Recensione Zombi (1978)

La più violenta e sanguinaria opera di George Romero a metà strada tra l'analisi critica e spietata della società dei consumi e la condanna feroce e secca della policy americana.

Apocalisse all'alba

_"Quando non ci sarà più posto all'inferno", i morti cammineranno sulla terra". _

Parole che assumono i toni di una diabolica profezia quelle sentenziate in una delle storiche sequenze di Zombi, opera seconda della celebre "trilogia dei morti viventi" (ma oggi dovremmo parlare di quadrilogia, vista l'uscita imminente di La terra dei morti viventi) inaugurata da George A. Romero con La notte dei morti viventi (1968).
Probabilmente la più violenta e sanguinaria tra le pellicole del grande regista, Dawn of the dead (letteralmente "L'alba dei morti") si presenta come affresco granguignolesco, a metà strada tra una cinica metafora della società dei consumi ed un'aperta condanna all'America dei politici e degli scienziati. Utilizzando uno stile tipicamente splatter, il film assume i tratti di un racconto apocalittico: la fine del mondo è vicina, i morti non riposano più in pace e decidono di "ritornare" dall'oltretomba per diffondere in modo epidemico i segni del loro contagio. Come? Semplicemente nutrendosi delle carni di altri esseri viventi. Governanti, opinion leader e forze dell'ordine rimangono attoniti, inermi, unicamente impegnati in inutili disquisizioni mentre il male sembra dilagare ovunque. Dalla denuncia del disagio e dei mali della contemporaneità nessuno riesce a salvarsi: l'incapacità delle istituzioni, il malgoverno e gli effetti della tentata globalizzazione delle risorse non fanno altro che favorire il propagarsi delle guerriglie urbane e degli atti di violenza gratuita. Il mondo pessimisticamente ritratto da Romero può conoscere così solo morte e autodistruzione. L'idea dell'ultimo anello della catena alimentare, quello costituito dalle persone, diviene espressione di un consumismo sfrenato che giustamente trova nell'immagine del centro commerciale il luogo privilegiato della sua esaltazione.

Ironico, sarcastico, girato con grande padronanza tecnica. I molti momenti di tensione si alternano sapientamente con momenti di dichiarato umorismo ma il quadro complessivo dipinto dall'autore è pur sempre agghicciante e privo di speranza. Coprodotto e cosceneggiato da Dario Argento (peraltro curatore assieme ai Goblin delle musiche), arricchito dalla magistrale effettistica di Tom Savini, l'opera ha riscosso uno strepitoso successo ai botteghini di mezzo mondo, divenendo in un baleno uno dei lavori cult del cinema horror di tutti i tempi. Davvero un titolo imperdibile per gli amanti del genere.