Si può discutere all'infinito del reale valore dei premi dei festival cinematografici - e magari lo faremo più approfonditamente nei prossimi giorni - ma non ci sono dubbi che di un'edizione di un festival, sulla lunga distanza, rimanga soprattutto il vincitore. Quando si parla degli anni passati di Cannes tra colleghi o scrivendo un articolo, per esempio, ci si riferisce sempre alle passate edizione come "l'anno di The Tree of Life", "l'anno di La vita di Adele" o "l'edizione che ha visto trionfare Pulp Fiction"; al massimo si può citare il presidente di Giuria quando è particolarmente significativo, tipo "l'edizione che ha visto Tim Burton premiare Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti?" o "l'edizione in cui Tarantino ha fatto arrabbiare tutti con la Palma a Fahrenheit 9/11".
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È un modo di fare che certamente sminuisce quello che è il Festival nel suo complesso, ma vale lo stesso per gli Oscar e per altri premi non cinematografici; come si suol dire, a scrivere la storia sono i vincitori. E quindi non ci sono dubbi che questo Festival di Cannes 2016 rimarrà negli annali come l'anno in cui George Miller ha premiato il film socialista I, Daniel Blake, consegnando all'ottantenne Ken Loach la sua seconda Palma d'oro dopo quella del 2006 per Il vento che accarezza l'erba.
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Piovono palme
A vincere due Palme d'oro finora erano stati in pochi (Francis Ford Coppola, Emir Kusturica, Michael Haneke e i Fratelli Dardenne), e che si aggiunga a questa prestigiosa lista un regista come Ken Loach - per di più in età avanzata e con quello che dovrebbe essere il suo ultimo film (ma in realtà lo dice ogni volta) - non può che far piacere, anche e soprattutto da un punto di vista umano. E fa piacere anche per il messaggio di speranza ("un altro mondo è possibile e necessario") che lancia dalla Croisette.
Ma I, Daniel Blake - è bene ribadirlo - è anche un bel film ed un'opera dal tema importante, attuale ed universale; ed è vero che nessuno, o quasi, si aspettava che potesse vincere o anche solo conquistare un premio (anche se il protagonista Dave Johns era certamente lizza), ma è soprattutto per i meriti degli altri (esclusi in primis) che per demeriti di Loach. Il regista inglese ha in fondo un'unica colpa, quella di aver fatto un film molto classico, forse troppo, e assolutamente coerente con il resto di un'incredibile carriera che va avanti da cinquant'anni. Per onestà andrebbe anche detto che si tratta del miglior film di Loach, il più completo e il più equilibrato, da almeno 10 anni.
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Una giuria impopolare
Superato lo shock di questa Palma a sorpresa, viene francamente meno semplice accettare altre scelte della giuria: è evidente che il bel film iraniano The Salesman sia molto piaciuto, tanto da ricevere ben due premi, quello all'attore protagonista Shahab Hosseini (ma la magnifica controparte Taraneh Alidoosti avrebbe meritato forse di più) e quello alla sceneggiatura complessa e ricchissima di Asghar Farhadi; per il resto l'impressione è che ci sia stata qualche difficoltà ad accordarsi, che ci siano stati molti film che hanno colpito i singoli giurati e che si sia cercato di creare un palmares che potesse accontentare un po' tutti. In fondo è sempre così, ma l'impressione è che mai come quest'anno ci siano stati pareri molto discordanti: ad esempio lo strambo ex aequo alla regia tra Cristian Mungiu e Olivier Assayas, con due film che non potrebbero essere più diversi, ci lascia molto perplessi.
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La scelta che ha fatto più discutere però è senza dubbio quella di premiare l'attrice Jaclyn Jose per Ma' Rosa del filippino Brillante Mendoza, anche qui non tanto perché non sia brava ma perché la concorrenza per quanto riguarda le interpretazioni femminili quest'anno era davvero impressionante: Isabelle Huppert, Sandra Hüller, e Sonia Braga sono tutti nomi prestigiosi che avevano alle spalle film amatissimi ed importanti, ma in fondo anche le dive Marion Cotillard e Kristen Stewart avrebbero potuto puntare ad un premio che avrebbe in qualche modo fatto felice anche i padroni di casa. Si tratta così di un premio, invece, che davvero non sembra accontentare nessuno.
Chiudiamo invece il capitolo giuria con il Gran Prix assegnato a Xavier Dolan che con il suo It's Only The End of The World aveva diviso moltissimo e invece si porta a casa, in modo inaspettato, il secondo premio per importanza di tutto il palmares. Dell'indiscutibile talento del giovanissimo regista francese abbiamo detto tante volte ed è bello vedere che venga riconosciuto, per la seconda volta consecutiva, proprio in quel Festival che l'ha scoperto; si è già aperto però il dibattito su quanto questo premio possa aiutare/rovinare la sua carriera, visto che arriva con un film che non ha avuto un successo plebiscitario come il precedente Mommy. Dal canto nostro, nella recensione abbiamo già detto un film così diverso non può che far bene alla sua carriera, ma è ovvio che chi trovava Dolan arrogante ieri a maggior ragione lo penserà oggi. Ma da quando in qua gli enfant prodige sono simpatici? E perché mai poi un 27enne dovrebbe mostrarsi umile dopo che con il suo sesto film (quinto a Cannes) ha già vinto il suo sesto premio ufficiale nel festival cinematografico per eccellenza?
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Onore agli esclusi...
Proprio perché, come abbiamo detto, il palmares permetterà a tutti questi film e questi artisti già citati di rimanere nella storia del Festival e del cinema, ci sembra quantomeno corretto dedicare un po' di spazio ai film che invece la giuria internazionale ha completamente ignorato e che, secondo noi e tanti altri, avrebbero invece meritato molta più attenzione. Ci riferiamo in particolare al brasiliano Aquarius di Kleber Mendonça Filho, al tedesco Toni Erdmann di Maren Ade, al rumeno Sieranevada di Cristi Puiu, allo statunitense Paterson di Jim Jarmusch e ad Elle dell'olandese Paul Verhoeven.
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Cos'hanno in comune tutti questi film oltre a non essere finiti nel palmares? Sono stati innanzitutto i film con la media voto più alta in assoluto sulle riviste di cinema internazionale e quelli che hanno ricevuto più applausi durante le proiezioni. Sono stati anche i film più coraggiosi, originali ed innovativi del concorso. E, considerato invece quanto sia tradizionale il film scelto per la Palma, è stato proprio questo il motivo che li ha tenuti lontani dai premi.
...e ai selezionatori
Proprio per questo motivo però questi film vanno elogiati e vanno elogiati coloro che al festival li hanno portati e li hanno inseriti in concorso nonostante per esempio ci fosse già un altro film rumeno (e tra Puiu e Mungiu è stata una lotta tra giganti), nonostante fosse fondamentalmente una commedia (Toni Erdmann ci ha fatto ridere fino alle lacrime), nonostante fosse un film antinarrativo e minimalista (la poetica settimana del conducente di autobus interpretato da Adam Driver), nonostante trattasse in modo scherzoso, amorale e rivoluzionario il tema serissimo dello stupro (e solo la Huppert poteva riuscirci così).
Il risultato è che era tanto, tanto tempo che non vedevamo un concorso così bello, così vario, imprevedibile. Certo, errori ed orrori non mancano mai (qualcuno ha detto The Last Face di Sean Penn?) e ci sarebbe discutere per un anno intero sul perché mai un film come Neruda di Pablo Larrain sia finito alla Quinzaine o perché mai un film come quello di Virzì non abbia trovato maggiore spazio, vista anche l'affinità tematica con il resto del concorso che ha dato grande spazio ai film al femminile se non apertamente femministi come quello di Verhoeven. E l'ha fatto dimostrando che non serve necessariamente avere registi donne (che comunque quest'anno non sono mancate) per farlo. Anzi.
Prossima fermata, i 70 anni di Cannes!
Va segnalato anche che dopo le tante critiche dello scorso anno, quest'anno tutto ha funzionato per il meglio in termini di organizzazione, nonostante le precauzioni antiterrorismo e l'immancabile affollamento: senza mai stravolgere il proprio credo, il Festival ha semplicemente limato alcune cose che non stavano più funzionando al meglio con ottimi risultati. Anche per questo siamo curiosi di sapere cosa ci attenderà l'anno prossimo, quando si taglierà un traguardo importante, anche perché l'edizione del sessantennale del 2007 rimane ancora oggi forse la migliore in assoluto da quando abbiamo partecipato, sia per i film presenti che per le tante iniziative che non facevano altro che confermare il ruolo assolutamente da protagonista di Cannes, il festival del cinema più bello ed importante del mondo.