Autopsy: un misterioso cadavere in un obitorio da incubo

Presentato lo scorso settembre al Festival di Toronto e piuttosto apprezzato dalla critica statunitense, arriva anche nelle sale italiane Autopsy, discreto horror sovrannaturale con un'ottima messa in scena elogiato su Twitter da Stephen King e Guillermo del Toro.

Autopsy: Emile Hirsch, Brian Cox e Olwen Catherine Kelly in una scena del film
Autopsy: Emile Hirsch, Brian Cox e Olwen Catherine Kelly in una scena del film

A sei anni da Trollhunter, l'esordio horror girato in patria che lo aveva fatto conoscere al pubblico internazionale (era passato anche al Sundance Film Festival di Robert Redford), il norvegese André Øvredal con questa sua opera seconda, la prima prodotta negli USA, abbandona lo stile del mockumentary proponendo una sorta di interessante Kammerspiel che inizia come un giallo per poi dirigersi ben presto verso i territori del film dell'orrore con forti connotazioni sovrannaturali.

Quasi interamente ambientato all'interno di un obitorio a gestione familiare di una cittadina della Virginia, Autopsy si apre infatti sull'enigmatica scena di un crimine nella quale, insieme a numerosi corpi privi di vita, viene ritrovato il cadavere di una giovane donna di cui sulle prime non si riesce a ricostruire l'identità né il motivo del decesso. Viene allora affidato all'esperto medico legale Tommy Tilden (Brian Cox), coadiuvato dal figlio Austin (Emile Hirsch) che gli fa da assistente, il compito di fare luce su quanto accaduto alla ragazza, il cui corpo risulta perfettamente conservato all'esterno ma pieno di misteriose cicatrici ed evidenti segni di bruciature all'interno. Mano a mano che Tommy e Austin vanno avanti con la loro indagine anatomopatologica, emergono aspetti sempre più inquietanti, ben poco legati al mondo della scienza, e i due si ritroveranno a lottare strenuamente per la sopravvivenza.

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Autopsy: Olwen Catherine Kelly in una scena del film
Autopsy: Olwen Catherine Kelly in una scena del film

Un'ottima regia per un teso film d'atmosfera

Autopsy: Emile Hirsch in una scena del film
Autopsy: Emile Hirsch in una scena del film

Come del resto anche l'opera prima Trollhunter, Autopsy nel complesso è stato accolto abbastanza bene dalla critica statunitense e in più ha potuto contare sull'appoggio di personaggi come Stephen King e Guillermo del Toro, che attraverso Twitter ne hanno elogiato rispettivamente la visceralità (il celebre scrittore lo ha anche paragonato ad Alien e al primo Cronenberg) e la regia, il ritmo e le interpretazioni. Per quanto soprattutto il paragone con il cult di Ridley Scott del 1979 appaia decisamente esagerato, il secondo lungometraggio di André Øvredal è senza ombra di dubbio un horror che riesce a ricreare con abilità un'apprezzabile atmosfera di tensione, rendendo in maniera appassionante la ricerca da parte dei due uomini della verità sulla causa della morte della ragazza.

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Autopsy: Brian Cox in una scena del film
Autopsy: Brian Cox in una scena del film

La messa in scena è intrigante e il quarantaquattrenne regista norvegese conferma il proprio talento esibendosi in una regia asciutta, funzionale alla narrazione e soprattutto consapevole: si veda ad esempio anche solo il bel movimento di macchina dell'inquadratura di apertura che segnala subito allo spettatore, in modo semplice ma particolarmente efficace, come si stia per assistere a una vicenda in cui diverse cose non quadrano.

Autopsy: Michael McElhatton e Jane Perry in una scena del film
Autopsy: Michael McElhatton e Jane Perry in una scena del film

I limiti della sceneggiatura: un discreto b-movie senza troppe pretese

Autopsy: Emile Hirsch e Brian Cox in una scena del film
Autopsy: Emile Hirsch e Brian Cox in una scena del film

Il punto di forza del film di certo però non risiede nel plot e nella sceneggiatura. Sebbene l'idea di partenza sia buona e lo script di Ian B. Goldberg e Richard Naing riesca a creare le condizioni necessarie per uno sviluppo narrativo piuttosto incalzante, il rapporto e i contrasti tra Tommy e Austin (lui che non vuole fare la vita del padre ma non ha il coraggio di dirglielo) rimangono molto in superficie e questo, di conseguenza, non permette mai davvero di empatizzare con i due protagonisti assoluti di Autopsy, nonostante le buone interpretazioni di Brian Cox ed Emile Hirsch.

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Il film, poi, nella risoluzione della vicenda finisce per andare a parare su aspetti già visti in diverse occasioni, che alla resa dei conti risultano poco stimolanti e convincenti, impedendo così all'horror di Øvredal di andare oltre il livello di un discreto b-movie. Che però, come dimostra l'inquadratura finale, ha il pregio di ammettere di non avere alcuna intenzione di prendersi troppo sul serio.

Movieplayer.it

3.0/5