L’Invasione degli Ultracorpi: i 65 anni di un cult intramontabile

Accolto tiepidamente nel 1956, oggi il film di Don Siegel è universalmente riconosciuto come uno dei più importanti del genere fantascientifico

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L'invasione degli Ultracorpi: una scena del film

Il 5 gennaio 1956, usciva per la prima volta nelle sale cinematografiche, L'Invasione degli Ultracorpi, l'ultima fatica di Don Siegel, che traendo spunto dal romanzo di Jack Finney, ci guidò dentro uno spaventevole ed inquietante iter narrativo, in cui l'umanità veniva assalita da una forma di vita extraterrestre, intenzionata a prendere possesso dei corpi e delle menti del genere umano. Era un periodo particolare per la fantascienza. Di base si cercava, nelle grandi produzioni, di creare avventure pittoresche, dinamiche e divertenti per il pubblico. Ed era un pubblico che voleva distrarsi, entrare nei cinema per non pensare all'incubo nucleare, alla Guerra Fredda, alla contrapposizione tra blocchi che faceva si che persino quando un film usciva in sala, veniva preceduto spesso dal solito cinegiornale, in cui si mostrava come mettersi al sicuro nel caso di attacco nucleare.

Un'America assediata dall'incubo sovietico e nucleare.

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L'invasione degli Ultracorpi: una scena del film

L'America di quegli anni è in un periodo agitato e turbolento. Il mondo non va diversamente. Nikita Kruscev ha da poco spezzato il regno di omertà circa i crimini commessi da Stalin, tre anni prima con la morte del dittatore è stato distrutto anche il regno del terrore di Berja. Ma il mondo si sveglia ogni giorno senza sapere se sarà l'ultimo della civiltà, la corsa agli armamenti e i test nucleari continua senza posa, cresce la tensione così come la paura di un'invasione sul suolo patrio. Il Senatore Joseph McCarthy era da poco stato messo in soffitta, con la sua teoria dell'infiltrazione comunista nella società americana, con le purghe nel mondo dello spettacolo, della cultura, con la ricerca di quei "traditori" che si fingevano americani ma cospiravano con l'ex alleato. Fu in un contesto del genere che L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel (dopo una lavorazione alquanto complicata ed estenuante) sbarcò nei cinema e lasciò alquanto interdetto un pubblico generalista che si aspettava qualcosa di molto più simile a Il pianeta proibito di Fred M. Wilcox, adventure galattico sicuramente più accessibile e visivamente accattivante. Fatto strano, Siegel rifiutò sempre la natura "politica" del suo film, ma il fatto che ancora oggi sia visto sotto tale luce, non è causale, quanto una prova concreta dello spirito dei tempi, di come l'atmosfera di terrore e tensione permeasse anche lo sguardo del pubblico. Del resto, anche Ultimatum alla Terra nel 1951 e Assalto alla Terra del 1954, erano stati interpretati allo stesso modo.

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L'invasione degli Ultracorpi: una scena del film

Protagonista del film era il Dottor Miles J. Bennel (Kevin McCarthy) che cerca di mettere al corrente le autorità di un'invasione aliena nella città di Santa Mira, da parte di microorganismi che, all'interno di baccelli, riproducono gli esseri umani, per poi eliminarli una volta effettuata la trasformazione. I nuovi esseri sono identici nell'aspetto ma spietatamente privi di sentimenti e non hanno alcuna intenzione di fermarsi. Solo, ritenuto pazzo, Bennel dovrà faticare parecchio prima di convincere gli altri dell'invasione in atto. Film prodotto con un budget ridottissimo, quasi privo di effetti speciali, L'Invasione degli Ultracorpi era però diretto con mano sicura da Siegel, capace di creare un'atmosfera di tensione, incertezza e suspense assolutamente fantastica. Gli eventi sono concentrati in appena 48 ore, sostanzialmente una sorta di invasione lampo con cui Siegel, tramite dialoghi ben congegnati e mai banali, ci mostrava la distruzione del sogno americano, dei pilastri della società a stelle e strisce. La fuga di Bennet e della fidanzata Becky (Dana Wynter) è l'unica salvezza, ed è una fuga che metaforicamente si collega ad una dimensione del pericolo che è interna ed esterna, che assedia la vita americana in ogni suo aspetto. Siegel si collegò al sogno, alla ricerca della verità, persino (nella famosa sequenza della miniera) al mito di Platone e della caverna, salvo poi sovvertire tutto e negare ogni verità, ogni salvezza.

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L'invasione degli Ultracorpi: una scena del film

L'Invasione degli Ultracorpi doveva avere un finale tragico e pessimista, che poi sarà ripreso da Philip Kaufman nel remake del 1978: Terrore dallo Spazio Profondo. Qui invece vi era l'happy end di maniera, chiesto dalla produzione, la ricerca comunque di un ottimismo "all american", sono la parte più debole ed incoerente di un film che però non ha perso nulla della sua profondità, del suo peso storico di incredibile importanza nella settima arte. La dimensione dell'illusione si unisce alla realtà, ad una realtà che ci parla di omologazione. Eisenhower è appena stato confermato di nuovo Presidente, le famiglie americane sognano le stesse cose: la macchina, la casa, la televisione, il frigo, vogliono gli stessi abiti e le stesse scarpe, si conformano alla stessa musica e affollano i cinema per vedere gli stessi film: i kolossal di De Mille e di Vidor, i film western di John Ford. Lo stesso western che in realtà egli riprende copiosamente, così come la dimensione del thriller psicologico, ma anche dell'horror, un horror che ci parla degli alieni ma in realtà ci parla di noi, del mostro che nascondiamo dentro e non vediamo l'oro di liberare. La cosa di John Carpenter, Alien di Ridley Scott (per citare i due esempi più ovvi), hanno sicuramente ripreso molto di questo punto di vista, lo hanno sviluppato, e prima di loro anche l'arte, Bacon su tutti. Ripensate poi a Blade Runner, al concetto di replicare una vita, alla ricerca del sentimento, al concetto di mutazione interna dell'animo umano. Siegel ci mostrò per primo tutto questo in quel 1956.

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Il ritratto della società consumistica e capitalistica

Se il remake Invasion ha fallito, nell'abbracciare quella dimensione così simbolica, anche onirica, de L'Invasione degli Ultracorpi è per un motivo molto semplice: l'invasione ha avuto successo, oggi come oggi accettiamo di seguire le mode, il sistema, in modo docile ed entusiasta. Tramite quella sapiente regia in bianco e nero, l'uso dello spazio e del corpo nella narrazione, Don Siegel in realtà ci parlava del consumismo, della tirannia della società capitalistica, che non accettava il diverso, il pensiero libero ed autonomo, così come la dittatura della falce e martello. I due sistemi erano uguali dietro le apparenti differenze. L'omologazione è la vera invasione, così come la violenza che si scaglia sui non allineati. Il già citato maccartismo, fu esattamente questo in fin dei conti, non una deviazione ma un'arma affilata del sistema, che colpì quel mondo del cinema in cui Siegel era visto come un autore minore, uno che non poteva fare nulla. Invece ha cambiato il cinema, quello d'azione, il poliziesco, ma prima in quel 1956 cambiò il modo in cui la fantascienza era concepita, la trasformò in qualcosa di molto più inquietante. In fin dei conti, senza questo film, probabilmente non avremo avuto un altro piccolo e geniale artigiano a rinnovare l'accusa contro la società consumistica, contro la massa che insegue gli uomini liberi: George A. Romero, La notte dei morti viventi, in quel 1968 dove il mondo contro cui aveva lottato Don Siegel, era attaccato da una nuova generazione indocile. Ma questa, è un'altra storia.