa non riesce a sfruttare appieno, ponendo in secondo piano tanto la figura della Vallejo, quanto il suo appassionato rapporto con Escobar.
Loving Pablo si apre nel 1983, all'epoca del primo incontro fra Virginia Vallejo, socialite colombiana e popolare personaggio televisivo, e Pablo Escobar, signore incontrastato del narcotraffico con smaccate ambizioni politiche. A prestare il volto a questi due personaggi è la coppia più celebre del cinema ispanico, Penelope Cruz e Javier Bardem, di nuovo fianco a fianco sullo schermo nove anni dopo Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen. E se Bardem, con l'ausilio di una incipiente pancia prostetica, riproduce con qualche istrionismo - e in un improbabile inglese 'spagnoleggiante' - caratteri e movenze di questo spregiudicato signore della droga, la Cruz disegna la Vallejo come una femme fatale civettuola e fondamentalmente opportunista, in pratica azzerando ogni fonte di reale conflitto fra lei e il suo co-protagonista.
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Bardem e una pessima Cruz in un biopic non molto riuscito
La tormentata liaison fra Escobar e la Vallejo, insomma, costituisce soltanto una sottotrama (e nemmeno così importante) all'interno di un biopic che procede in maniera piuttosto convenzionale, che segue tutti i paradigmi del caso; e la vicenda della Vallejo viene presto messa da parte per soffermarsi invece sulla 'caduta' di Pablo, sulla sua lotta contro la giustizia (sia quella colombiana, sia la DEA statunitense) e sull'impossibilità di conciliare la propria posizione di super-criminale con gli aspetti privati e familiari della sua vita. Quest'ultimo elemento rimane forse quello più stimolante, benché non sfruttato a dovere, di un film nel complesso abbastanza scontato e superficiale; un film il cui arco narrativo, che copre un periodo di ben dieci anni, si sviluppa a fatica e per sommi capi, e a cui non basta qualche scena più incisiva per risollevarsi da un generale livello di mediocrità.
Tirando le somme, a Loving Pablo manca un'idea di cinema davvero convincente, così come uno stile in grado di sottrarsi ai canoni di una docu-fiction ormai anacronistica; e incredibilmente, neppure un cast di indubbia levatura risulta all'altezza delle aspettative. Se il povero Peter Sarsgaard è confinato in una parte - l'agente Neymar, implacabile nemesi di Escobar - totalmente priva di spessore, e Bardem esce sconfitto dal doppio confronto con Wagner Moura e Benicio del Toro, il vero punto debole qui è Penélope Cruz, di rado così mal diretta: puntualmente sopra le righe, la musa di Pedro Almodóvar inciampa in una delle sue peggiori prove d'attrice, per quanto penalizzata da un copione che non l'aiuta affatto a sottrarre la Vallejo agli stereotipi di una qualunque vamp da soap opera.
Movieplayer.it
2.5/5