"Pensi che io non mi prenderò cura di te?" "Ma quando tu muori?"
Da qualche giorno è finalmente anche nelle sale italiane un titolo che, ormai da diversi mesi, ha attirato una notevole attenzione negli Stati Uniti, suscitando accese discussioni e tentativi di esegesi. Già applauditissimo dalla critica al Sundance Film Festival, Hereditary - Le radici del male, lungometraggio d'esordio del trentadunenne Ari Aster, è stato portato nelle sale americane l'8 giugno scorso da A24, raccogliendo la cospicua cifra di quarantatré milioni di dollari: il secondo maggior successo di sempre per questa coraggiosa casa di distribuzione (dopo i quarantanove milioni di Lady Bird), che per la prima volta ha avuto a disposizione una piattaforma di ben tremila sale.
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Se Hereditary ha riportato insomma buoni risultati al box office in patria, registrando un totale di quattro milioni e mezzo di spettatori, il consenso attorno al film si è rivelato però tutt'altro che unanime, come sembrerebbero indicare le indagini condotte da CinemaScore: il pubblico del giorno d'apertura ha assegnato infatti a Hereditary un punteggio medio di D+, sintomo di una sostanziale delusione "a caldo". Un esito, tutto sommato, non così sorprendente: perché la pellicola di Ari Aster, a differenza del 'classicismo' di horror quali L'evocazione - The Conjuring, intraprende percorsi assai meno prevedibili, imprime alla trama svolte scioccanti (la morte improvvisa, nella prima parte, di quello che appariva essere uno dei personaggi principali) e apre interrogativi a cui non è data una soluzione immediata.
Pertanto, per chi avesse visto il film e fosse rimasto con dubbi e incertezze rispetto agli avvenimenti che travolgono la sventurata famiglia Graham, di seguito proviamo ad analizzare alcuni degli aspetti più ambigui e complessi di questo horror tanto formidabile quanto intimamente disturbante: da piccoli e macabri dettagli, come le teste di piccioni, a quel raggelante e dibattuto finale nella casa sull'albero...
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Il titolo
Partiamo da lì, dal valore di quell'aggettivo che dà il titolo al film di Ari Aster. L'ereditarietà è un tema al cuore dell'opera, sotto diversi punti di vista: le doti artistiche di Annie (Toni Collette), che riproduce i luoghi della propria esistenza in curatissimi edifici in miniatura, si riflettono ad esempio nella secondogenita Charlie (Milly Shapiro) e nel fervore con cui disegna sul proprio quaderno dei sinistri ritratti dei propri familiari. A un'ereditarietà assai più oscura, quella della malattia mentale, fa invece esplicito riferimento Annie in un incontro con il gruppo di supporto: suo padre, vittima di una depressione psicotica, si era lasciato morire di inedia, mentre sua madre soffriva di un disturbo dissociativo. Accenni della schizofrenia materna sembrano aver contagiato anche la stessa Annie, che manifesta strani comportamenti durante i suoi episodi di sonnambulismo; per quanto, ovviamente, la dimensione più terribile di questa "condanna ereditaria" ci sarà chiara soltanto nella parte finale di Hereditary.
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La nipote preferita
La sera dopo il funerale di Ellen, mentre Annie sta dando la buonanotte a Charlie, tra madre e figlia avviene un dialogo che, alla luce di quanto accadrà in seguito, assumerà un valore rivelatorio. Annie afferma che Ellen considerava Charlie la sua nipote preferita, e per tutta risposta la ragazza dichiara che la nonna avrebbe voluto che lei fosse un maschio (Charlie, fra l'altro, può essere impiegato pure come nome maschile); un'osservazione bizzarra, dietro cui si cela però la necessità, per il culto satanico di cui Ellen era a capo, di trovare un membro maschio della famiglia Leigh nel quale far 'insediare' lo spirito demoniaco di Paimon (non a caso il fratello di Ellen si era tolto la vita, accusando la madre di aver provato a "mettergli una persona dentro"). Un elemento fondamentale, che spiega anche la presunta incongruenza nelle azioni di Annie: scopriamo infatti che la donna aveva sempre cercato di tenere il primogenito Peter (Alex Wolff) lontano dalla nonna, ma in compenso non aveva avuto problemi a lasciare che Ellen si prendesse cura di Charlie.
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Il piccione senza testa
Nella prima parte del film, mentre la maestra rimprovera Charlie per essersi distratta con i suoi disegni durante un test, un piccione si abbatte contro una finestra dell'aula; più tardi, a ricreazione, la ragazza recupererà il cadavere dell'animale e gli staccherà la testa con un paio di forbici. L'angosciante gesto di Charlie si ricollega a un altro leitmotiv della storia: la decapitazione. La stessa Charlie si troverà la testa mozzata di colpo in un assurdo incidente stradale; Annie rinverrà in soffitta il cadavere decapitato di sua madre Ellen; e nel finale Annie, dopo essere stata posseduta da Paimon, si troncherà la testa. Pertanto la decapitazione del piccione, oltre a infondere una certa inquietudine nel pubblico, funziona anche come raccapricciante presagio di quanto vedremo nel resto del film.
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Il sigillo di Paimon
Sempre a proposito della decapitazione di Charlie, gli spettatori più attenti hanno notato come, sul palo della luce che farà da 'ghigliottina' per la ragazza, compaia uno strano simbolo. Il medesimo simbolo è riprodotto sul ciondolo al collo della salma di Ellen, inquadrata durante le esequie, e che sempre al funerale verrà indossato da Annie; in altre occasioni vedremo questa stessa immagine comparire nel film. Quel simbolo, in realtà, è l'autentico sigillo di Paimon, una figura che Ari Aster ha recuperato da veri testi dedicati all'occulto e le cui attestazioni più antiche risalirebbero al quindicesimo secolo.
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"Io non volevo essere tua madre"
La protagonista Annie è consapevole della maledizione che grava sulla propria famiglia? Non esattamente: eppure, a livello inconscio, è chiaro che la donna conosce la verità e ne è inorridita. E la sua dimensione inconscia prende il sopravvento tramite il sonnambulismo di Annie, che in passato, come racconta lei stessa, si era svegliata di soprassalto nella stanza dei propri figli, mentre era sul punto di appiccare il fuoco dopo averli cosparsi di benzina. Inoltre, in uno dei dialoghi più struggenti del film, Annie confessa a Peter di non aver mai voluto essere sua madre, e che era stata Ellen a farle pressione affinché rimanesse incinta; Annie aveva anche cercato di abortire, ma invano. "Perché hai tentato di uccidermi?", le domanda Peter, in lacrime, e la replica di Annie è emblematica: "Stavo tentando di salvarti". In qualche modo, è come se la donna percepisse il terrificante destino che attende il suo figlio maschio.
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"Ave, Paimon!"
Quando Joan (Ann Dowd) esorta Annie a cimentarsi in una seduta spiritica, il vero obiettivo è quello di consentire allo spirito di Paimon di tornare in libertà e prendere possesso di un altro membro della progenie dei Leigh. E a partire dalla seduta spiritica, Annie inizia a perdere il controllo di sé: quando, verso il finale, Paimon entrerà all'interno della donna, Annie diventerà il 'mostro' in grado di muoversi sul soffitto e determinato a dare la caccia a Peter. Poco dopo il giovane si lancia dalla finestra e perde i sensi: a quel punto, Paimon può finalmente occupare il suo corpo (i primi indizi della tentata possessione li avevamo avuti nelle scene ambientate a scuola). Peter, il "prescelto", seguirà il cadavere senza testa della madre nella casa sull'albero dei Graham e lì, al cospetto dei membri del culto e degli spettri dei familiari defunti, riceverà la propria incoronazione come uno degli otto sovrani dell'Inferno.
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L'horror: la nuova tragedia greca?
È davvero una curiosa coincidenza come, nell'arco di pochi mesi, due film ad altissima tensione, questo Hereditary e Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos, abbiano usato come modello più o meno dichiarato una tragedia scritta da Euripide ventiquattro secoli fa, Ifigenia in Aulide. In entrambi i casi, uno dei temi al cuore del racconto è proprio l'ineluttabilità del sacrificio: e in Hereditary, Annie è l'impotente Clitennestra la cui disperazione non potrà impedire che i propri figli siano immolati sull'altare di un fato già scritto. La vita di Ifigenia veniva offerta dal padre Agamennone alle divinità dell'Olimpo, mentre Peter e Charlie saranno soggiogati da una potenza infernale, ma la sostanza non cambia. Durante una lezione scolastica, l'insegnante di Peter pone alla classe un grande quesito: è più tragico che sia un personaggio a provocare la propria rovina o che la sua sorte sia già scritta e lui non possa fare nulla per modificarla? In quel momento Peter è in preda a un'improvvida disattenzione, non potendo immaginare che quella domanda lo riguardi più di chiunque altro...