Mentre l'eco di Bella Ciao non si è ancora spenta, parte del cast de La casa di carta 3 è arrivato a Milano per presentare la nuova stagione, di qui potete leggere qui la recensione de La casa di carta 3. Dopo aver visto i primi due episodi della terza parte, che ci sono sembrati particolarmente ambiziosi e curati nella messa in scena, Ursula Corberò (Tokyo), Miguel Herran (Rio), Jaime Lorente (Denver), Esther Acebo (Stoccolma) e Luka Peros (Marsiglia) hanno tenuto una conferenza stampa in cui hanno raccontato il loro rapporto con la serie e le ragioni di un riscontro così sentito da parte di un pubblico che, ormai, si sente parte della banda.
La casa è diventata un castello. La carta si è trasformata in oro. Una serie spagnola, nella quale nemmeno gli attori credevano poi così tanto, sgomita, sorprende, cattura, fa diventare virale le sue maschere e iconici i suoi simboli, sino a guadagnarsi un prestigioso primato: serie tv non in lingua inglese più vista su Netflix. Il colosso americano dello streaming fiuta il colpaccio, decide di prendere le redini dello show e, così, mette in cantiere una terza stagione. L'incredibile ascesa de La casa di carta è entrata nella storia del piccolo schermo in pochi anni.
Una storia che sarebbe stata imprevedibile anche per il geniale e introverso Professore, grande burattinaio di una storia che tocca corde ben precise. Perché è evidente che l'enorme successo de La casa di carta risiede nella sua carica sovversiva, nella sua beffa al Sistema, nel suo smascherare con immediata semplicità un malessere sociale, economico e politico comune a molti. La terza parte della serie, ideata per cavalcare l'onda di entusiasmo sollevata da Tokyo e compagni, arrivata oggi su Netflix con 8 nuovi episodi ambientati qualche anno dopo il folle colpo riuscito (non senza sacrifici) nella zecca di Madrid. Però, dal cuore della Spagna al centro di Milano, il passo può essere breve. E ce ne siamo accorti quando Piazza Affari è stata invasa dall'iconica maschera di Dalì indossata dai criminali della serie, sfoggiando il celebre dito medio della scultura di Cattelan.
La distanza tra Tokyo e Rio
Partiamo dal personaggio di Tokyo. Ursula, ancora una volta il tuo personaggio è il motore dell'azione. Come si evolve in questa terza parte?
Beh, sì. È ancora una volta lei a mettersi nei guai e a smuovere la storia, ma va detto che non è colpa sua. La colpa è del Professore: come puoi pensare di lasciare Tokyo su un'isola deserta per due anni?
In questa terza parte vedremo una Tokyo meno ragazza e più donna. Sarà molto determinata ma in maniera molto più consapevole e matura rispetto a prima. La sua essenza rimane quella, ovvero una donna vivace, ma leggermente meno impulsiva. Sì, vedrete una Tokyo più paziente, però quando si arrabbia diventa ancora più pericolosa.
Secondo te che tipo di femminilità emerge da La casa di carta?
Sai, non credo che La casa di carta sia una serie particolarmente femminista solo perché ci sono dei personaggi femminili potenti. Quando lessi la sceneggiatura della prima stagione, mi sorprese molto vedere quanto la serie mettesse in primo piano le donne rispetto agli uomini. Donne con qualcosa da raccontare, che non dipendono da personaggi maschili. Però sono le donne che abitano la nostra realtà, forti quanto imperfette. Non c'è alcuna forzatura nella serie. Non accentuiamo nulla che non sia vero.
Miguel, passiamo a Rio. Cosa non si fa per amore?
Eh, Rio ha cambiato la sua vita per amore, è maturato per amore, ma si è anche rovinato per amore. Direi che si fa tutto per amore. Ed è una cosa che frega Rio in questa terza stagione, ma è coerente con quello che prova il personaggio.
Quello de La casa di carta è stato uno straordinario successo planetario, arrivato lentamente. C'era qualcuno che ci aveva scommesso sin dall'inizio?
Miguel: Senza dubbio Enrique (l'attore che interpreta il direttore della banca Arturo Roman). Enrique lo sapeva sin dall'inizio, se lo sentiva. Noi altri pensavamo andasse bene, ma lui era certo che sarebbe diventato un tormentone a livello mondiale. È stato un visionario.
Ursula: Sì, questo è un aneddoto divertente. Alle prime presentazioni volavamo tutti basso, eravamo tutti molto cauti. Tranne Enrique. Lui era esaltato. Disse che se la Spagna non fosse stata preparata a capire la grandezza lo show, il resto del mondo lo avrebbe fatto senza dubbio.
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Il pubblico e la sindrome di Stoccolma
Nella terza stagione ritroviamo Denver e Stoccolma alle prese con molti cambiamenti all'interno della loro coppia. Quali equilibri ci sono adesso tra loro?
Jaime Lorente: Sì, Denver è cresciuto tanto dalla prima stagione, anche perché la sua prospettiva adesso è completamente ribaltata. È passato dall'essere figlio all'essere padre. È un cambiamento drastico e violento per uno come lui, e per questo non è subito pronto ad affrontare questa rivoluzione anche all'interno del rapporto con Stoccolma.
Esther Acebo: Beh, Monica è rinata, e non solo perché adesso tutti la chiamano Stoccolma. La sua condizione esistenziale è profondamente diversa rispetto a quando l'abbiamo conosciuta. Prima era un personaggio molto subordinato, mentre ora non è più un amante, non è più una segretaria, ma una donna molto più emancipata. Adesso prende decisioni di testa e non si fa manipolare. Prima non era preparata ad affrontare problemi più grandi di lei, mentre adesso è maturata. Ed è pronta a tutto.
La vostra maschera di Dalì è diventata un'icona globale. La gente l'ha indossata durante manifestazioni, è apparsa negli stadi e durante alcune proteste. Vi aspettavate di entrare così nell'immaginario collettivo?
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Jaime: No, onestamente anche questo è stato del tutto inaspettato. L'identificazione della gente è stata incredibile. Ed è chiaro che la maschera sia stata adottata come simbolo di rivoluzione sociale e di malessere.
Ursula: Confermo, non ce lo aspettavamo affatto, il che è sintomatico di quanto la serie sia andata oltre le aspettative. Oggi, quando vedo la maschera di Salvador Dalì capisco il suo significato, ma mi riporta ai primi momenti sul set, quando ancora non ne capivamo il potere. È qualcosa di familiare, come un oggetto o un quadro che hai in casa.
Esther: Esatto, non eravamo affatto consapevoli delle derive che avrebbe potuto prendere quel simbolo. Nei primi giorni di riprese quella maschera ci sembrava soltanto qualcosa di bizzarro.
Come tanti film e serie tv precedenti, anche La casa di carta ha reso affascinanti dei delinquenti. Come si conquista il pubblico attraverso il male?
Esther: Comincio io perché il mio personaggio sa meglio di tutti cosa significa subire il fascino del criminale. Credo che i nostri personaggi siano estremamente umani nelle loro fragilità e nelle loro imperfezioni. Sono umani, con delle motivazioni precise, il che crea un'inevitabile empatia da parte del pubblico.
Ursula: Condivido quello che ha detto Esther. La gente si entusiasma perché vede persone come loro prendere potere. La forza del gruppo crea grande trasporto nello spettatore.
Lukas: Sapete, oggi la gente ce l'ha col potere, è stufa delle discrepanze sociali, è arrabbiata con i politici, con le loro promesse, con le banche, con il Sistema in generale. I nostri personaggi sono dei Robin Hood che lottano per la gente in un momento di crisi profonda politica ed economica. Ecco la gente cerca davvero dei Robin Hood che lottino per loro.
Quali sono i nuovi ingredienti della terza stagione?
Miguel: Beh, l'entrata in scena di Netflix ha aumentato le potenzialità della serie. Tutto quello che piaceva c'è, ma potenziato e moltiplicato. Abbiamo avuto molto più budget a disposizione, il che significa più spettacolo.
Ursula: In questa terza stagione cambia la motivazione di fonde che riunisce i personaggi. All'inizio la banda si formava per soldi e per interessi esclusivamente personali, mentre adesso è un legame familiare a riavvicinarli, una specie di senso di appartenenza comune a tutti.
Lukas: Su questa terza stagione vi dico solo che sarà seguita da una quarta. Ma non vi dirò altro.
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