A pochi mesi di distanza dal grande successo di Tutta la vita davanti, l'instancabile Paolo Virzì si è rimesso dietro la cinepresa per La prima cosa bella, in cui dirige la bella moglie Micaela Ramazzotti, ma anche Stefania Sandrelli, Valerio Mastandrea e Claudia Pandolfi, in una storia d'amore corale, in cui il termine dell'esistenza di una madre tanto amata, ma anche tanto problematica, diventa l'occasione per ripensare alla propria vita in termini meno assoluti e nichilisti, e di riconciliarsi con il proprio passato e con coloro che ne hanno fatto parte. A interpretare il ruolo di Anna, giovane mamma negli anni Settanta, rea con la propria sola bellezza di scatenare le gelosie del marito, è la Ramazzotti, a cui si avvicenda Stefania Sandrelli quando la narrazione passa all'oggi, e nemmeno una malattia mortale è in grado di toglierle la gioia di vivere e di amare. Abbiamo incontrato il regista, insieme agli sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo, e l'intero cast, per parlare di questo film ironico e commovente e anche di un ritorno, quello a Livorno, città natale di Virzì, che ha anch'esso il sapore di una riappacificazione.
Paolo, quanto c'è di autobiografico in questo film? Paolo Virzì: Come sempre si pesca dal proprio vissuto, la storia si nutre di qualcosa di autentico. Ci siamo resi tutti conto, una volta visto il film, che conteneva anche un desiderio di fare pace con la vita: in un momento che è di sfiducia, di esilio, si vuole ritornare a una patria, a un luogo caro da cui ripartire. Rimane comunque un'invenzione romanzesca, io non sono Bruno anche se ho cercato di farlo assomigliare a me imbruttendolo, facendogli perdere i capelli, e Stefania e Micaela non sono mia mamma: è un mescolarsi di vita e racconto.Il film è molto corale, vi si intrecciano tante storie. E' stato difficile mettere insieme tutte queste diverse personalità? Paolo Virzì: Non è stato per nulla difficile, perché si tratta in tutti i casi di attori di grande talento. Abbiamo avuto qualche difficoltà solo nel trovare la somiglianza con gli interpreti più giovani, ma anche in questo caso mi sono giovato di una squadra che è abituata alle mie richieste. E' stata una festa, io non ho mai dovuto fare la voce grossa, abbiamo riso tantissimo. Ad esempio nella scena finale con Anna, nella quale si accomiata con i figli Bruno e Valeria: ci eravamo detti di farla molto allegra, come se Anna fosse ubriaca, e infatti io e Stefania ci siamo ubriacati davvero. A me però è presa la sbornia triste, mentre Stefania non smetteva più di ridere.
Micaela e Stefania, come siete riuscite a creare una così grande empatia tra le vostre versioni del personaggio?
Micaela Ramazzotti: Io ho cercato di assorbire certi modi di fare di Stefania dai suoi capolavori, sia quelli degli anni Sessanta, come Sedotta e abbandonata, che quelli degli anni Ottanta, come Mignon è partita, ed è stato anche un piacere rivederla in quelle pellicole.
Stefania Sandrelli: Io sono privilegiata: sono arrivata sul set subito dopo aver finito le riprese del mio lavoro da regista, per il quale ho avuto otto settimane di tempo e sono riuscita a finire proprio all'ultimo giorno, e quindi ho potuto visionare alcune scene già pronte. Ho avuto questo assunto e l'ho fatto mio, mi è stato di grande sostegno. Io sono nata a Viareggio, il cui dialetto assomiglia a quello di Livorno, ma avendo una madre pisana e un papà fiorentino il mio era un toscano del tutto diverso, piano piano però ho assorbito tutto, mi sono lasciata andare tra le braccia del mio regista preferito.
Valerio Mastandrea: Non posso che confermare quanto detto da Claudia. Io però non mi sono scritto la pronuncia sul copione, preferivo farmi prendere in giro.
Perché questa esigenza di un ritorno al passato? E cosa significa tornare a casa? Paolo Virzì: Non volevo fare un film nostalgico, la nostalgia non è un sentimento che mi affascina. Ho sentito che il film è stato anche definito "l'Amarcord livornese", ma non è appropriato: innanzi tutto perché Amarcord è un capolavoro assoluto, e poi lì c'era il confronto con un passato conflittuale, qui c'è soprattutto il presente. Il passato non è raccontato in maniera elegiaca, il punto sono l'incanto e l'innocenza di una madre, magari sciagurata ma anche eversiva. E' un omaggio alla forza e alla follia di certe donne, una storia d'amore tra una madre e si suoi figli, uniti, feriti e poi separati, ma che si danno coraggio a vicenda. Tornare a Livorno è cercare quella patria perduta, come diceva Giuseppe Verdi nel Nabucco, quando ci si sente senza fiducia.
Questo film è un po' l'anti-Avatar, emblema dello scontro tra cinema italiano e colossal? Paolo Virzì: Innanzi tutto andrò anch'io a vedere Avatar, che mi dicono sia anche politicamente corretto, antimilitarista, e quindi non soltanto tecnologia. Anche Titanic mi era piaciuto molto, soprattutto per la storia d'amore con il conflitto di classe. Io sono contento che ci sia un'offerta multipla al cinema, che si possa scegliere anche un film sullo struggimento della famiglia Michelucci, come sappiamo fare in Italia, visto che sul 3d siamo meno dotati. Pensavamo, scherzando, di fare qualche copia in 3d anche noi, magari in questo modo i capelli di Mastandrea sembrerebbero un po' più voluminosi.
Valerio, come hai lavorato sul tuo personaggio? Valerio Mastandrea: Io ho lavorato bene, io lavoro sempre bene... Lavorare con Paolo e i suoi sceneggiatori in questi enormi circhi, pieni di comparse, di gente, è la particolarità del loro cinema. I nostri incontri sono sempre impulsivi, ma si esce sempre felici, e ci si vuole sempre abbastanza bene. Abbiamo anche girato delle scene molto lunghe, impostate teatralmente, e in una sequenza di otto-nove attori tutti erano sempre concentrati sull'ultimo che doveva dire la battuta, perché se sbagliava lui dovevamo buttare tutto.
Nel film si legge un omaggio ai maestri degli anni Settanta. Potrebbe essere una sorta di Io la conoscevo bene di Pietrangeli, che racconta la vita della protagonista tra un film e l'altro? Stefania Sandrelli: Si, è vero, e poi la particolarità di questo personaggio è che mi corrisponde, ed è anche il genere che prediligo, quello in cui non si fa in tempo a piangere che si ride, e viceversa. Questa è una prerogativa della commedia all'italiana di serie A, impreziosita poi da attori bravissimi, e anche se non interagisci con tutti li avverti, creano un sottofondo in cui è facile lasciarsi andare. E' stato difficile entrare nel film per motivi pratici, ma poi è stato un sogno.Francesco Bruni: I modelli degli anni Settanta sono nel nostro DNA, magari ci accostiamo di più a Scola che non a Monicelli. Ci è piaciuto molto giocare su livelli temporali diversi, ci siamo divertiti a fare salti narrativi. Nonostante sia il nostro film più commovente, è anche quello più ottimista, mentre nel passato è stato il contrario, nascondevamo il pessimismo sotto al divertimento. E' stato bello, e anche difficile, raccontare la speranza e la voglia di vivere.
Valerio, quanto è vicino il tuo personaggio a quello di Non pensarci di Zanasi? Valerio Mastandrea: Poco, perché ci ho fatto attenzione. Ho cercato di usare qui tutto il resto, quello che mi era rimasto. In effetti sono due film che, con un codice diverso, parlano d'amore in maniera originale: questo film è una grande storia d'amore, di quelle difficili da dire; ognuno poi parla per sé, ma in trentotto anni io ho detto "ti voglio bene" a mia madre solo due volte.
Paolo, mesi fa avevi parlato dell'importanza di una distribuzione alternativa per arginare la pirateria. Per questo film avete preparato qualcosa? Paolo Virzì: Intanto stiamo cercando di piratare Avatar! A parte gli scherzi, il tema della banda larga, del digitale va affrontato in maniera creativa, mi piacerebbe per esempio avere un grande database di film, che includa anche quelli ormai difficili da recuperare, e sarebbe già una maniera buona di fare concorrenza. L'esperienza di un film guardato in sala è comunque imparagonabile.
Marco Messeri, come si è trovato a chiudere il film? Marco Messeri: E' stato importantissimo per me tornare a Livorno, era una storia che sentivo, e quando l'ho letta ho pensato che quel ruolo dovevo farlo per forza io. Sono stato un periodo dentro la città, l'ho girata in Vespa, sono andato al cimitero a vedere le mie zie morte. Sono stati bei giorni di vita che devo a questi diabolici autori, che hanno scritto una storia universale, di strazio di cuori che fanno scintille l'uno contro l'altro. Con Stefania ero già stato sposato in precedenza, e anche allora era morta e si chiamava Anna, quindi ...
Gabriella Pescucci, come si è orientata nella scelta dei costumi? Gabriella Pescucci: Innanzi tutto è stato un piacere lavorare con così tanti attori, e poi sono stata aiutata dal passaggio degli anni nel corso della vicenda. E' stato un film di gruppo, c'è stata tanta armonia e divertimento. E' un film positivo, sugli affetti.E per quanto riguarda la politica? Paolo Virzì: Per Tutta la vita davanti ho letto un articolo sul Venerdì di Repubblica, molto lusinghiero, cosa di cui ringrazio, che si intitolava "Stavolta non parlo di politica", ma in realtà a me la politica interessa in quanto cittadino e non di più. Non ho mai nascosto le mie simpatie, sono per il ricambio generazionale e sono vicino a chi lo auspica. Nei miei film ci sono semplicemente osservazioni sulla società, ma di politica non so cosa dire, ne sono appassionato solo come testimone.
Paolo Ruffini, la tua esperienza quale è stata? Paolo Ruffini: A Livorno c'è praticamente una statua di Virzì, visto che fa lavorare mezza città... Per chi è di Livorno, fare un film di Virzì è una cosa normale, ma standone fuori ti rendi conto che in realtà hai fatto un film di un grande autore.