Che Avengers: Endgame, e più in generale tutto il Marvel Cinematic Universe, siano già parte integrante della storia del cinema lo abbiamo detto nella nostra recensione. E ci siamo presi non poche, seppur prevedibilissime, critiche da chi non vuole accettare che il cinema, così come il mondo intero, stia cambiando. Dopo aver potuto finalmente riflettere qualche ora in più, vogliamo tornare sull'importanza e sul significato di questo film e ampliare un po' il discorso che avevamo potuto appena accennare.
Si tratta di una riflessione che, sia chiaro, si basa solo in parte sulla qualità del film stesso - per noi comunque assolutamente confermata se non addirittura accresciuta dopo una seconda visione in lingua originale - ma non solo, perché dovrebbe essere ormai evidente a tutti che film, anzi eventi cinematografici, del genere vadano ormai esaminati e valutati in senso molto più ampio. Perché la loro importanza, l'impatto socio-culturale che ne consegue, non si chiude nell'arco delle due o tre ore di durata, ma va ben oltre.
Se quindi avete già visto Avengers: Endgame, o quantomeno siete disposti a leggere qualche spoiler sull'ultimo film dei fratelli Russo, permetteteci di spiegarvi perché secondo noi questo 22esimo film dei Marvel Studios racchiude l'essenza del cinema mainstream dell'intero decennio. E forse anche del prossimo.
La serialità applicata al grande schermo
Di come l'MCU abbia fatto la sua fortuna applicando molti dei concetti base delle serie televisive al cinema si è parlato tanto e in diverse occasioni. D'altronde la formula, così come il risultato, dovrebbe essere evidente a tutti. Il che, però, non significa che sia così facile da replicare come ben dimostrano i tanti tentativi falliti della Warner/DC. Una serie per diventare un vero e proprio fenomeno, vedi ad esempio Il trono di spade, deve poter contare su un progetto forte e lungimirante, su budget imponenti, sulla volontà di rischiare ed andare per la propria strada anche quando piovono critiche o il successo (iniziale) non è quello sperato. Bisogna avere pazienza, esperienza e coraggio; ma bisogna, soprattutto, avere le persone giuste al comando.
Kevin Feige è il "genio" (ma forse a questo punto le virgolette non sono nemmeno più necessarie) dietro al successo della più grande saga cinematografica di sempre e proviene, guarda caso, dai successi/fallimenti di tante altre saghe che avevano provato a fare qualcosa di simile ma senza la necessaria ambizione: gli X-Men di Singer, gli Spider-Man di Raimi, I Fantastici quattro con e senza Silver Surfer, la (terribile) trilogia Daredevil/The Punisher/Elektra. Un primo modo di vivere e vedere il cinecomic che ha portato risultati importanti, soprattutto economici, ma che non è mai riuscito ad elevare il concetto di saga ad universo cinematografico vero e proprio. Finché lo spirito da "fanboy" di Feige e della Marvel stessa non ha prevalso e ha deciso di partire da un concetto molto semplice: fumetti e cinema sono una cosa molto diversa. Se quindi bisognava provare a trasmettere lo spirito dei fumetti, la forza di quel tipo di narrazione, non si poteva fare altro che mettere un attimo da parte il cinema e avvicinarsi invece al mondo televisivo. Quello delle serie che nel frattempo era sbocciato e si trovava in una nuova Golden Age.
Il Marvel Cinematic Universe è nato ufficialmente nel 2008 con Iron Man, ma è stato solo nel 2012 con The Avengers che ha permesso a tutti di capire le vere potenzialità del progetto. Ed è stato un regista ed un autore televisivo come Joss Whedon a dirigere quell'enorme successo ma soprattutto a diventare una seconda "mente" dietro l'intera Fase Due. Whedon di serie e successi se ne intende, ed è evidente ora che uno dei suoi più grandi contributi - diretto o indiretto non ha importanza - sia stato proprio quello di fare da trait d'union proprio tra cinema e TV. Non è un caso che dopo di lui, con poche eccezioni, i registi dei film Marvel siano quasi tutti venuti dalle serie tv: Alan Taylor (da Il trono di spade a Thor 2), Peyton Reed (da New Girl a Ant-Man), Taika Waititi (da Flight of the Conchords a Thor Ragnarock), Anna Boden e Ryan Fleck (da In Treatment a Captain Marvel) e ovviamente i Russo (da Community e 30 Rock a Winter Soldier, Civil War e gli ultimi due Avengers). Si tratta di un'inversione di tendenza sostanziale per quello che è il mondo dei blockbuster ad altissimo budget hollywodiani, ma una scelta chiaramente vincente e soprattutto lungimirante, tesa non al successo o alla perfetta riuscita del singolo film ma dell'intero ciclo.
Lo star system al servizio della narrazione
Se gli anni e i decenni precedenti quindi erano stati caratterizzati dai blockbuster dei grandi nomi del genere (James Cameron, Michael Bay, Roland Emmerich, Peter Jackson...) l'era dei Marvel Studios ha puntato su una gestione più corale e meno dispotica dietro la macchina da presa e una sempre e maggiore attenzione e inclusione degli attori all'interno del progetto. Feige sapeva che per far funzionare il suo rivoluzionario progetto bisognava scegliere gli interpreti giusti e cedere loro gran parte del potere contrattuale e mediatico. Il vero miracolo è stato proprio questo, quello di essere riuscito a gestire (e far gestire) così tanti divi con quella che (all'esterno almeno) sembra una grande naturalezza e facilità. Anche qui sicuramente gli insegnamenti e i consigli migliori devono essere arrivati da chi aveva esperienza in campo televisivo, perchè, come accade per molte serie, si è creato non solo un team di lavoro ma una vera e propria "famiglia". E a quel punto le tantissime star hanno dovuto accettare che in alcuni casi il loro screen time sarebbe stato limitato e che il loro ruolo sarebbe stato marginale in alcuni film. Perché al centro di tutto non c'era il singolo attore ma la storia che stavano raccontando. Un storia che ha un valore infinitamente superiore a quello del singolo film o del singolo personaggio. Facile no?
Provate a vedere come è andata tante e tante volte in saghe cinematografiche molto meno sostanziose, provate a leggere delle occasioni in cui i "capricci" delle star hanno bloccato per anni e anni progetti che sembravano praticamente certi. Solo così si più capire il grandissimo lavoro di Feige e di come queste 22 produzioni Marvel abbiano dato uno scossone enorme allo star system Hollywoodiano. La scena finale del funerale di Avengers: Endgame è come un finale di serie in cui tornano praticamente tutti i personaggi, solo che davanti a noi sullo schermo abbiamo alcuni dei più grandi divi degli ultimi decenni e probabilmente tutti coloro che domineranno gli schermi dei prossimi anni a seguire: è una dimostrazione di forza imponente da parte della Marvel/Disney.
Il potere della nostalgia e della familiarità
Che invece ad Hollywood, ma non solo, negli ultimi tempi ci sia una predilezione per il passato ve ne sarete accorti da soli, no? Film e serie ambientati negli anni '80, omaggi continui a grandi classici del passato, reboot e remake di ogni tipo. La Marvel ha intelligentemente girato attorno a questi concetti senza mai affrontarli di petto, ma ha comunque detto la sua sull'argomento. Le citazioni cinematografiche per esempio non sono mai mancate e hanno fatto sobbalzare intere file di spettatori quando, nel caso di quei "vecchi film" degli anni '80 come direbbe Peter Parker, hanno richiamato momenti topici di film quali L'impero colpisce ancora o Aliens. L'omaggio più bello però c'è proprio in Endgame ed è alla saga di Ritorno al futuro: non ci riferiamo al (riuscitissimo) scambio di battute tra gli Avengers quando discutono del viaggio nel tempo, ma alla "rapina temporale" vera e propria che altri non è che una versione aggiornata di Ritorno al futuro parte II.
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Ed è una trovata assolutamente geniale (come d'altronde lo era stata all'epoca quella di Zemeckis stesso) perché in questo caso ha una doppia valenza: non solo può puntare (in modo piuttosto furbo e subdolo) su quell'effetto nostalgia che va tanto di moda, ma in qualche modo permette alla Marvel di sottolineare come e quali dei loro film precedenti siano diventati già dei veri e propri classici per il pubblico di oggi. The Avengers, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia, sono soltanto 3 dei 22 film che compongono l'MCU ma sono anche i tre film che forse più di tutti hanno lasciato un segno importante nella società contemporanea e nel cinema di questo decennio.
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Sono anche film che contengono diverse scene già cult che gli spettatori conoscono a memoria ma che qui possono venire rielaborate in modo divertente ed epico al tempo stesso: ed è così che rivediamo il piano sequenza di Whedon che gira attorno agli Avengers originali o la definitiva cattura di Loki, Starlord che canta a squarciagola con il suo walkman e perfino una nuova sequenza in ascensore tra Captain America e l'Hydra. Ognuna di queste scene acquista un nuovo maggiore valore nel momento in cui le rivediamo oggi, con il filtro di nuovi personaggi e nuove consapevolezze, e addirittura nel caso di Cap, con quell'Hail Hydra che ha fatto quasi esplodere la testa di milioni di fan, diventa doppiamente cult e doppiamente meta nel momento in cui richiama anche un momento molto discusso del decennio fumettistico.
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Tutta la parte centrale di Avengers: Endgame è quindi davvero geniale non solo perché celebra nel modo migliore possibile la saga, ma ne rafforza la valenza pop. Per di più introduce, in modo furbo, un concetto molto caro al mondo dei fumetti quale quello delle dimensioni e realtà alternative: cosa vieta adesso alla Marvel di continuare a fare avanti e indietro nel tempo e mostrarci, magari solo occasionalmente, personaggi che credevamo morti per sempre? Non è forse quello che probabilmente è già in qualche modo avvenuto con Loki che ruba il Tesseract e sparisce non si sa dove? O con Captain America e l'Agente Carter? Le possibilità a questo punto diventano davvero infinite e, cosa ancora più importante, potenzialmente più forti da un punto di vista narrativo ed emozionale. A questo punto non servono più scuse per remake o reboot, è tutto già previsto.
Hollywood fa i conti con i nuovi poteri forti
Questo decennio cinematografico è stato anche caratterizzato da due importanti movimenti che hanno fatto breccia nell'industria hollywoodiana cominciando a portare dei primi importanti risultati. Sia per quanto riguarda il movimento femminista che quello relativo alla scarsa rappresentanza del cinema black la Disney/Marvel si è mossa, e lo ha fatto in modo intelligente. Per alcuni detrattori sarà forse troppo tardi o troppo poco, ma intanto Avengers: Endgame anche da questo punto di vista si dimostra un passo avanti rispetto a tutta la concorrenza. La potenza di Captain Marvel e la sequenza (paracula quanto volete, ma intanto funzionale) con tutte le supereroine unite, sono un biglietto da visita importante per il futuro di questa saga e forse anche un significativo mea culpa da parte della Marvel che fino ad ora aveva sfruttato poco e male l'unico personaggio femminile degno di nota: tanto è vero che lo uccide regalandole una chiusura importante ed un eventuale trampolino di lancio per un nuovo significativo inizio in eventuali spin-off/prequel con regista donna al seguito. Anche il passaggio di testimone da Thor a Valchiria non è difficile da interpretare, perché risponde ad entrambe le esigenze.
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Sul fronte black la Marvel ha già recuperato tanti colpi l'anno scorso con l'enorme successo di Black Panther e non è un caso che i primi rinforzi per Captain America da solo contro Thanos siano appunto i wakandiani e Falcon. Così come non è un caso che sia proprio quest'ultimo ad ereditare lo scudo e diventare, un po' a sorpresa visto che tutti da tempo vedevano il sostituto naturale in Winter Soldier, il nuovo supereroe a stelle e strisce. Anche in questo caso, come per un eventuale Thor donna, i fumetti avevano già preparato i fan ad un Captain America nero, e il cinema non può fare altro che seguire. Ma la scelta di mostrare queste nuove tendenze in un film del calibro di Avengers: Endgame è un messaggio importante a tutto il mondo del cinema.
Il troppo non stroppia, il binge watching è molto più che una moda
Un'altra cosa che ci ha insegnato il MCU, e più nello specifico anche questo ultimo Avengers, è che lo spettatore di oggi non si stanca facilmente, anzi. In molti erano convinti che la "bolla" dei cinecomic sarebbe scoppiata subito e invece, dopo tanti anni, siamo ancora qui, probabilmente alla vigilia di importantissimi record al botteghino. Molti temevano addirittura che le tre ore di durata potessero rappresentare un problema significativo per il successo di questo Endgame e invece... La verità è che il pubblico di oggi non si accontenta più di un solo film e per questo più ne ha meglio è. Quindi va bene la durata prolungata, vanno benissimo anche le maratone o i film che non si concludono, come Infinity War; la gente è sempre più abituata alle serie di lunga durata, al binge watching, agli episodi extra large (vedi Il trono di spade).
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Cosa vuol dire questo per il cinema prossimo, che dovranno esserci sempre più saghe? Probabilmente no, perché, come già detto, riuscire a ripetere questa formula vincente è difficilissimo se non impossibile, probabilmente anche per la Marvel stessa. Ma sarebbe stupido ignorare i desideri del pubblico e non accettare che il cinema e il modo di fruirlo e viverlo stia cambiando. E che non è vero che il pubblico vuole stare solo a casa sul divano a godersi le storie ed i personaggi, ma anzi è ben felice di condividere le emozioni provate con coloro che sono seduti, in sala, al suo fianco. Basta dargli un qualcosa per cui vale davvero la pena di investire, non tanto economicamente ma emotivamente. La Marvel in questi anni ci è riuscita, in tutti i modi possibili, ed Avengers: Endgame ne è non solo la dimostrazione ma il risultato più brillante. Il nostro consiglio è di farne tesoro e goderselo, inutile criticarlo preventivamente o opporre resistenza, tanto questo film esemplifica e riassume come tutto il cinema, volenti o nolenti, è stato negli ultimi anni. Quello che sarà in futuro dipende sempre e comunque da tutti noi.