Dalla nevrotica famiglia Ristuccia di Ricordati di me sono passati quindici anni, nel mezzo, salvo brevi rientri in patria (Baciami ancora), ci sono stati i film girati in America con star internazionali e budget milionari, e ora Gabriele Muccino è pronto a tornare in Italia per vivere e lavorarci. Lo fa con A casa tutti bene, un film che riprende temi a lui cari (le dinamiche delle relazioni umane, l'esplosione dei conflitti) con storie perlopiù corali e un nutrito cast d'attori sempre in scena; al centro le tensioni di una grande famiglia (nipoti, figli, ex mogli, sorelle, fratelli, cugini) riunita a Ischia per festeggiare le nozze d'oro dei due nonni (Stefania Sandrelli e Ivano Marescotti). Attenzione a definirlo un film sul disagio dei quarantenni, Muccino non ci sta: "Non vorrei mai catalogare questo film per l'età, è successo in passato che fossi quello dei film generazionali: qui non racconto generazioni, ma le latitudini dell'animo umano davanti alle difficoltà che la vita ti impone di affrontare". Perché la vita è "una burrasca".
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La famiglia disfunzionale
A casa tutti bene racconta molto più che una famiglia...
Gabriele Muccino: Ho voluto raccontare la società degli uomini; quando si allarga la famiglia diventa un villaggio tribale, è il big bang delle relazioni umane, perché tutto nasce e tutto finisce nella famiglia. Le dinamiche familiari sono le stesse che governano l'animo umano in tutte sue espressioni.
Avete vissuto insieme a Ischia per tutto il tempo delle riprese. Come è andata?
Gabriele Muccino: È stato un viaggio epico, l'emozione provata durante questa avventura è stata unica, speciale e preziosa, l'ho sentita mentre giravamo e non mi sono mai stancato di emozionarmi grazie al talento e alla generosità di tutto il cast, grazie alla profondissima adesione spirituale di ogni attore con il proprio personaggio. Ognuno ce li restituisce con lo stesso amore con cui io li ho immaginati, senza giudicarli.
Stefania Sandrelli, sei una 'grande madre' che cerca di moderare e mediare ma non si può sempre tenere tutto insieme...
Stefania Sandrelli: Il mio personaggio è come tutte le madri dovrebbero essere: amorevoli e attente alla propria famiglia. La famiglia presuppone rapporti molto preziosi, sono rapporti al cubo perché ciò che provi per un padre, un figlio o un fratello è unico e profondissimo. A un certo momento della vita si sente il bisogno di scappare dal nucleo familiare, ma a volte è inevitabile che si debba e si voglia ritornare e allora bisognerebbe essere più attenti ai rapporti familiari e tenerli più in considerazione. Perché se chi vuole rientrare non trova nessuno, sono cavoli!
In una delle battute del film dici: "Le donne sono fatte per sorreggere il mondo".
Stefania Sandrelli: Lo credo fermamente, anche se amo gli uomini e sono felice di essere donna. La differenza è il valore più grande della vita ma bisognerebbe lavorare un po' di più al sostegno delle donne, perché possano essere più rispettate.
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Sabrina, tutto parte da te, dal tuo personaggio dominato dalla smania del controllo fino a quando tutto inevitabilmente crolla...
Sabrina Impacciatore: Sara è una donna che ha bisogno di occuparsi della vita degli altri perché non vuole guardare la propria, la famiglia per lei è il punto di arrivo da cui è ossessionata ed è ciò che vuole mantenere fermo anche a costo di non ascoltare i propri bisogni più profondi. Ha subito un tradimento e sta cercando la riaffermazione di quella coppia che lei tanto ha agognato, non si sa per quale motivo.
Il film segna anche un tuo secondo debutto con Muccino dopo L'ultimo bacio, visto che per la prima volta hai anche collaborato alla scrittura...
Sabrina Impacciatore: Gabriele è stato uno degli incontri più importanti della mia vita. Quando mi ha telefonato alle nove del mattino per dirmi che voleva fare questo film e che aveva bisogno di una mano, ero in dormiveglia perché in quel periodo ero in tournée con uno spettacolo e rientravo sempre tardissimo. Poi ho capito che A casa tutti bene era una sua urgenza, lo sentiva dal profondo, perché è un'artista governato dalle sue viscere. Ho capito che c'era un'ispirazione forte e io ho collaborato da 'femmina' a questa sua visione, gli sono stata a fianco come un fedele soldato. Questo film è un grande atto artistico, è viscerale, non ha mai nessun desiderio di manipolazione, è un film da cui non ci si può proteggere; quando lo abbiamo visto per la prima volta piangevamo tutti.
Non c'è più posto per la famiglia funzionale oggi?
Gabriele Muccino: La vita di ogni individuo è fatta di fasi di compiutezza e incompiutezza. In questa famiglia i vari personaggi si incontrano in un momento in cui chi è compiuto ora non lo è stato prima e viceversa.
La vita è una questione di tempi, ogni momento definisce il destino delle nostre esistenze e abbiamo sempre più bivi, destini e porte da aprire o chiudere. C'è sempre la possibilità di sbagliare porta e incontrare un destino peggiore, ma le scelte sono legate alla nostra abilità di andare dove a volte il nostro istinto ci suggerisce.
La scena della lite furibonda tra Carolina Crescentini e Pierfrancesco Favino sull'orlo di un precipizio, ci riporta a molta cronaca recente.
Gabriele Muccino: Non c'è nessun riferimento alla cronaca, ho voluto solo raccontare l'animo umano e le sue sfumature, come lo stress o le pressioni subite nella gestione del rapporto di coppia. Ciò che accade a Carlo è un momento di black out, in cui l'istinto ti porta a scappare o combattere; ho rappresentato un momento che può degenerare in molte varianti, ma esiste in ogni coppia. Se c'è un riferimento che mi ha ispirato è più Le notti di Cabiria, che non l'attualità. È un film pieno di citazioni di quel cinema italiano che amo perdutamente da C'eravamo tanto amati a Io la conoscevo bene.
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Da Hollywood al rientro in Italia
Sei tornato in Italia. Hai sentito delle differenze rispetto ai film girati a Hollywood, soprattutto a livello di budget?
Gabriele Muccino: Assolutamente no, perché lo sforzo produttivo è stato molto forte. La grammatica è sempre la stessa, un budget più ampio ti permette ovviamente scelte più ambiziose, ma in questo caso ho trovato il massimo a cui potessi aspirare, come un cast che non mi ha mai fatto rimpiangere la mia esperienza americana.
È un rientro definitivo?
Gabriele Muccino: Il nomadismo che ho vissuto per dodici anni è finito, è un capitolo chiuso e non tornerò a vivere negli USA, non sono invece sicuro che non farò altri film in America. Volevo tornare a vivere in Italia, dove sono felice di essere tornato e dove ricomincerò a fare film.
Avresti dovuto girare Chiamami col tuo nome. Perché ci hai rinunciato? Hai dei rimpianti?
Gabriele Muccino: Per un certo periodo Luca voleva che quel film lo facessi io, mi intrigava, ma al momento della scelta definitiva pensai che non era una materia che ero in grado di maneggiare e quindi l'ho ceduto senza rimorsi. E Luca lo ha fatto meglio di quanto avrei saputo fare io.