Sette candidature, di cui sei tecniche (scenografia, costumi, missaggio sonoro, montaggio sonoro, musica, canzone). E poi quella grossa, inaudita per un lungometraggio di questo tipo: Miglior Film. Con l'annuncio delle nomination della novantunesima edizione degli Oscar 2019, Black Panther è entrato nella storia come primo adattamento cinematografico di un fumetto a portarsi a casa la candidatura più ambita. Un primato che ha inevitabilmente portato al dibattito nel giro di pochi minuti, tra allarmismi su una presunta perdita di credibilità da parte dell'Academy, complottismi sull'influenza nefasta della Disney (che è anche proprietaria della ABC, il canale che trasmette la cerimonia degli Oscar da anni) e discussioni, queste un po' più serie, sui meriti di un film che è finito nella stessa categoria di altri sette lungometraggi più convenzionalmente premiabili. Come siamo arrivati a questa svolta che, a detta dei più, doveva manifestarsi già dieci anni fa con Il cavaliere oscuro? Per capirlo è necessario analizzare il passato, riflettere su alcune evoluzioni significative nel presente e sfatare qualche mito legato al premio più prestigioso di Hollywood. N.B. Questo articolo contiene alcuni spoiler, si sconsiglia pertanto la lettura a chi non ha visto il film.
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Questo film non s'ha da premiare!
Negli anni passati, il cinecomic in senso stretto poteva aspirare, per lo più, a riconoscimenti tecnici, come il recente Oscar per il trucco assegnato a Suicide Squad. L'eccezione di un certo peso fu Il cavaliere oscuro, che oltre alle candidature di rito si ritrovò anche nella cinquina dei migliori attori non protagonisti, grazie alla performance del compianto Heath Ledger nei panni del Joker. Un premio postumo, ma meritato e per nulla strategico, tant'è che le prime chiacchiere su possibili riconoscimenti per l'attore ci furono con l'uscita del teaser alla fine del 2007, circa un mese prima della tragica morte di Ledger. Non ci furono però nomination nelle altre categorie importanti, e non ce ne fu nessuna per il terzo episodio della trilogia di Christopher Nolan, nonostante l'espansione dei papabili per la statuetta principale (adesso, in base ai voti che si prende il singolo lungometraggio, è possibile arrivare fino a un massimo di dieci candidature). Poi, lo scorso anno, l'altra nomination importante, quella di Logan - The Wolverine per la sceneggiatura non originale, categoria dove, per l'apposito premio assegnato dal sindacato degli sceneggiatori, i cinecomics hanno goduto di un certo apprezzamento negli ultimi anni.
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Per il resto, gli unici adattamenti di fumetti che riuscivano a strappare candidature di peso - film come Era mio padre e A History of Violence - ci riuscivano perché sotto le mentite spoglie di trasposizioni propriamente letterarie: la fonte era una graphic novel, non un comic book. Altrove, un adattamento Marvel come Big Hero 6 si è portato a casa la statuetta come miglior film d'animazione perché quella categoria è vista con un certo snobismo da molti membri dell'Academy, i quali spesso votano in base alle preferenze dei loro figli. La discriminazione nei confronti dei comic books fu confermata ufficiosamente nel 2012, quando un anonimo membro votante, intervistato da Variety, affermò che il terzo cinecomic di Nolan non avrebbe fatto incetta di premi, sulla falsariga de Il signore degli anelli - Il ritorno del re, poiché tratto da un fumetto e non da un'opera letteraria. Ciò non ha però scoraggiato gli studios: due anni fa la 20th Century Fox ci provò con Deadpool, e l'anno scorso si parlò molto di possibili candidature per Wonder Woman, il primo cinecomic di successo tutto al femminile.
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E poi arriva la Pantera...
Dopo varie false partenze (il primo tentativo serio di portare T'Challa sullo schermo risale al 1992, e nei primi anni del Marvel Cinematic Universe ci fu il presunto veto di Ike Perlmutter), Black Panther è finalmente arrivato sugli schermi all'inizio del 2018, e si è rapidamente tramutato in un fenomeno colossale, chiudendo l'anno come maggiore incasso al box office americano e secondo a livello mondiale. Un successo che va ben oltre la forza dell'ormai consolidato brand della Marvel (ad oggi, l'incasso medio globale è appena sotto i 900 milioni di dollari), ed è legato in non piccola parte al clima politico e sociale americano: se infatti il film è stato accolto bene un po' ovunque, negli Stati Uniti è stato visto come un vero emblema del cambiamento a livello di mentalità produttiva. Parliamo infatti di un autentico kolossal, costato circa 200 milioni di dollari, quasi interamente ambientato in una (fittizia) nazione africana e realizzato da un cast e una troupe per lo più di afroamericani. Non è il primo superhero movie dall'impronta black (basti pensare a Blade), ma è il primo ad avere le dimensioni di un vero e proprio blockbuster.
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Non è neanche il primo cinecomic a trattare argomenti seri sul piano politico o sociale (l'apripista è stato X-Men, quasi vent'anni fa), ma è il primo dai tempi della trilogia di Nolan ad ispirare discussioni su come tratta tematiche come il colonialismo, la schiavitù e l'oppressione delle minoranze, riassumendo per certi versi oltre due secoli di controversa storia americana: l'antagonista Erik Killmonger è cresciuto in una California segnata dal pestaggio di Rodney King e dal processo a O.J. Simpson, ha vissuto sulla propria pelle ciò che ha portato alla nascita del movimento Black Lives Matter e, prima di morire (per sua scelta) in seguito alle ferite riportare durante lo scontro finale con il cugino T'Challa, si congeda dall'avversario con la frase "Seppelliscimi nell'oceano con i miei antenati che saltarono dalle navi, perché loro sapevano che la morte è meglio delle catene." Non c'è da sorprendersi se il film è riuscito a conquistare un mercato dove proprio le minoranze costituiscono una percentuale non indifferente del pubblico pagante e si sentono spesso sottorappresentate sullo schermo (infatti l'altro caso cinematografico dell'anno negli USA, in termini di accoglienza del pubblico, è stato Crazy & Rich, commedia con un cast interamente asiatico che in America ha incassato quasi sei volte il suo budget). Il suo impatto è stato tale da giustificare anche una proiezione speciale al Festival di Cannes e una masterclass del regista all'interno della prestigiosa kermesse francese.
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Una nuova Academy?
A conti fatti, e partendo dal presupposto che gli Oscar non si sono mai focalizzati esclusivamente sulla qualità, non è quindi tanto sorprendente che un cinecomic con quelle caratteristiche specifiche sia arrivato alla nomination come miglior film, un anno dopo la consacrazione di Scappa - Get Out, altro lungometraggio di genere (in questo caso horror) a tema black che è riuscito a convincere l'Academy, con tanto di statuetta per la sceneggiatura (e dopo la cerimonia dello scorso anno fu proprio un certo Nolan a profetizzare la nomination per la Marvel). O almeno, ciò che l'Academy sta diventando: sebbene l'età media dei membri votanti sia comunque ancora intorno ai sessant'anni, negli ultimi tempi è stata avviata una sorta di "svecchiamento", con nuove reclute più giovani e di estrazione mista. I risultati si sono già visti in parte lo scorso anno, proprio con le candidature a film di Jordan Peele che, stando a dichiarazioni di alcuni dei diretti interessati, è piaciuto di più alle nuove generazioni (un neo-membro ha affermato in un'intervista che alcuni degli "anziani" non l'hanno proprio visto, giudicandolo "non da Oscar"). È quindi molto probabile che l'ingresso di una fascia d'età più giovane abbia influito sulla scelta ciò che, solo dieci anni fa, sarebbe stato bollato come un semplice adattamento di un fumetto. Va inoltre considerato che, essendo la statuetta principale assegnata ai produttori e non al regista (a meno che non sia lui stesso produttore), questa nomination sia anche un dovuto omaggio all'operato di Kevin Feige, che proprio nel 2018 ha festeggiato i dieci anni di quel progetto folle che è il Marvel Cinematic Universe, un'idea per la quale lui ha dovuto lottare non poche volte (e che gli è valsa anche il premio alla carriera da parte del Producers Guild of America).
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Questo primo trionfo (e per il momento probabilmente unico, poiché difficilmente la nomination si tramuterà in vittoria) è significativo anche perché arriva dopo il tentativo fallimentare, da parte dell'Academy, di istituire una nuova categoria per gli Oscar 2019 dedicata ai film "popolari". Un concetto a dir poco vago - motivo per cui l'idea è stata accantonata - ma anche privo di senso, poiché porta avanti lo stereotipo della notte degli Oscar come cerimonia dove si celebrano solo film indipendenti, d'autore, impegnati, in costume e chi più ne ha più ne metta. In realtà il cinema popolare ha sempre avuto i suoi spazi tra i papabili per la statuetta più ambita, che si tratti di sole nomination (Inception e Avatar) o addirittura di vittorie (Titanic). Basti pensare che nel 1976 e nel 1978, nelle rispettive cinquine, ci furono entrambi gli antesignani del blockbuster estivo, ossia Lo squalo e Guerre stellari. E lo scorso anno il trionfatore principale è stato La forma dell'acqua - The Shape of Water, un fantahorror che ha ben poco in comune con il cliché del film "da Oscar". Perché creare una categoria in più, quindi, per qualcosa che in realtà ha sempre fatto parte della serata?
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What's next?
Tenendo presente tutto questo, la presenza del film di Ryan Coogler, che ha anche beneficiato di una campagna promozionale notevole (altro elemento fondamentale per arrivare alle candidature), non è poi così "scandalosa". Le major cercano costantemente di sfondare la barriera dei premi con titoli non proprio "prestigiosi", talvolta senza criterio (nel 2016 la Universal propose, in tutte le categorie disponibili, Fast & Furious 7). La Marvel e la Disney, che di solito puntano solo alle nomination tecniche, hanno avuto l'accortezza di scegliere il lungometraggio giusto per abbattere il "tabù" del cinecomic, spianando la strada per altri film del genere che potranno, in futuro, ambire alla medesima posizione. Eventuali dubbi sulla qualità del prodotto sono più che legittimi, come sempre quando si tratta di ambiti soggettivi come l'arte, ma quando si parla di Oscar la qualità è solo un fattore. E se nel frattempo questo importante traguardo serve anche per rimettere in discussione, e potenzialmente debellare del tutto, la nozione arcaica ed errata di cosa sia un film "degno dell'Academy", tanto di guadagnato.