Recensione Tropic Thunder (2008)

Tropic Thunder demolisce con grande ironia il mito di Hollywood, i suoi divi viziati e stravaganti e il circo degli innumerevoli premi ormai insignificanti, oltre a fare un discorso davvero ispirato sul lavoro dell'attore.

Hollywood brucia

Con una serie di esilaranti finti trailer si apre lo spettacolo di Tropic Thunder, vera e propria macchina comica che segna il ritorno in grande stile di Ben Stiller alla regia, sette anni dopo il cult Zoolander, ritratto dell'uomo-copertina bello bello bello in modo assurdo che ricordiamo per aver inventato la rivoluzionaria espressione facciale denominata "Blue Steel". Dopo la parodia del mondo della moda, arriva ora quella dell'universo cinema e della surreale industria hollywoodiana. Tropic Thunder demolisce con grande ironia il mito di Hollywood, i suoi divi viziati e stravaganti e il circo degli innumerevoli premi ormai insignificanti, oltre a fare un discorso davvero ispirato sul lavoro dell'attore. Per riuscire nel suo intento si affida inevitabilmente al metacinema, andando a spernacchiare le pellicole di guerra, senza però limitarsi a essere mera parodia, attraverso un film nel film che rappresenta un prodotto sì autoreferenziale, ma che riesce a risultare godibile e dannatamente divertente anche ai non addetti ai lavori, proprio per la sua abilità, non certo comune nelle commedie di oggi, nel coniugare umorismo e intelligenza.

Protagonista di Tropic Thunder è una troupe impegnata nelle riprese di un film sul Vietnam che stenta a decollare per le bizzarrie dei tanti protagonisti. Il regista decide così di portarli nel cuore della giungla per un'esperienza estrema che aumenti il realismo richiesto dalla storia, ma finisce in mille pezzi per aver messo il piede su una mina. Convinti di essere vittima di uno scherzo e che una serie di telecamere nascoste stia riprendendo le loro reazioni, gli attori continuano a recitare, ma finiscono preda di spietati narcotrafficanti decisi a eliminarli per aver osato invadere il proprio territorio. Sulla scena si confrontano diversi stili di recitazione: c'è l'attore di scuola drammatica che per calarsi totalmente nella parte (in questo caso un uomo di colore) non esita a ricorrere alla chirurgia per annerirsi la pelle, la star di film d'azione ormai appannata che vede nel film l'ultima possibilità di un rilancio, il comico ciccione, dipendente dall'eroina, che non vuole essere ricordato solo per le scorregge strapparisata, il rapper multimilionario che nasconde un insospettabile segreto e la giovane promessa pronta a prendere il testimone dai suoi miti in declino.

Esplosioni, sangue a fiumi, teste mozzate che rotolano, ralenti a effetto nei momenti clou, inseguimenti, sparatorie, serrati confronti corpo a corpo: Tropic Thunder non si fa mancare davvero nulla, finge di far incontrare Apocalypse Now e Rambo, mentre alterna scene adrenaliniche di travolgente comicità a momenti che spengono l'azione per riflettere sulla figura dell'attore. Alcuni passaggi sono davvero irresistibili, uno su tutti la lezione che l'Attore impartisce all'action hero ormai al tramonto sul "cinema dei ritardati". A onorare uno script finalmente brillante un cast spettacolare. Su tutti svetta un incredibile Robert Downey Jr., la cui interpretazione con voce "black" esige una visione del film in lingua originale, ma non da meno sono Ben Stiller, tornato grande dopo una lunga serie di lavori sottotono, e un Jack Black finalmente divertente. Cameo destinati a entusiasmare ancora di più sono quelli dell'eroico Matthew McCounaghey e di un irriconoscibile Tom Cruise, pelato e occhialuto, che interpreta un pezzo grosso degli Studios deciso a non fermarsi di fronte ai problemi nella produzione del film.

Se lo svolgimento degli eventi non riesce a evitare una sopportabile collezione di cliché, a convincere di Tropic Thunder è il suo prendersi poco sul serio non rinunciando a una lucidità nei dialoghi che esprimono una satira dagli accenti azzeccati. Demolita l'idea del politically correct, che ha fatto insorgere le associazioni in difesa delle categorie più disparate (probabilmente anche quelle che vogliono salvare i panda dall'estinzione), il film di Stiller riesce a non risultare mai volgare, evitando la messe di parolacce tipica di un certo cinema comico, senza però rinunciare a deliranti momenti splatter o concerti di flatulenze. Il montaggio mette insieme i diversi linguaggi di cinema, tv e videoclip contribuendo così alla costruzione di un prodotto che si fa simbolo dei nostri tempi, andando ben oltre l'idea di semplice e inoffensiva commedia. Coloro che hanno voglia di ridere senza spegnere il cervello non troveranno di meglio questa stagione, gli altri rimangano pure nell'angolo a storcere il naso.