Un arrivo e un ritorno. Oggetti non identificati che piombano dal cielo e un miracolo nascosto sotto terra. Le due scosse che smuovono le storie di Arrival e di Blade Runner 2049 arrivano da posti molto diversi, quasi opposti, eppure conducono in luoghi simili. Il viaggio della fantascienza delineata da Denis Villeneuve sembra avere un percorso ben preciso: parte da un mondo freddo, quasi asettico e impersonale, per poi inabissarsi nel calore delle coscienze, abbracciare la consapevolezza dell'essere umano, provare ad abbozzare un senso dell'esistere. Chiamato all'arduo compito di dare un seguito ad un cult "intoccabile" come Blade Runner, il regista canadese ha raccolto la sfida dimostrando grande tatto nel maneggiare un genere complesso e saturo come la fantascienza. Quello di Villeneuve è stato un 2017 faticoso eppure lodevole, è stata una promessa mantenuta dallo sguardo sapiente del visionario e dalla rara sensibilità di un autore che ha a cuore qualcosa. Un anno, questo, che ci riconsegna un regista ormai maturo e capace di raccontare storie di alieni e di replicanti che non ci sembrano mai davvero lontane da quello che siamo oggi, saremo domani, siamo stati sempre. Mai così distanti dal bisogno di definire l'essere umano alle prese con i suoi dubbi, i suoi dilemmi e le meraviglie di cui la vita è capace.
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Così, col senno di poi, sembra quasi che Arrival sia servito come opera propedeutica verso l'approdo nell'oscura e innevata Los Angeles del 2049. Un'opera utile a calibrare il registro espressivo di una fantascienza gelida e calda allo stesso tempo, che sa ammaliare, spaventare, intrattenere e poi emozionare. Ma cosa lega davvero la lezione di semiotica di Louise Banks alla lunga ed estenuante ricerca dell'agente K? Cosa unisce cerchi scuri e numeri seriali sulle retine? Tra sguardi rivolti verso il cielo e mani pronte a scavare per scoprire la verità, proviamo a rispondere attraverso quattro punti di contatto tra Arrival e Blade Runner 2049. Film con creature eptapodi e cyborg possenti, eppure più umani degli umani.
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1. Un mondo freddo
Sembrano quasi opere "a spirale", che partono stando a largo, aperte su un mondo vasto, per poi stringersi sempre di più, avvitandosi ai loro personaggi e attorcigliandosi dentro le loro anime. Sia Arrival che Blade Runner 2049, in apertura, gettano sguardi dall'alto sui loro rispettivi mondi. Campi lunghi, lunghissimi, su strade, città, territori aperti e deserti. Le inquadrature in entrambi i casi raccontano di un mondo gelido e impersonale, assolutamente privo di calore. Arrival fa piombare la fantascienza dentro l'oggi, non racconta di un futuro lontano, ma l'ambientazione principale e ricorrente scelta da Villeneuve sembra avulsa dal tempo e dallo spazio: un terreno sterminato, che potrebbe essere ovunque.
I luoghi di Arrival sono asettici, resi minacciosi dalla fobia di un contagio, e persino l'abitazione di Louise, così vuota e piena di eco, ci restituisce una sensazione desolante. Blade Runner 2049, in perfetta continuità con il lavoro scenografico sontuoso orchestrato da Ridley Scott nel 1982, ci catapulta nel buio perenne di una megalopoli che culla solitudini, rancore e malessere.
Avvolta da uno strato di smog e nevischio, l'ombra sembra quasi fagocitare i suoi abitanti, illuminati soltanto dalle luci dei neon e degli enormi ologrammi pubblicitari che ammaliano, incantano e distraggono la popolazione dalla loro esistenza miserabile.
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2. Solitudini
Sia in Arrival che in Blade Runner 2049 il contesto è funzionale al racconto, coerente con due storie vincolate ad una profonda solitudine. Senza troppi fronzoli, infatti, le due opere di Villeneuve ci presentano presto due protagonisti che vivono da soli, due persone la cui unica esistenza si limita ad una mera funzione lavorativa. Louise Banks è chiamata ad interpretare oscuri messaggi alieni, ad instaurare un rapporto con misteriose creature di cui vanno svelate le intenzioni al più presto; l'agente K, invece, deve indagare su un clamoroso ritrovamento e cercare di insabbiare il miracolo di una replicante incinta. Amy Adams e Ryan Gosling incarnano così due individui immersi nell'abbandono, abituati a rimuginare sul proprio isolamento, almeno sino a quando una scintilla capitata per caso illumina le loro vite spente. Ed ecco che una linguista che impara a ricordare in "un'altra lingua" ed un replicante che, dopo aver soltanto ubbidito, finalmente risponde alla propria morale.
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3. Contatto
La fantascienza come terreno fertile per coltivare riflessioni sull'essere umano, sul suo ruolo nel mondo, sulla sua capacità di percepirsi come essere libero di scegliere, in grado di provare empatia e riconoscersi come essere cosciente grazie al libero arbitrio. Sembrano queste le coordinate di Arrival e Blade Runner 2049, due film in cui la tanto agognata consapevolezza di Louis e la graduale quanto irruenta liberazione di K dai suoi rigidi schemi di vita nascono da una scelta comune: quella di aprirsi all'altro, trovando nella diversità la chiave di volta delle proprie esistenze.
La fantascienza di Villeneuve è mossa dal bisogno viscerale di un contatto, si fonda sull'abbattimento effettivo di remore, paure e barriere, in modo che mani umane possano incontrare tentacoli alieni, e che i replicanti scoprano il calore autentico di una carezza. Quello del contatto con l'altro è, nella sua estrema semplicità, un atto rivoluzionario, una scelta irruenta che scardina e ridefinisce l'ordine prestabilito delle cose. Dopo che Louise si mostra ai presunti invasori per quella che è, e dopo che K emerge dal suo gelido quotidiano, i protagonisti di Arrival e di Blade Runner 2049 si tolgono di dosso un lungo torpore, tornando a vivere grazie al potere silenzioso di un semplice gesto.
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4. Ricordi, dolore, amore
C'è una fantascienza che ha nostalgia del futuro. Esiste una distopia malinconica. Nonostante il genere sci-fi ci proietti sempre avanti, immaginando scenari futuribili, Villeneuve inverte la tendenza e si ancora al passato dei suoi protagonisti. Sia Arrival che Blade Runner 2049, infatti, sono due odissee nella memoria, storie dove i ricordi assumono un significato fondamentale per il cammino dei protagonisti. Vale per Louise, che per tutta la durata di Arrival ci fa credere di essere ospiti dei suoi ricordi luttuosi, quando invece quei frammenti così pieni di dolcezza e di vuoto non sono che schegge di un futuro tutto ancora da abbracciare.
Vale per K, o meglio, per Joe, che trova proprio nell'autenticità del suo ricordo di infanzia la scintilla per la propria ribellione. Attraverso questa memoria ingannevole, Villeneuve racconta due storie dove amore e dolore si nascondono uno dietro l'altro. Come Deckard che capisce di aver davvero amato Rachael sentendone la lacerante mancanza. Come Louise che, pur di amare una figlia, ne accetta la morte. Questa è la fantascienza di Denis Villeneuve: un corpo dall'aspetto freddo dentro cui batte un cuore caldo, tiepidamente innamorato dell'umanità.