È il dicembre 1995, circa due decenni fa, quando una ragazza originaria del Berkshire, Kate Winslet, divide lo schermo con una primadonna del cinema, Emma Thompson, in uno dei film più apprezzati di Ang Lee, Ragione e sentimento, intelligente trasposizione (con un copione firmato dalla Thompson) dell'omonimo romanzo di Jane Austen, ambientato nell'Inghilterra di fine Settecento.
La Winslet, appena al suo secondo film dopo aver esordito l'anno precedente nell'inquietante Creature del cielo di Peter Jackson, incanta subito critica e pubblico nel ruolo di Marianne Dashwood, l'impulsiva e passionale sorella minore di Elinor, aggiudicandosi a soli vent'anni il BAFTA Award e la sua prima nomination all'Oscar (una statuetta mancata per un soffio); ma la sua scalata verso il successo è solo cominciata...
Dalla Danimarca di Amleto all'Oscar per The Reader
Come pochi anni prima era già accaduto a Emma Thompson e a Helena Bonham Carter, all'improvviso Kate Winslet diventa la nuova eroina dei film in costume, sia grazie alla bellezza 'classica' del suo viso, sia per un'espressività ed un'intensità davvero rare ed ammirevoli. Nel 1996, la star ventunenne recita in un altro adattamento da un celebre romanzo dell'Ottocento, Jude l'oscuro di Thomas Hardy, in Jude di Michael Winterbottom, e veste i panni di Ofelia nel meraviglioso Hamlet diretto e interpretato da Kenneth Branagh dal capolavoro di William Shakespeare. Il 1997, manco a dirlo, è l'anno del fenomeno Titanic: del tragico amore interclassista fra Jack Dawson e Rose DeWitt, della voce di Céline Dion che risuona sulle note del romanticissimo tormentone My Heart Will Go On, di James Cameron "king of the world" agli Oscar e - soprattutto - della coppia Kate Winslet/Leonardo DiCaprio lanciati definitivamente nell'empireo delle superstar di fine millennio.
Richiestissima a Hollywood come in Europa, Kate continua a prediligere i cosiddetti period drama: nel 2000 la ritroviamo accanto al Marchese de Sade di Geoffrey Rush in Quills - La penna dello scandalo di Philip Kaufman, nel 2001 nel ruolo della scrittrice Iris Murdoch a cavallo fra gli anni Trenta e Cinquanta nel biografico Iris - Un amore vero di Richard Eyre e nel team di Alan Turing, in piena Seconda Guerra Mondiale, in Enigma di Michael Apted. Nel 2004, accanto al ritratto della vivace Clementine in Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry (per una volta un personaggio contemporaneo), si tuffa nell'Inghilterra a cavallo fra Ottocento e Novecento per interpretare Sylvia Llewelyn Davies, la donna di cui si innamora lo scrittore J.M. Barrie, nel biografico Neverland - Un sogno per la vita di Marc Forster, altro grande successo benedetto dal "bacio accademico" dell'Academy.
Gli anni Cinquanta rappresentano invece il trait d'union fra le due pellicole, entrambe applauditissime, di cui la Winslet è protagonista nel 2008: Revolutionary Road di Sam Mendes, che segna la reunion con Leonardo DiCaprio (questa volta nei panni di una coppia di coniugi della middle class del Connecticut), e The Reader - A voce alta di Stephen Daldry, dramma sull'eredità dell'Olocausto che, alla sesta nomination, vale all'infaticabile Kate il sospiratissimo premio Oscar come miglior attrice per il ruolo di Hanna Schmitz, un'ex guardia carceraria nazista.
Il ritorno di Kate: Steve Jobs, The Dressmaker e Le regole del caos
Dopo quell'annata trionfale, il 2008, segnata da due fra le migliori performance della sua intera carriera, Kate Winslet si prende un lungo periodo di pausa dal cinema, tornando a recitare soltanto nel 2011 nel dramma al vetriolo Carnage di Roman Polanski; nello stesso anno Todd Haynes la ingaggia per la pluripremiata miniserie televisiva Mildred Pierce, ambientata nell'America della Grande Depressione, regalandole un'altra parte memorabile. Da allora, comunque, l'affascinante Kate - che il prossimo 5 ottobre festeggerà quarant'anni - ha rallentato i ritmi di lavoro, benché il 2015 si prospetti un altro momento importante per la sua parabola professionale. Dopo essere tornata a prestare il volto a Jeanine Matthews in The Divergent Series: Insurgent, secondo capitolo della saga fantascientifica young adult, questo autunno la Winslet sarà sul grande schermo in ben tre film: il crime drama Triple Nine, con Woody Harrelson, l'atteso biopic Steve Jobs di Danny Boyle, in coppia con Michael Fassbender, e un intrigante dramma nella cornice dell'Australia degli anni Cinquanta, The Dressmaker di Jocelyn Moorhouse, storia di una sarta che ritorna alla cittadina d'origine per accudire la madre malata (Judy Davis) e coglie l'occasione per consumare la propria vendetta contro chi, in passato, l'aveva accusata di omicidio.
Nel frattempo, la diva britannica è adesso nelle sale italiane con una nuova pellicola, e ancora una volta si tratta di un melodramma in costume: Le regole del caos, seconda prova da regista dell'attore Alan Rickman dopo il pregevole L'ospite d'inverno del 1997, basato su una sceneggiatura originale di Allison Deegan. L'ambientazione, in questo caso, è costituita dalla Francia del diciassettesimo secolo, nel pieno del Regno di Luigi XIV, con lo stesso Alan Rickman a indossare le vesti del Re Sole nel periodo in cui, poco dopo aver trasferito la sua intera corte a Versailles, il sovrano si occupava di perfezionare quella "gabbia dorata" sede dell'aristocrazia di tutto il paese, affidando ai più illustri architetti di paesaggi di Francia il progetto di realizzare gli splendidi giardini che avrebbero adornato la reggia; fra questi il suo cortigiano André Le Nôtre, una figura realmente esistita (e che ha il volto dell'attore belga Matthias Schoenaerts), e Sabine De Barra (Kate Winslet), dotata di un enorme talento, ma per nulla avvezza allo stile di vita dell'alta nobiltà dell'Ancien Régime.
Alla corte del Re Sole
Un titolo apparentemente illogico, quello del film di Rickman, dietro il quale si cela la dicotomia fra due opposti apparentemente inconciliabili, ma destinati a fondersi in un miracoloso connubio proprio attraverso le grandiose geometrie e le lussureggianti decorazioni dei giardini di Versailles: un paradiso artificiale sospeso fra un'opulenza barocca e l'ineludibile presenza della natura, quell'elemento 'caotico' pronto ad incrinare un equilibrio altrimenti fin troppo perfetto. Sabine, ingaggiata da André Le Nôtre per trasformare Versailles nel "luogo ameno" in cui caos e ordine convivono in una studiatissima armonia, rappresenta tuttavia un'ideale outsider rispetto alla vita di corte: una donna di estrazione borghese impegnata a muovere i primi, maldestri passi in un mondo a lei completamente sconosciuto. Ed è appunto il senso estraneità di Sabine, la purezza di uno sguardo 'altro', a fungere da filtro narrativo in un'opera in cui la nobiltà francese di fine Seicento è osservata con un misto di affascinata curiosità e di distacco critico.
Laddove Le regole del caos funziona maggiormente, difatti, è proprio nel sottolineare la distanza della protagonista rispetto allo scenario descritto nel film: un microcosmo cristallizzato in cerimoniali di vacua fastosità, rigorosamente codificato dalle imposizioni di un'etichetta dietro la quale trapelano gelosie, intrighi e fragilità inconfessabili. Il contrasto fra i rigidi formalismi della corte e la spontaneità un po' naïf di Sabine diventa quindi il fulcro di un racconto che procede mediante la giustapposizione di piccoli eventi di apparente banalità: una serata di festa a corte, le conversazioni a base di arguta ironia con il Duca Filippo d'Orléans (Stanley Tucci), che non fa mistero della propria omosessualità, o l'incontro casuale fra l'ignara Sabine e il sovrano in lutto, improvvidamente scambiato per un fioraio ma ben disposto all'idea di poter fruire, finalmente, di un autentico contatto umano, che per qualche prezioso minuto possa alleviarlo dal peso della corona.
Tuttavia, se Le regole del caos si rivela piuttosto efficace dal punto di vista dell'affresco sociale e del quadro d'epoca, la sceneggiatura della Deegan convince assai meno nel resoconto della tiepida relazione amorosa fra Sabine, la quale custodisce un doloroso segreto, e André (nella realtà storica, ben più anziano rispetto all'aitante ritratto fornito da Schoenaerts), infelicemente sposato con la subdola Françoise (Helen McCrory). La lodevole tenuta drammaturgica della pellicola di Alan Rickman rischia così di sfaldarsi in prossimità della conclusione, fra la consueta sequenza di patinatissimo erotismo e un flashback, forzato e sopra le righe, che risulta un po' avulso dal resto della trama, compromettendo almeno in parte l'esito complessivo di un film incapace di riprodurre, nell'insieme delle proprie parti, lo stesso mirabile equilibrio dei giardini disegnati da Sabine.