Nonostante la mancata vittoria, la cerimonia della 89a edizione degli Oscar che ha visto trionfare a sorpresa Moonlight ai danni del favoritissimo La La Land è stato l'ideale punto di arrivo del lungo e fortunato viaggio intrapreso da Gianfranco Rosi da quando, un anno fa, ha alzato vittorioso l'Orso d'oro a Berlino per il suo Fuocoammare. Dodici mesi nei quali il regista ha incassato il plauso (quasi) unanime di pubblico e critica internazionali senza però limitarsi ad essere un caso isolato per il documentario italiano.
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Un genere nato insieme ai primissimi esperimenti dei fratelli Lumière che nel nostro Paese, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, diventò strumento di testimonianza degli orrori del conflitto, influenzando lo stesso Neorealismo. Funzione divulgativa, quindi, ma anche didattica. Basti pensare al lavoro di una giovanissima Liliana Cavani chiamata dalla Rai a raccontare ad un'Italia ancora divisa culturalmente e linguisticamente la Storia più recente, da Età di Stalin a Storia del Terzo Reich passando per Assalto al consumatore e La donna nella Resistenza. Sempre negli anni '60 anche Pier Paolo Pasolini affianca alla conoscenza una sfumatura sociale grazie a Comizi d'amore. Armato di microfono, lo scrittore/regista attraversa lo Stivale intervistando cittadini di ogni estrazione per parlare di amore, sesso, omosessualità e divorzio. Ne scaturisce il ritratto di una popolazione culturalmente e socialmente "analfabeta" con qualche isolato spiraglio di apertura ed emancipazione.
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A dieci anni di distanza dall'inchiesta documentaristica di Pasolini, Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli realizzano Matti da slegare. Un'opera nata con l'intento di supportare lo psichiatra Franco Basaglia, ispiratore dell'omonima legge che portò alla graduale chiusura dei manicomi affidando proprio ad alcuni pazienti il racconto della loro esperienza al di fuori degli istituti. Sarà lo stesso Agosti a firmare, nel 1984, un altro tassello della storia del documentario in Italia con il suo D'amore si vive. Da Frank, nove anni, che mentre mastica un chewing gum descrive le sue prime esperienze sessuali a Lola, il travestito amante degli animali, fino al racconto di una giovane prostituta, il regista ci regala un'affresco commovente di umanità dissimili. Tutti titoli nei quali i protagonisti si raccontano in prima persona al regista/intervistatore in una staticità visiva che muta fino ad arrivare ai giorni nostri. E basti pensare alla struttura narrativa di Sacro GRA di Rosi per intuirne l'evoluzione.
Scarsi finanziamenti e distribuzione a singhiozzo non sembrano però aver scoraggiato una nuova e florida generazione di cineasti/documentaristi dal realizzare opere audaci, sperimentali, innovative o di denuncia. E nonostante la fatica riscontrata per arrivare in sala questi lavori sono spesso più avvincenti delle opere di finzione, sia per forma che per contenuti, come dimostra anche l'interesse crescente dimostrato dai principali festival cinematografici. Da La nave dolce di Daniele Vicari a La pazza della porta accanto di Antonietta De Lillo, dalla forma ibrida scelta da Roberto Minervini per Louisiana, Alberto Fasulo (Tir) o da Bella e perduta di Pietro Marcello fino alle prove di Saverio Costanzo (Sala Rossa), Davide Ferrario (Sexxx), Leonardo di Costanzo (A scuola), Alessandro Rossetto (Raul) e Vincenzo Marra (L'amministratore). Si passa poi per l'ottimo uso di materiali d'archivio di Naples '44 di Francesco Patierno o a titoli di denuncia come La trattativa di Sabina Guzzanti e Robinù di Michele Santoro fino ai deliziosi Mia madre fa l'attrice di Mario Balsamo e Funne - Le ragazze che sognavano il mare di Katia Bernardi per arrivare a lavori più complessi ed ermetici come il recente Spira mirabilis del duo di documentaristi Martina Parenti e Massimo D'Anolfi.
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E così, dopo la nomination all'Oscar di Fuocoammare e con l'uscita il prossimo 8 marzo di Strane straniere di Elisa Amoruso, ci soffermiamo in rigoroso ordine alfabetico su cinque recenti opere da (ri)scoprire e che ben rappresentano le varie anime di un genere necessario per arricchirci come individui e spettatori.
1. 87 ore - Gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni
Ottantasette come le ore registrare dalle telecamere di sorveglianza del reparto psichiatrico di un'ospedale pubblico a Vallo della Lucania dove Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare, è entrato il 31 luglio 2009 per uscirne cadavere dopo cinque giorni di trattamento sanitario obbligatorio. Ottantasette come le ore acquisite al processo che ha portato alla condanna di sei medici che mai visitarono l'uomo e lo lasciarono morire, mani e piedi legati, su un lettino ospedaliero. Costanza Quatriglio realizza un'opera disturbante dove la rabbia provata dallo spettatore si traduce in una partecipazione fisica ed emotiva durante e dopo la visione. La struttura narrativa è quasi esclusivamente delegata alle immagini "sporche" delle telecamere, vere detentrici di parola e verità. Un documentario di denuncia che sottolinea l'impegno sociale del lavoro della regista grazie al quale ha vinto il suo terzo Nastro d'argento dopo Terramatta - Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano e Triangle. Anche quest'ultimo, presentato al Torino Film Festival, tra le realtà più attente al documentario, racconta un'Italia contemporanea eppure così drammaticamente arretrata. La Quatriglio lega idealmente le morti delle operaie dell'incendio alla fabbrica tessile della Triangle Waist Company nella New York del 1911 a quelle delle quattro donne che persero la vita a Barletta nel 2011 dopo il crollo della palazzina nella quale lavoravano sette giorni la settimana senza nessuna garanzia. Un racconto visivamente e narrativamente coinvolgente grazie all'uso di materiale d'archivio raddoppiato e la voce di Marinella, unica sopravvissuta, a ricordare la tragedia.
2. Fuocoammare
Era il 2013 quando Sacro GRA vinse il Leone d'oro al miglior film a Venezia70 immortalando frammenti di vita attorno al Grande Raccordo Anulare, autostrada circolare che abbraccia Roma girando su se stessa. Il primo documentario a ricevere un riconoscimento così importante in tutta la storia del festival veneziano. Una vittoria controversa che non riscontrò il favore unanime della critica proprio in virtù del taglio narrativo "contaminato" adottato da Rosi. Ma le storie del barelliere del 118 Roberto o del pescatore di anguille Cesare hanno contribuito a mostrare un nuovo percorso documentaristico confluito, non a caso, in Fuocoammare. Anche qui Rosi, nei venti chilometri che costituiscono Lampedusa, interseca storie e sguardi, generi e strumenti narrativi per raccontare l'Olocausto dei migranti ed il nostro "occhio pigro". Lo fa con la testimonianza diretta e straziante del Dottor Pietro Bartolo o con le metafore affidate ad un pescatore subacqueo di ricci e a Samuele, bambino nato sull'isola, costretto ad indossare una benda sull'occhio sano per aumentare le diottrie dell'altro che, invece, si rifiuta di guardare. Un'opera che non indugia con spirito voyeurista sulla tragedia immortalata nel suo divenire ma che si fa testimonianza preziosa della nostra Storia. Un degno avversario per gli altri candidati agli Oscar - I Am Not Your Negro, O.J.: Made in America, XIII emendamento - che, eccezione fatta per Life, Animated, sono legati tra di loro da una tematica comune.
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3. Liberami
Fresco di candidatura ai David di Donatello 2017, il documentario di Federica Di Giacomo è stata una delle visioni più apprezzate di Venezia73 tanto da vincere la sezione Orizzonti della rassegna lagunare. L'opera della regista è il lavoro di tre anni nei quali, insieme alle sua troupe, ha documentato il sempre più crescente numero di "possessioni" registrate in Italia e nel mondo. Lo ha fatto nella Palermo di Padre Cataldo, esorcista di punta dell'isola, che ogni martedì celebra delle messe collettive di liberazione alle quali partecipano anche Gloria, Enrico, Anna e Giulia, i "posseduti" che hanno permesso alla Di Giacomo di seguirli nel loro percorso di esorcismo. Un lavoro che rifugge dall'immaginario cinematografico horror per mostrare, senza giudizio, un malessere contemporaneo nel quale il confine tra autosuggestione, inquietudine e grottesco si fondono insieme. Documentario antropologico nel quale anche la possessione e il disagio esistenziale subiscono uno slittamento nella quotidianità di chi li vive/subisce, come ben sintetizzato fin dalla locandina del film, opera dell'illustratrice Chiara Ghigliazza.
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4. S Is for Stanley
Se Fuocoammare è stato presentato in vari festival in giro per il mondo, il primo documentario di Alex Infascelli non è stato certo da meno. Dalla Spagna al Giappone, il suo S Is for Stanley, dopo il passaggio alla Festa del Cinema, ha incassato il favore di un pubblico trasversale rapito dall'incredibile storia di amicizia tra Stanley Kubrick e il suo autista/tuttofare Emilio D'Alessandro. Forte di un David di Donatello per il miglior documentario 2016 e di una nomination agli European Film Award, il regista romano è tornato al buio della sala cinematografica dopo l'interessante esperienza di distribuzione rappresentata da H2Odio, pellicola, guarda caso, dalle suggestioni kubrickiane. Infascelli realizza così un documentario/intervista basato sulla biografia Stanley Kubrick e me scritta da D'Alessandro insieme a Filippo Ulivieri (co-sceneggiatore con Vincenzo Scuccimarra e lo stesso regista). Un viaggio indietro nel tempo, emozionate ed ironico, scandito da cinque film realizzati dal regista mentre D'Alessandro lavorava per lui. Dalla Londra del 1971, quando i due uomini s'incontrarono per la prima volta grazie al celebre fallo di porcellana di Arancia meccanica realizzato da Herman Makkink, fino al 1999 con Eyes wide shut, film/omaggio del cineasta al suo amico fidato. Infascelli, grazie alle parole di Emilio, ci regala uno sguardo inedito di Stanley e non di Kubrick. L'uomo prima del mito.
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Strane straniere
Dopo il folgorante esordio con Fuoristrada dedicato a Beatrice, meccanico transessuale con la passione per i rally, e al suo amore per Marianna, tra paternità acquisita e ritrovata, la regista romana è tornata dietro la macchina da presa per raccontare la storia di cinque donne di nazionalità diverse arrivate in Italia per i motivi più disparati. Presentato nella sezione Kino Panorama Italia dell'ultima edizione della Festa di Roma, il documentario sottolinea nuovamente lo sguardo mai ingombrante della sceneggiatrice/documentarista. Presenza delicata seppur emotivamente incisiva grazie all'uso della macchina a mano che segue da vicino Ana, Ljuba, Radi, Sonia e Sihem e le loro vite in un Paese straniero che hanno saputo trasformare in casa. Un racconto di emancipazione e di sogni realizzati a fatica, nonostante guerre, famiglie avverse, mariti fantasma o soffocanti, ed ispirato dallo studio dell'antropologa Maria Antonietta Mariani. Come in Fuoristrada seguivamo Beatrice/"Girello" tra l'autofficina, le piste da corsa e la casa dell'anziana madre, anche in Strane straniere l'Amoruso ci permette di entrare nella quotidianità delle sue protagoniste senza mai invaderne gli spazi. Il documentario diventa così la cronaca di cinque esistenze che dal timido coraggio di Radi ed il suo amore per il mare arriva alle "sorelle" ritrovate Liuba e Ana, passando per il sorriso accogliente di Sihem e la testarda determinazione di Sonia. La fotografia di un'integrazione felice che, come per la storia di Beatrice, non ha bisogno di sottolineature per arrivare allo spettatore.