Big Bug, la recensione: Il futuro colorato e inquietante secondo Jean-Pierre Jeunet è su Netflix

La recensione di Big Bug: il nuovo film di Jean-Pierre Jeunet, in streaming su Netflix dall'11 febbraio, è un racconto di fantascienza distopica, ma virato nei toni del grottesco, in una sorta di coloratissima sitcom.

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Bigbug: una sequenza del film

Jean-Pierre Jeunet ci ha abituato a continui viaggi nel futuro e nel passato. Nella recensione di Big Bug, il suo nuovo film, disponibile in streaming su Netflix dall'11 febbraio, vi parleremo di un viaggio nel futuro. Jeunet ci aveva portato nel passato con Una lunga domenica di passioni, e nel futuro con Alien - La clonazione. Anche Il favoloso mondo di Amelie, pur essendo ambientato nel presente, aveva una forte impronta retro. Big Bug è proiettato nel futuro, ma non è quello della fantascienza horror di Alien, quanto piuttosto un racconto alla classica maniera della fantascienza distopica, quella fantascienza intelligente che vuole riflettere sul nostro rapporto con la tecnologia e il progresso. Jeunet ovviamente lo fa alla sua maniera, costruendo un'immagine del futuro che non abbiamo mai visto, coloratissima, e riproponendo le riflessioni di decine di film che abbiamo già visto, ma con un tono completamente diverso, quello del grottesco. L'esperimento è curioso, interessante, le riflessioni sono pertinenti. Il fatto è che la continua ricerca della gag e della stranezza a tutti i costi finisce per annacquare la riflessione, i sentimenti, l'intensità della storia. E per farci perdere di vista i personaggi.

Le macchine ribelli

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Bigbug: un'immagine

In una casa benestante e ipertecnologica, vediamo una famiglia in cui marito e moglie ormai non stanno più insieme: lui (Youssef Hajdi) ha una nuova amante (Claire Chust), lei (Elsa Zylberstein) è attratta da un altro uomo (Stéphane De Groodt). Marito e amante sono passati a casa prima di andare in vacanza ma, prima che se ne possano andare, l'intelligenza Artificiale a cui è stato delegato il controllo di tutta la casa blocca le porte d'accesso, e così la famiglia, ormai divisa, è costretta a una convivenza forzata. All'esterno, intanto, sembra che tutte le Intelligenze Artificiali si stiano ribellando.

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Il mondo dei mecca

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Bigbug: un frame del film

Lo scenario è di quelli interessanti. Jean-Pierre Jeunet ci racconta un mondo dove i mecca, creature sintetiche governate da Intelligenze Artificiali convivono con gli umani, ma hanno quasi preso il sopravvento. Creano dei programmi tv in cui umiliano gli umani, li deridono. Le pubblicità arrivano a domicilio, con una sorta di schermo volante, rivolgendosi direttamente a noi, e proponendoci quello di cui abbiamo bisogno: un po' quello che già accade oggi con mail e pubblicità on line, ma ancora più invasivo e personalizzato (e già visto in Minority Report). I cani vengono clonati, così vivono in eterno, e l'assistente virtuale non è un sistema operativo come Alexa, ma è un androide vero e proprio, con un corpo da donna, che controlla tutto. Einstein è l'altra intelligenza artificiale dalla casa, ma ha una struttura particolare: è stato assemblato dal capofamiglia, e ha un volto che sembra una sorta si quadro di Arcimboldo, ma meccanico, che sta su un corpo che è fatto da una serie di zampe, come se fosse un ragno (nella versione originale ha la voce di André Dussollier).

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Bigbug: un'immagine del film

Dove l'abbiamo già visto?

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Bigbug: una sequenza

L'Intelligenza Artificiale che si ribella, le macchine che prendono il comando, sono ormai un archetipo della fantascienza. È Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio, Skynet di Terminator, è l'androide di Blade Runner. O, se volete, gli automi di Westworld. La novità di Jeunet è quella di togliere dal quadro le cornici classiche della distopia, le megalopoli di Blade Runner, affollate e sporche, gli scenari spaziali, e riportare tutto ad un kammerspiel, un dramma da camera (o, se volete, una sitcom) ambientato tutto in una casa, in un racconto in unità di tempo e luogo (o quasi) che potrebbe essere una pièce teatrale. La novità sta soprattutto nel rompere con la tradizione che vuole il futuro dipinto a tine oscure (vedi appunto Blade Runner), o, al contrario, lo vuole molto pulito ed essenziale (vedi, ad esempio, Lei). Jeunet dipinge il nostro domani con i suoi proverbiali colori. Sono colori accesi, carichi, saturi: i verdi, i rossi, gli arancioni, sono ancora quelli de Il favoloso mondo di Amélie, ma se lì avevano il compito di dare in tocco retro e magico a quel film, qui servono a raffigurare un futuro tutto sommato quieto, patinato, pulito, ordinato. Ma gli interrogativi, i dubbi che ci poniamo sul nostro rapporto con la tecnologia sono gli stessi degli altri film. Anzi, questa cornice finto-idilliaca, forse, li rende ancora più inquietanti. È come se dicesse: credete di essere al sicuro, ma non lo siete.

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Il bisogno di regole

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Bigbug: una foto del film

In Big Bug si parla spesso di leggi, di regole, di autorizzazioni. È un riflesso del dibattito che una serie di saggi e di associazioni sta mettendo in atto perché la materia dell'Intelligenza Artificiale vada regolata il più possibile e si mantenga un'etica. Ma, rispetto alle riflessioni che abbiamo già visto altrove, introduce un altro elemento. Se spesso abbiamo visto le macchine con un desiderio semplice, quello di comandare, qui vediamo delle Intelligenze Artificiali cercare in tutti i modi di assomigliare agli umani. Se i replicanti ribelli di Blade Runner invidiavano agli umani la lunghezza della vita, qui invidiano altri aspetti: la capacità di sedurre, l'umorismo, che della seduzione è la chiave, il cuore, la cultura. Il modo in cui provano maldestramente ad essere divertenti, ad assimilare velocemente pagine e pagine di letteratura, è un tocco originale del film. Ma non riesce, in fondo, a strappare un sorriso. Ed è tutto Big Bug che non diverte mai. È un umorismo amaro, cinico, da risata a denti stetti, che dal sorriso dovrebbe farci passare alla riflessione. Il fatto è che la risata non scatta mai, e la riflessione è già stata fatta molte volte. E meglio. Quello che rimane è una serie di situazioni paradossali, situazione che, a pensarci, ci sono già oggi, ma che sono solamente portate all'estremo. Come dicevamo in apertura, la continua ricerca della gag, della stranezza, distrae lo spettatore, lo fa allontanare da storia e personaggi.

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Bigbug: una scena del film

Questo non è dolore...

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Bigbug: una scena del film

"Questo non è dolore, è una combinazione con qualcos'altro", è la battuta più simpatica. La dice una Delle Intelligenze Artificiali mentre sente le urla di una ragazza che sta facendo sesso, e, essendo un suono che non conosce, cerca di interpretarlo. E così Jeunet vuole dirci che lo spettro delle emozioni umane è talmente complesso che è molto difficile da interpretare, capire, replicare. Lo è per noi, figurarci per le Intelligenze Artificiali. Vuole dirci che essere umani è qualcosa di prezioso, e che dobbiamo cercare, scusate il gioco di parole, di essere umani il più possibile.

Conclusioni

Nella recensione di Big Bug vi abbiamo raccontato un futuro che non abbiamo mai visto, coloratissimo. Le riflessioni sono quelle di decine di film che abbiamo già visto, ma con un tono diverso, grottesco. Ma la continua ricerca della gag e della stranezza a tutti i costi finisce per annacquare la riflessione, i sentimenti, l'intensità della storia. E per farci perdere di vista i personaggi.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • Jeunet prende la fantascienza distopica e la trasforma in una visione del futuro inedita e coloratissima.
  • L'idea di farne una sitcom e di raccontare la storia con umorismo...

Cosa non va

  • ... che però non funziona mai davvero, e finisce per annacquare la storia e le riflessioni.
  • Le riflessioni e i temi al centro del film sono già viste in decine di altre opere.