Ascesa, caduta e redenzione di Tammy Faye, che tra gli anni '70 e "80 insieme al marito Jim Bakker creò il più grande network televisivo religioso al mondo, costruì un parco a tema e consacrò definitivamente l'immagine dei telepredicatori evangelici impegnati a diffondere la parola di Dio nell'etere. A raccontarlo (come vi spieghiamo nella recensione de Gli occhi di Tammy Faye in sala dal 3 febbraio) è Michael Showalter, che dal territorio della commedia leggera (The Big Sick, Hello, my name is Doris) si sposta in quello più drammatico del biopic. Il film basato su una storia vera e liberamente ispirato all'omonimo documentario di Fenton Bailey del 2000, è un racconto molto convenzionale e senza particolari guizzi nelle scelte di regia; tanto fanno invece le performance di Jessica Chastain e Andrew Garfield nei panni dei due eccentrici protagonisti, determinanti nel tratteggiare un microcosmo surreale, fatto di paillettes, ciglia finte, lustrini e pellicce, sesso e religione. E sono anche uno dei motivi, forse l'unico, per cui vale la pena vederlo.
Ascesa e caduta di un'icona: i sogni, la fede e il successo di Tammy Faye
Il film ha la struttura del classico biopic, si apre sul volto posticcio della protagonista e attraverso un flashback dà il via alla narrazione, inizia così a infilare uno dopo l'altro i fatti che portarono la coppia di Tammy Faye e Jim Bakker a diventare nel giro di poco tempo delle star a tutti gli effetti, predicatori itineranti a caccia di fedeli e icone del televangelismo. Un racconto che fa a pezzi il sogno americano, descrivendo la parabola di una donna cannibalizzata dai media e che aveva saldamente ancorato il suo messaggio di compassione, accettazione e prosperità alla propria immagine.
Dal 1994 a Palm Springs lo spettatore viene pochi secondi dopo catapultato in una chiesetta del Minnesota nel 1952, dove una Tammy Faye appena bambina già folgorata dall'amore di Dio, si accascia a terra in preda al rapimento estatico davanti ai fedeli increduli e alla madre Rachel, che accompagna la funzione religiosa suonando il piano. Il suo divorzio dal padre di Tammy le era costato l'emarginazione dalla comunità al punto da impedire alla piccola di prendere parte alle celebrazioni pur di riconquistare un posto ed essere finalmente accettata. Una donna ultraconservatrice la cui disapprovazione avrebbe influenzato profondamente la vita di Tammy.
Gli eventi de Gli occhi di Tammy Faye si susseguono veloci e si arriva al primo incontro tra lei e Jim nel 1960 quando sono ancora due giovanissimi universitari fomentati dalle sacre scritture, un incrocio di sguardi e intenti al grido di "Dio ci vuole ricchi", il motto su cui costruiranno il loro impero. Cominciano a viaggiare in lungo e largo per gli Stati Uniti, lei canta e suona, lui predica, si sposano ed è l'inizio di un'ascesa inarrestabile: dal primo programma religioso di burattini per ragazzi in onda sul Christian Broadcasting Network di Pat Robertson, al successo di The 700 Club che fa di Jim Bakker il primo conduttore permanente, al PTL (Praise the Lord) Club, il programma di punta della rete PTL, fondata negli anni '70 dallo stesso Bakker e che genera più di 120 milioni all'anno.
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Ad ogni apparizione di Tammy Faye arriva una valanga di donazioni: ne arrivano all'annuncio della nascita della primogenita, mentre risponde in diretta alle telefonate, quando predicando l'accoglienza per qualsiasi creatura di Dio intervistando Steven Pieters, il predicatore gay malato di AIDS, o dopo ogni esibizione canora, e persino quando travolta dagli scandali proverà insieme al marito a prendersela con la stampa attraverso un j'accuse pubblico con tanto di lacrime e mezze scuse. Il film ricostruisce tutto in maniera molto lineare fino all'epilogo tragico: l'opinione pubblica non avrebbe perdonato le truffe finanziarie della raccolta fondi, l'omosessualità repressa di lui, l'accusa di stupro, la depressione di lei. Gli stessi ambienti ultraconservatori di bianchi puritani che li avevano foraggiati per anni nell'America reaganiana che si scagliava contro gay e femministe, ne avrebbero decretato la fine.
L'interpretazione da Oscar di Jessica Chastain
Gogna mediatica per entrambi, ma di cui Tammy Faye pagò il prezzo più alto sacrificata da un marito che l'aveva manipolata e sfruttata per una vita intera, approfittando della sua devozione infinita e della sua ingenuità. Idolatrata, adorata e fagocitata da un esercito di fedeli invasati dal sacro amore e che poi l'avrebbe scaricata con la stessa facilità con cui ne aveva fatto un simbolo, l'immagine della protagonista diventa il manifesto dell'intero film. A darle vita sotto una spessa coltre di trucco prostetico, ciglia finte, vestiti sfavillanti e sopracciglia tatuate, è Jessica Chastain che non solo trasforma il corpo al punto da non riconoscersi, ma modula anche il timbro della voce per restituire la "vocina lagnosa alla Betty Boop" che la contraddistingueva.
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Un mondo di eccessi fatto negli ultimi anni di psicofarmaci, lattine di Diet Coke, unghie smaltate lunghe come artigli e una fede incrollabile nell'amore di Dio e nell'abbraccio compassionevole verso il prossimo. Andrew Garfield la accompagna con un'interpretazione altrettanto all'altezza nei panni di un uomo arrogante e manipolatore, peccato che il film non sfrutti pienamente le potenzialità di una storia ricchissima di sfumature. Si appiattisce invece su un racconto che resta superficiale, ma che si impreziosisce via via di una Chastain che potrebbe ottenere la sua terza candidatura ai prossimi Oscar e magari vincere. Rimane l'amarezza di una vicenda dai tratti spesso grotteschi e il ritratto di una donna che va avanti a tutti i costi, consapevole o meno poco importa, perché quel che conta è che "non è finita finché non è finita".
Conclusioni
Al termine della recensione de Gli occhi di Tammy Faye resta il senso di un’opera incompiuta, che si ferma in superficie. Il biopic che ripercorre la parabola dei coniugi Bakker concentrandosi sull’immagine iconica di lei, non brilla per originalità nelle scelte di regia, mentre la narrazione ha un andamento abbastanza convenzionale. Il punto luce del’intero racconto è Jessica Chastain che sotto il peso del trucco prostetico dà vita a un ritratto struggente teso tra il grottesco e la tenerezza di una ingenua quanto granitica devozione.
Perché ci piace
- Le interpretazioni di Jessica Chastain e Andrew Garfield nei panni dei due eccentrici protagonisti, diventano determinanti nel restituire quel mondo di paillettes, ciglia finte, lustrini e pellicce, che Tammy Faye e Jim Bakker costruirono a colpi di donazioni, sfruttando la fede incrollabile dei loro sostenitori.
- Il ritratto grottesco dell’America reaganiana e ultraconservatrice che fa da sfondo all’intera vicenda.
Cosa non va
- Un racconto convenzionale e senza particolari guizzi nelle scelte di regia.
- La narrazione rimane superficiale e non sfrutta tutte le sfumature di una storia dalle infinite potenzialità.