Recensione Grande, grosso e... Verdone (2008)

Come in Un sacco bello, Bianco Rosso e Verdone e Viaggi di nozze tornano i tre episodi e i personaggi che ne hanno decretato il successo.

Grande grosso e... cafone

Gli anni passano, il linguaggio cinematografico cambia, i volti cambiano, l'umorismo pure, e purtroppo anche la commedia all'italiana. Proprio per questo certi cult non andrebbero mai ri-fatti, certe gag non andrebbero mai riproposte a distanza di tanti anni, alcune parodie non andrebbero rimodernate, specie se riferite a un'epoca storico/politico/culturale ormai lontana. E' successo ai Vanzina (vedi Il ritorno del Monnezza, La Mandrakata e Viulentemente Mia), a Lino Banfi con L'allenatore nel pallone 2, ma ad uno come Carlo Verdone certi e(o)rrori non riusciamo a perdonarli.
Lui che negli anni ha dimostrato di sapersi evolvere, di riuscire ad adattare le sue straordinarie doti comiche a situazioni e personaggi più 'adulti', certamente più consoni alla sua età, è finito per cadere nella sua stessa trappola, quella del '_ri-famolo _strano', cedendo alle lusinghe della popolarità rispolverando i suoi vecchi personaggi, quelli che l'hanno accompagnato sin dai suoi esordi televisivi negli anni '80.

Superato l'attacco coatto di Gallo Cedrone e Viaggi di nozze, Verdone sembrava aver trovato un equilibrio perfetto, forse semplicemente portando sul set qualcosa in più di se stesso, dando vita e spessore ai moderni cinquantenni di oggi, moderatamente insoddisfatti, immaturi e spesso pasticcioni, tutti personaggi assai lontani dalle sue solite (seppur divertentissime) macchiette. Con L'amore è eterno finché dura e Il mio miglior nemico si era definitivamente lasciato alle spalle un contesto ed una comicità da cabaret ormai fin troppo logora, riuscendo a raggiungere fette di pubblico sempre più vaste e un livello qualitativo (nella commedia, sia chiaro) da far invidia a tutti i suoi colleghi.
Un percorso, quello dell'attore regista romano, che con questo Grande grosso e Verdone subisce sicuramente una battuta d'arresto. Come in Un sacco bello, Bianco Rosso e Verdone e Viaggi di nozze tornano i tre episodi e i personaggi che ne hanno decretato il successo: il timido e ingenuotto Mimmo tanto affezionato alla mamma, il logorroico e opprimente Furio/Raniero - incubo di mogli, figli e domestiche - e il coattone di borgata Ivano.
I nostri tre moschettieri si chiamano ora Leo, Callisto e Moreno e rappresentano tre diverse sfaccettature dell'Italia di oggi. Si parte con la famiglia più imbranata delle tre, quella capitanata da Leo capo scout che proprio nel giorno del raduno nazionale dei lupetti riceve la notizia della morte della mamma e, tra una disavventura 'funeraria' e l'altra, assicurare alla salma una degna sepoltura. Segue a ruota la vicenda di Callisto Cagnato, padre attentissimo e insegnante irreprensibile dai mille agganci politici, con una segreta passione per le lucciole dell'est e per le catacombe, naturalmente quelle di San Callisto; inutile sperare che prima o poi vi rimanga sepolto. L'ultimo ma sicuramente il migliore dei tre è Moreno, il supercafone arricchitosi vendendo cellulari che, con moglie e figlio in crisi esistenziale al seguito, decide di regalarsi una 'rilassante' vacanza nell'albergo più esclusivo di Taormina. Un vero incubo per i prestigiosi ospiti e per tutto il personale, abituati a ben altre situazioni.

A dir poco deludente il primo episodio, caratterizzato da idee poco originali, da prove attoriali non all'altezza e da una scrittura superficiale e mai incisiva che si salva in zona Cesarini solo nel finale; inspiegabile la sciatteria visiva con cui è realizzato e il catastrofico doppiaggio verdoniano dei due bambini. Un pochino meglio il secondo episodio, che però snatura i due personaggi originali da cui prende spunto per trasformarli in qualcosa di diverso, in un omuncolo lugubre e qualunquista che nasconde, come molti esponenti della borghesia politico-intellettuale italiana, un 'privato' quasi orrorifico che va a cozzare pesantemente con le sue apparenze bacchettone e benpensanti. Sorrisi amari sì, dovuti però più a qualche pesante caduta di stile nei dialoghi che al 'messaggio' in sé. L'ultimo è sicuramente il migliore dei tre, il più comico, il più 'verdoniano', il più azzeccato, quello che sfrutta nel modo migliore la sua evoluzione generazionale regalando allo spettatore impaziente qualche battuta memorabile, una strepitosa Claudia Gerini e, finalmente, qualche grassa risata.

Cos'è mancato a Verdone in questo film? La voglia di osare davvero, la genuinità e la gestualità di inizio carriera, la possibilità di avvalersi di comprimari all'altezza del compito, la voglia di realizzare qualcosa che non fosse solo una raffica più o meno slegata di sketch comici, una regia e una sceneggiatura un pochino più sofisticate e meno terra terra dei personaggi che raccontano. Gli è mancato il coraggio, una volta tanto, di dire 'no' alle tante richieste, a produttori, distributori e ad incassi da capogiro, che gli auguriamo di cuore e che sicuramente otterrà, ma di cui stavolta, noi fan, non possiamo andare orgogliosi.

Movieplayer.it

2.0/5