Christian Wolff ha un volto impassibile, un fisco imponente e una capacità quasi sovrumana di fare calcoli: ufficialmente un contabile, professione che esercita anche per organizzazioni criminali, Wolff è una vera e propria macchina da guerra, addestrato dal padre fin da piccolo a combattere usando le arti marziali e le armi da fuoco. Affetto da autismo funzionale, Christian ha difficoltà a relazionarsi con gli altri, soprattutto da quando la madre ha abbandonato lui e il fratello. Quando Dana Cummings (Anna Kendrick), dipendente dell'azienda Living Robotics, scopre delle anomalie nei bilanci della società, Wolff viene coinvolto in una spirale di eventi che mettono a repentaglio la sua vita e quella della ragazza, avendo contemporaneamente alle calcagna il Dipartimento del Tesoro.
Un passo falso per Gavin O'Connor
Con Warrior, film del 2011 in cui Joel Edgerton e Tom Hardy sono due fratelli molto diversi e con un passato irrisolto, con cui si riappacificano partecipando a un torneo di arti marziali, Gavin O'Connor ha dato prova di saper usare al meglio il corpo come mezzo narrativo, trasformando la fisicità animalesca dei suoi protagonisti in drammaturgia, mettendo in scena un conflitto emotivo come se fosse una vera e propria battaglia. Dopo la parentesi western con protagonista Natalie Portman, Jane Got a Gun, ancora inedito in Italia, il regista americano torna a parlare del corpo con The Accountant, in questo caso allo stesso tempo mezzo per esplorare il mondo e prigione di una mente che non trova pace quando si tratta di numeri e obiettivi, ma che non sa mettere in atto gesti che esprimano sentimenti.
Lo spunto è interessante, ma la sceneggiatura di Bill Dubuque è ambiziosa senza essere in grado di mantenere le promesse: come dei giocolieri, regista e sceneggiatore palleggiano diversi fili narrativi, l'infanzia del protagonista, la sua vita da contabile, quella da assassino inarrestabile, la storia della grigia commercialista Dana, quella di Raymond "Ray" King (J.K. Simmons), capo del dipartimento dei crimini finanziari del Dipartimento del Tesoro, che cerca di stanare Wolff con l'aiuto della neo assunta Marybeth Medina (Cynthia Addai-Robinson), tutti incatenati tra loro a forza, facendo uso di sottolineature eccessive, come la filastrocca Solomon Grundy, che il protagonista ripete ossessivamente, colpi di scena telefonati e dialoghi non proprio brillanti (inevitabili perle come "la diversità prima o poi spaventa").
Il risultato è un thriller, che vuole essere anche drama, confuso e pasticciato, con un finale forzato e troppa carne al fuoco che finisce inevitabilmente per bruciare, sfociando perfino nel comico involontario.
Batman vs The Punisher
Un grande problema del film è poi il suo protagonista: citando Maccio Capatonda, mai come in questo film vale la battuta "per mettermi i piedi in testa ci vuole Ben Affleck". L'attore americano, dotato di un ottimo talento come regista e sceneggiatore, ma tragicamente inespressivo come attore, si ritrova con un fisico imponente, perfetto per ruoli d'azione, che prova a usare con intelligenza adattando le parti a se stesso e non viceversa, come invece fanno gli interpreti degni di questo appellativo. Se in L'amore bugiardo - Gone Girl di David Fincher questa scelta è stata geniale, in The Accountant il suo contabile invincibile e autistico è sì forte e distruttivo, ma non risulta mai credibile, perché sembra di vedere combattere Batman con in mano un pennarello con cui fare conti alla lavagna, con Affleck che si limita a usare la sua scarsa espressività per rendere il problema di comunicazione del suo personaggio, finendo col renderlo una maschera invece che scavare nel suo dramma interiore.
Nel finale poi si raggiunge l'apoteosi del buffo involontario, forse anche per colpa di un casting non oculato: il combattimento finale tra Affleck e Jon Bernthal, interprete di The Punisher nella serie tv Daredevil e qui killer incaricato di uccidere Wolff, non può non far pensare ai rispettivi eroi dei fumetti che gli attori interpretano su altri set, per un effetto metacinematografico che fa sorridere. Peccato, perché il talento di Gavin O'Connor nel costruire le scene d'azione è invece intatto.
Movieplayer.it
2.0/5