Recensione Grano rosso sangue (1984)

Snobbato dagli appassionati, rigettato dalla critica, è invece un piccolo cult che andrebbe riscoperto.

I falsi profeti e le belve infantili

Tra i numerosi film tratti dai romanzi di Stephen King questo è sicuramente il più misconosciuto. E a torto. Snobbato dagli appassionati, rigettato dalla critica, Grano rosso sangue (Children of the Corn è il titolo originale) è invece un piccolo cult che andrebbe riscoperto, soprattutto dopo che l'uscita di titoli come Signs ed Io non ho paura hanno riportato alla ribalta l'inquietudine che si cela dietro i rassicuranti campi di grano. Il senso del prezioso frumento è però diverso qui: mentre in Signs i campi di grano sono il misterioso punto di contatto tra civiltà diverse ed in Io non ho paura accompagnano il trascorrere monotono, ma non meno carico di oscure sensazioni, delle giornate nella vita di campagna, in Grano rosso sangue essi sembrano assorbire tutto il male dell'umanità e delle divinità venerate da Isaac e Malachia (mai nomi furono più azzeccati per sottolineare il senso di distorsione della religione e della Bibbia in particolare, riscoprendo in un batter d'occhio le crudeltà disseminate a bizzeffe nell'Antico Testamento) e che si "rispecchiano" nel bene rappresentato dai due bambini non allineati, Job e Sarah (quest'ultima, non casualmente, è in grado di predire il futuro grazie ai disegni).

Ma è la provincia americana, soprattutto, a consentire ancora una volta la diffusione del malessere esistenziale, impiegando come terminale i fanciulli in fiore e le loro lame assassine (i cui bagliori fiammeggianti sono stati richiamati a gran voce da pellicole più recenti, come dal già citato Signs o anche da From Hell - La vera storia di Jack Lo Squartatore). Non sono solo questi, però, gli unici dati significativi della pellicola, in quanto sono tanti i luoghi tipici dell'horror che il regista Fritz Kiersch ricalca con acume e intelligenza, con doti cioè non molto presenti in tanti altri film basati sulle storie dello scrittore americano (Shining a parte).

Innanzitutto Grano rosso sangue evita le facili ellissi ambientando tutta la storia nell'arco di una giornata: solo Non aprite quella porta di Tobe Hooper (non a caso è un classico del genere) è riuscito nell'impresa di creare tensione e spavento con la stessa tecnica. Inoltre l'idea dell'approdo involontario in un posto sconosciuto è ripresa a piene mani da Kiersch, che comunque riesce nella difficile impresa di ricreare un'ambientazione naturale, misteriosa ed oppressiva, rendendo appieno il panorama di desolazione della cittadina deserta di Gatlin e facendo percepire in maniera quasi fisica l'incombenza degli steli di grano illuminati dal sole (cosa che non dovrebbe aver lasciato indifferenti M. Night Shyamalan e Gabriele Salvatores, sempre che abbiano visto Grano rosso sangue: in caso contrario risulterebbe incredibile la somiglianza in certi atteggiamenti registici (angolazioni particolari, fuori campo dominanti, soggettive al limite del collasso, primi piani spietati) e nel trattamento particolare riservato ai campi di grano, protagonisti fondamentali della pellicola e spesso oggetto di campi lunghi minacciosi ed allusivi).

E' già la sequenza iniziale a farci penetrare in un mondo strano dove da subito capita quello che nessuno immaginerebbe possibile: dopo i fotogrammi in serie (che con atteggiamento tipicamente carpenteriano ci presentano, quasi a circoscrivere lo spazio scenico, i luoghi principali della storia), è la volta della sequenza shock dell'omicidio di massa, con inquadrature ravvicinate ed estremamente dettagliate, con un montaggio serrato e con l'uso dell'effetto zoom come "teorizzato" anni addietro da Mario Bava. Tutto gira alla perfezione, soprattutto perché sin dall'inizio abbiamo l'elemento principale della storia: la presenza di bambini assassini (simili nel loro cieco agire ai bimbi di origine extraterrestre de Il villaggio dei dannati),
coordinati tra loro e gerarchicamente asserviti. A livello di trama, quello che segue è soltanto una conseguenza della cruda scena iniziale e che nulla aggiunge. L'arrivo nella città deserta (che troviamo in tanti altri film, precedenti o anche successivi come Il seme della follia di John Carpenter) è molto suggestivo, ma serve solo a compiacere la nostra curiosità e a soddisfare l'esigenza di ricerca dei due protagonisti. Sappiamo già, infatti, che c'è qualcosa che non và. Lo abbiamo capito sin dall'inizio. E che sia "colui che cammina tra il grano" o semplicemente Isaac o ancora la terrificante sagoma del suo sottoposto Malachia ad orchestrare il tutto, potrebbe anche non importare. Lo verremo a sapere al morire del giorno, quando sarà tutto pronto per l'ennesimo rito sacrificale. Quello che interessa è invece l'ottimo risultato che Kiersch raggiunge con la gestione della tensione emotiva e con la prova dei due adulti (tra cui la Linda Hamilton che sarà protagonista dei due primi episodi di Terminator), capitati malauguratamente in quello strano posto del Nebraska.

Il resto esibisce citazioni di pellicole più note (oltre ai soliti ma efficaci tocchi hitchcockiani), come il già menzionato Shining per il colpo d'ascia con cui i fedeli sudditi di Malachia sfondano la porta provocando il terrore sul volto di Vicky, La Casa per gli steli di grano che "imprigionano" Burt e Profondo Rosso per i disegni di Sarah. Sono altresì presenti momenti un po' deleteri (gli effetti speciali "artigianali" dell'ultima parte e il classico doppio finale con una "sorpresina" fuori luogo). La colonna sonora di Jonathan Elias è, per concludere, pienamente in linea con le tendenze del periodo, sciorinando temi suggestivi ed evocativi (azzeccata è la terrificante nenia dei titoli di testa).

Nel complesso è un film che non merita l'oblio e per il quale è auspicabile una completa reintegrazione nell'olimpo dei film horror degli anni Ottanta.