Le parole sono armi taglienti, o carezze leggere. "Sono nuvole sospese, gonfie di sottintesi" direbbe Samuele Bersani. E in Disclaimer - La vita perfetta di Alfonso Cuarón quel potere distruttivo delle parole non lo eleva solo a motore trainante dell'intera serie, ma lo esemplifica, ce lo spiattella con fare chiaro, preciso, dolosamente diretto. Tratta dal romanzo di Renée Knight, l'opera diretta dal regista messicano è un saggio visivo sulla portata manipolatrice della parola.
Un processo di (de)costruzione della verità compiuta partendo da uno scatto fotografico, e invigorita di ricordi, pensieri, sprazzi mnemonici di chi reputavamo scevro di difetti. È la fantasia che crea ulteriore fantasia, e con la quale instillare dubbi, pregiudizi, gettando all'aria una carriera e un matrimonio, solo per un'immaginazione galoppante, solo per colmare lacune senza toccare il ricordo di un figlio amato, ma forse mai veramente conosciuto.
Tra Disclaimer ed Espiazione: distruggere con la forza di mille parole
Quello qui attuato con la forza delle parole dal personaggio di Nancy (Lesley Manville) e perpetrato dal marito Stephen (Kevin Kline) ai danni di Catherine (Cate Blanchett) è un atto di distruzione e di pura vendetta nei confronti di chi si è macchiata della morte del proprio figlio. Affidare pensieri alla carta stampata, bollando la donna come creatura mortifera, affianca Disclaimer a un'altra opera in cui la parola esula da semplice mezzo di comunicazione, per elevarsi a protagonista nefasta, burattinaia di esistenze legate a fili sottilissimi, pronti a essere recisi e così sparire nell'ombra sbiadita di un ricordo.
Stiamo parlando di Espiazione, film diretto da Joe Wright, e tratto dall'omonimo romanzo di Ian McEwan, dove le parole della piccola Briony (Saoirse Ronan) si fanno mani che lanciano la sorella Cecilia e l'amante Robbie nel fuoco di un inferno personale dal quale non potranno salvarsi, se non nello spazio di pagine pronte a riceverli, cullarli, tenerli uniti e vivi. Quelle stesse parole nate da un'incomprensione, modellate da una fantasia di una bambina troppo piccola per capire, si faranno allora ancore di salvezza, e architetti urbanisti di un universo alternativo in cui i cuori battono, e i corpi si rincorrono lungo la riva del mare. "Così nel libro ho voluto dare a Robbie e a Cecilia quello che avevano perso nella vita" afferma una Briony ormai invecchiata (Vanessa Redgrave) per poi aggiungere "Mi piace pensare che non sia stata debolezza o evasione, ma un atto finale di gentilezza. Io ho restituito loro la giusta felicità".
Tra fantasia e verità
Ma nel mondo del giovane Jonathan, e in quello di un padre vendicativo come Stephen, non c'è spazio per espiare i propri peccati, e chiedere scusa per un'immaginazione troppo vivida. Le parole impresse su carta dalla madre vivono di pura fantasia, per tracciare i contorni di un giovane sedotto, e abbandonato, alla propria morte. Un carattere, quello di Jonathan (ma anche di Catherine) che una volta vestitosi di inchiostro, diventa magicamente reale, perché modellato da un altro strato di fantasia: quello di un lettore che, pagina dopo pagina, gli infonde vita, gli fa battere il cuore, lo rende tangibile. Si tratta di un processo di materializzazione fisica compiuta con la forza dell'inchiostro e della fantasia, che nel 2012 Jonathan Dayton e Valerie Faris (già registi di Little Miss Sunshine) raccontano con ironia e delicatezza in Ruby Sparks.
I tasti della macchina da scrivere non si fanno più lame affilate con cui ferire un corpo innocente, o fendenti con cui deturpare l'immagine sociale dei propri personaggi. Con Ruby Sparks ogni singolo vocabolo, ogni frammento di fantasia, è cellula di un corpo che prende vita: l'arte della parola supera il sogno divino di Frankenstein perché non si limita a infondere vita a un patchwork corporeo esanime, ma crea dal nulla, magicamente, un nuovo essere umano, estrapolandolo dalla pagina bianca. Calvin Weir-Fields (Paul Dano) da giovane scrittore, si tramuta in essere divino, un essere capace di toccare la pagina e materializzare la sua Ruby (Zoe Kazan). Nessuna vendetta, nessuna ambizione, nessun senso di colpa: nelle parole di Calvin vige solo una grande paura per il futuro e un'estrema solitudine. Un sentimento, questo, che lo allontana emotivamente da Briony e Nancy, ma che lo avvicina all'opera delle due per quella potenza intrinseca affidata a uno strumento narrativo così dolorosamente distruttivo (o creativo) come quello della parola.
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Ascoltare per credere
Se per Briony il proprio romanzo vuole essere una richiesta di perdono, in Disclaimer quell'insieme di pagine è invece un dito puntato contro Catherine: un atto di vendetta dal profumo di inchiostro e recriminazioni, scritto seguendo i dettami di un dolore che rabbonisce l'empatia, e sacrifica l'ascolto. Come un lettore, anche lo spettatore si ancora al racconto di Nancy, costruendo un'immagine di Catherine del tutto sradicata da quella reale. Eccola la potenza della parola: quella di costruire come un sarto talentoso, abiti distinti capaci di modificare l'immagine - e di conseguenza il pensiero - che gli uni si fanno degli altri. Vergini di pregiudizi, gli spettatori (e/o i lettori) si lasciano condizionare da chi si presume raccolga tra le mani le verità, quando invece tra le dita tiene strette istantanee di momenti passati, ammantati di fantasia e immaginazione. Impossibilitata dal confutare un pensiero, capire il reale decorso degli eventi che hanno portato alla morte del figlio, Nancy pur di darsi una risposta preferisce costruire una propria verità.
Al posto di calce e mattoni, la donna si affida ai tasti di una macchina da scrivere per innalzare un proprio tempio di pace. Il dolore per la morte di un figlio non potrà mai passare, ma può alleviarsi ricercando, o immaginandosi, la causa della sua dipartita. E per Nancy quel crogiolo di dolore è tutto da destinare a Catherine, a quel suo corpo immortalato nudo, apparentemente in estasi, sensuale, nello spazio di tante, troppe, fotografie. Solo così facendo il dolore può riversarsi su carta, immortalarsi in un'immagine del tutto nuova, distante e distruttiva, di chi ha causato morte e sofferenza. Lo spettatore sta al gioco, crede a quelle parole, facendosi complice, proprio come Stephen, di questa manipolazione di intenti e personalità, fino a distruggere la credibilità di una donna che fino a lì non avevamo veramente conosciuto a fondo. Del resto, le parole possono distruggere vite, esistenze, interi mondi, proprio come in Disclaimer - La vita perfetta. Proprio come in tante, troppe, realtà quotidiane.